L’altra metà della narrazione.
Immersi nel tumulto di un conflitto storico che ha segnato il nostro tempo, testimoni della recente escalation israelo palestinese che ha provocato gravi perdite umane e crisi umanitarie, viene naturale chiedersi se sono accurate e non parziali le informazioni di quanto sta accadendo? È noto che chi controlla le narrazioni nella politica influenza profondamente le democrazie e, di conseguenza, le persone che ne fanno parte.
Per questo abbiamo intervistato il dottor Abd Al Hamed Ganem, di origine palestinese con passaporto israeliano, vice primario del Centro Grandi Ustionati del CTO di Torino.
Dopo aver completato la sua formazione in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino, specializzandosi in Chirurgia Plastica Ricostruttiva, il dottor Ganem ha iniziato la sua carriera presso l’ospedale C.T.O Maria Adelaide di Torino, dove è diventato Dirigente medico presso la Divisione di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-Grandi Ustionati, posizione che occupa con dedizione dal 2000. Il dottor Ganem è attivamente coinvolto nel campo accademico e scientifico, essendo membro di prestigiose Società Scientifiche, oltre a svolgere un ruolo importante nell’educazione medica come docente. Contribuisce inoltre al Gruppo Interdisciplinare di Microchirugia del C.T.O., dimostrando il suo impegno verso l’innovazione e l’eccellenza nel campo della chirurgia plastica ricostruttiva.
Dottor Ganem, ci racconta la sua storia?
Sono un palestinese-israeliano nato in Israele ma, essendo arabo-palestinese, lì venivo considerato una persona di serie B. Siamo sempre stati dei ‘cittadini’ scomodi. Pensi che il Parlamento ha persino promulgato una legge sulla trasmissione matrilineare dell’appartenenza all’ebraismo. In pratica, se tuo padre è ebreo ma tua madre è di un’altra religione, allora non puoi essere ebreo. Questa è solo una delle leggi razziali che ha emanato il governo.
Io vivevo a Zemer, nel territorio israeliano e nel 1982, all’età di 18 anni, sognavo di fare il medico. Purtroppo, mi è stata negata la possibilità di accedere alla facoltà. In pratica, per un israeliano palestinese è quasi impossibile frequentare medicina: quasi tutti i posti sono dedicati agli ebrei”. Il dottore ha fatto poi sapere che “lì, la vita quotidiana era un calvario, con controlli umilianti solo per prendere l’autobus. Ho cercato all’estero la libertà che in patria mi era preclusa: la libertà di studiare, di lavorare, di essere me stesso. È per questo che ho scelto Torino. In pratica, sono uno dei giovani palestinesi israeliani che, in fin dei conti, sono stati fortunati e hanno avuto la possibilità di recarsi all’estero alla ricerca sia dell’istruzione sia della libertà. Ma, a Gaza, ci sono persone che non hanno mai avuto la possibilità di sapere cosa vi è al di là del muro. Qui a Torino ho potuto costruire la mia carriera, grazie alla mia tenacia. Sono diventato Vice Primario del centro grandi ustionati di Torino e sono orgoglioso di non aver mai ricevuto alcun aiuto.
Qual è la sua opinione su questa guerra infinita?
In generale, sono una persona che prima di parlare si informa. Amo la storia e cerco di comprendere tutti i punti di vista per cui vorrei partire dall’inizio, a prima della seconda guerra mondiale. Durante il mandato britannico, esisteva Haganah un’organizzazione paramilitare terroristica fondata dagli ebrei che erano immigrati in Palestina. È come si intende adesso Hamas.
Parliamo di oltre 100 villaggi palestinesi rasi al suolo: un vero massacro. Nel 1940 fecero anche una rivolta contro il governo britannico. Quindi di cosa stiamo parlando, oggi? Premetto che sono pacifista e che non si giustifica mai la violenza, ma bisogna capire il retaggio storico prima di dare giudizi. La storia va letta!
Il popolo palestinese è stato dimenticato dal mondo. Vorrei porre in evidenza che non sono stati i palestinesi a mettere in atto l’olocausto e ammazzare 6 milioni di ebrei. In pratica, è l’unico popolo che, da 75 anni, sta pagando per gli errori degli altri. Quando nel 1948 vi è stata la divisione, la mia famiglia è stata separata. Tantissimi palestinesi sono stati cacciati in Libano, Israele, Giordania, con la promessa che sarebbero tornati, e Israele nel 1967 ha infine occupato anche l’altra parte della Palestina. Non siamo liberi. Io sono stato fortunato, dopo tutto, perché vivevo in Israele, ma dall’altra parte vi è un’umiliazione ed oppressione inimmaginabile.
Chi è Hamas?
Come ho detto, indipendentemente dalla natura riprovevole delle azioni intraprese, Hamas, definita dagli occidentali ‘organizzazione terroristica’, si batte per la libertà. Ci sono 2milioni e 400mila persone che vivono in 365 chilometri quadrati, una sorta di carcere posto sotto stretta sorveglianza area, militare, marina, senza aver commesso crimini, con l’esercito che controlla persino gli articoli di prima necessità, come i pannolini per bambini. In occidente, purtroppo l’informazione è anch’essa ‘sotto controllo’, così le notizie non vengono riportate adeguatamente”.
Hamas, che si nasconde tra i civili con 40mila armi custodite in scuole, ospedali, case… sarebbe disposta al dialogo?
Certamente! Qui l’informazione che arriva, come ho anticipato, è distorta… Hamas chiede uno Stato indipendente. Basterebbe fare proposte anziché andare ad ammazzare le persone. Stanno facendo una politica cieca senza risoluzioni.
Cosa pensa della politica del Primo Ministro Netanyahu?
Quella di Netanyahu è una politica di costante aggressione, repressione e di privazione dei diritti al fine di indebolire l’autorità palestinese. Abū Māzen è diventato un fantoccio. Da quando è nato, questo governo ha compiuto moltissime nefandezze, indebolendo i palestinesi. Il governo continua la sua azione repressiva confiscando illegalmente terreni: in questo modo va alimentando una sorta di ‘odio razziale’ tra ebrei e i 2milioni e mezzo di arabo-palestinesi che vivono in Israele”. “Tutti tacciono, però, compresi gli Stati Uniti, perché non vogliono che vi sia una voce autorevole palestinese. Stanno strumentalizzando la religione per creare una spaccatura nei rapporti interpersonali che, al momento, sono insanabili se questo governo di estrema destra rimarrà in carica. Netanyahu ha persino cercato di cambiare la costituzione. Non ha alcuna lungimiranza e, a mio parere, rappresenta un pericolo anche per gli stessi ebrei.
Borrell, l’alto rappresentante dell’UE, ha condannato il presunto piano di Israele per il trasferimento forzato dei Palestinesi da Gaza, in quanto rappresentano una “grave violazione del diritto internazionale umanitario”. È verosimile?
Penso che, alla fin fine, l’Unione Europea non farà nulla. L’epoca in cui gli Stati membri si sono mostrati veramente solidali e coesi riguardo alla questione risale al periodo tra la firma degli Accordi di Oslo e gli ultimi significativi sforzi per la loro implementazione, circa vent’anni fa.
A Torino vi sono iniziative o collaborazioni transfrontaliere tra medici per affrontare le sfide sanitarie in Palestina?
Purtroppo, al momento no, perché non ci è concesso di andare in Palestina a prestare soccorsi. Stanno negando gli aiuti umanitari ai civili. Tecnicamente, io e alcuni miei colleghi del CTO saremmo pronti a partire. Il problema è la sicurezza, per cui rimaniamo in attesa di una risoluzione. Inoltre, bisogna tener conto che lì non vi è acqua, gas, strutture e strumenti per poter intervenire a livello sanitario.
Cosa ne pensa della posizione del governo italiano rispetto al conflitto?
La Meloni non sta facendo nulla in merito, nonostante le 83mila vittime, tra morti e feriti, di cui circa il 70% sono donne e bambini. Si stratta di un genocidio di massa. Il governo italiano dovrebbe far sentire la propria voce.
Netanyahu sta cancellando un’intera civiltà: ogni famiglia palestinese ha perso qualcuno, e questo alimenta l’odio generazionale. Mi rammarica che i giornali italiani abbiano cambiato rotta. Si sono concentrati solo sulle vittime e sulle ragioni israeliane, trascurando quelle palestinesi. Io, da medico, curo chiunque, è un mio dovere, e mi aspetto che anche i giornalisti riportino i fatti in modo obiettivo. In Italia, invece, prevalgono le narrazioni di Israele e della destra europea. I giornalisti dovrebbero cercare attivamente informazioni sulla Palestina, anziché strumentalizzare la situazione.
Lara Ballurio