Palazzo del lavoro, un futuro da polo high tech per il capolavoro dimenticato di Nervi?
Innanzitutto, indignazione. Tanta. Qualche accusa a chi avrebbe potuto fare e non ha fatto.
E poi anche qualche idea – una su tutte, trasformare il Palazzo del Lavoro nella casa dell’high tech italiano – perché in molti sono ancora convinti che un’opera unica come quella dell’ingegner Pier Luigi Nervi meriti un futuro. A quasi tre settimane dal primo post – Palazzo del Lavoro, il capolavoro di Nervi che Torino sta perdendo – vale la pena fare un punto della situazione per una denuncia che ha scatenato reazioni e commenti grazie anche alla Fondazione PLN Project che attraverso Cristiana Chiorino ed Elisabetta Margiotta Nervi hanno rilanciato il post sottolineando questo aspetto: «Sembra quasi un paradosso che nella stessa città due capolavori dello stesso, grande progettista e costruttore possano avere attualmente destini così diversi. Eppure è quello che sta succedendo con Torino Esposizioni e Palazzo del Lavoro».
In effetti il primo sta tornando allo splendore originale grazie a un progetto finanziato con fondi del Pnrr per farne una sorta di “Città del libro”, il secondo è in agonia ormai da quasi un ventennio. La Fondazione sottolinea l’urgenza di trovare una soluzione all’altezza di questa architettura meravigliosa e visionaria e l’impegno che sta mettendo per tenere alta la qualità del progetto. «Sta a tutti noi ricordarci l’esistenza di questo gigante dimenticato e appoggiare la Città Metropolitana e la proprietaria Cassa Depositi e Prestiti affinché trovino presto una soluzione all’altezza».
Carlotta Goria, retail real estate specialist, attacca: «Vergognoso. La soprintendenza dov’è? Poteri praticamente illimitati per osteggiare le iniziative immobiliari sui beni culturali, qui non ha nulla da dire?». Chiorino sottolinea che la Soprintendenza in questo caso può poco, «ci vuole un investitore illuminato». Particolare che spinge Goria a ricordare che l’investitore c’era (il gruppo olandese che voleva trasformare Palazzo del Lavoro in un centro commerciale del futuro) ma che «lo hanno fatto scappare, perché secondo la pubblica amministrazione un investitore deve fare beneficenza, non deve guadagnarci, anzi possibilmente perderci».
Tertium non datur
Polemiche a parte, Roberto Limetti, managing director di Pradera sottolinea: «Palazzo del lavoro è, al contempo, un immobile meraviglioso e quasi impossibile da destinare. Riuscire a far conciliare tutti i limiti e le restrizioni imposte con un utilizzo sensato e che possa al contempo permettere una sostenibilità finanziaria è, ad oggi, risultato impossibile. O si decide che viene restituita la originaria funzione (polo di esposizione) a costo pubblico, sapendo che non potrà mai fare utile oppure si deve permettere a dei privati di sviluppare un piano che consenta un ritorno sull’investimento. Tertium non datur».
Cesare Castiglia, senior engineering consultant e project management professional, appare pessimista: «Purtroppo, ma in maniera piuttosto evidente, Torino non sa più cosa farsene del Palazzo del Lavoro e nemmeno può permetterselo. Ottimo esempio di sintesi tra forma e una funzione che però non c’è» Dario Pagano, media relation, rincara la dose: «Torino è la capitale mondiale del tempo perso, dal grattacielo della Regione alla linea 2 della metropolitana. Il Palazzo del Lavoro ne è l’esempio migliore. Per fortuna ci sono i denari e i controlli dell’Unione Europea e almeno Torino Esposizioni dovrebbe tornare al suo originario “splendore”. L’ipotesi inaugurazione nel 2026 mi pare però molto ottimistica anche se – in effetti – ci stanno veramente lavorando. Almeno una cosa questa amministrazione un po’ evanescente dovrebbe completarla».
Adriano Gallea, HR business partner, chiede un po’ di pietà, se non altro per gli occhi: «Al netto di tutte le ragioni economiche e burocratiche, dei probabili vincoli architettonici etc, è sconfortante e irritante veder trattare in questo modo quello che si continua a dire sia (ed è) un’opera unica. Almeno si abbia il pudore di smettere di annunciare cose che non diventano realtà. Poiché il Palazzo è una delle prime “cose” che si vedono arrivando a Torino (lato sud), lo si mascheri in modo che almeno la vista venga risparmiata da questo scempio. Esistono bellissime tappezzerie a tema arboreo che potrebbero dare l’idea di un area verde e che impedirebbero la vista di ciò che ormai è un rottame (scherzo ovviamente)».
Renato Lavarini, senior heritage management expert, si aggancia a una delle ipotesi ricordate nel post: il museo dei musei. Con una precisazione: «Un’architettura iconica come Palazzo del lavoro sarebbe ottima più che per il museo dei musei quanto, forse, per liberare le opere dei musei torinesi chiuse nei depositi. Con, magari, workshop di restauro a vista. Il problema però resta il costo del restauro e una risistemazione interna che, conservando e valorizzando gli elementi architettonici, consenta costi di gestione sostenibili».
Farne l’Ogr 2 con il polo Ai
C’è anche chi chiede di coinvolgere anche le fondazioni bancarie in particolare la Crt proprietaria delle Ogr. L’ipotesi è questa: trasferire l’incubatore delle Ogr tech, dove le imprese sono sempre in lista d’attesa, nel Palazzo del lavoro dove potrebbe trovare spazio anche il Centro per l’Intelligenza artificiale ora ospitato nel grattacielo del lavoro, trasformando così il capolavoro di Nervi nella casa delle tecnologie del futuro.
E le Ogr tech passerebbero al Politecnico affamato di spazi nuovi come ha appena denunciato il rettore Stefano Corgnati a sei mesi dal suo insediamento. Fulvio Gianaria, avvocato e presidente uscente delle Ogr, corregge la proposta così: «La soluzione, a mio parere, non è traslocare le Ogr tech che sono un gioiello funzionante, ma realizzare le Ogr 2 a Palazzo del lavoro, comprendendo il centro per l’intelligenza artificiale e i laboratori di ricerca che il Politecnico reclama. Le liste di attesa che abbiamo a Ogr dimostrano che c’è campo per raddoppiare. Questa è la vera sfida in cui devono cimentarsi la Regione, le fondazioni e fondi privati. Il trasloco, invece, sarebbe riduttivo e inutilmente costoso».
Una sfida che sarà raccolta? Forse potrebbe aiutare il suggerimento di Paola Pasino, principal officer city centre strategy della città di Glasgow: «Mipim? C40? Mancano sia idee sostenibili che investimenti. Creare un focus potrebbe aiutare a smuovere la situazione».
Courtesy Pier Paolo Luciano