«Una giornata epocale». Parola del sindaco Giuseppe Sala che, sabato 12 ottobre, tra sorrisi e applausi, ha aperto la “linea blu”, la quinta linea della metropolitana di Milano, anche se si chiama Metro 4. L’ha sorpassata nei tempi di realizzazione la Metro 5, strategica per l’Expo 2015. Ma alla fine neanche i tempi della M4 sono stati troppo lenti: 15 chilometri e 21 stazioni realizzate in poco più di otto anni. E soprattutto è un collegamento destinato a rivelarsi strategico: la nuova linea unisce Milano all’aeroporto di Linate (quanto servirebbe a Caselle!), coprendo la parte sud del capoluogo. Con sei stazioni dove si ci si può collegare ad altre linee della metropolitana (San Babila la rossa, Sforza Policlinico la gialla e Sant’Ambrogio la verde) o a interconnessioni con le linee Fs (Forlanini, Dateo e San Cristoforo). Forse anche per questo nella cerimonia di inaugurazione Sala ha tenuto a precisare che «l’apertura della linea blu non rappresenta un punto d’arrivo, ma di partenza perché il Tpl e le metropolitane sono fondamentali». Opinione condivisa dal presidente di Assolombarda, Alessandro Spada: «Avere più collegamenti tra i capoluogo e le aree limitrofe è l’unico modo per ridurre la congestione del traffico e l’impatto sull’ambiente, ampliando l’attrattività della Grande Milano».

E si progetta la linea M6

Intanto si prevede che il nuovo collegamento – garantito da 40 treni a guida automatica – possa raggiungere gli 86 milioni di passeggeri l’anno. E i chilometri della rete che corre sottoterra sfiorano i 120 chilometri. Ma già si pensa alla linea numero sei, quella che all’inizio avrebbe dovuto collegare Nord e Sud della città e che poi è stata ridimensionata, puntando per ora a unire i comuni della cintura Sud. E a come ripartire con due prolungamenti finiti al palo: la Metro 1 verso Ovest, per raggiungere il quartiere Baggio e la M5 verso Monza.

Sotto la Mole si arranca

E Torino? Torino arranca. Ha appena visto ridimensionare il progetto della linea due mentre aspetta ancora che la linea uno sia completata con il capolinea a Cascine Vica e il prolungamento fino a Rivoli. E’ successo all’inizio dell’estate e La Stampa sulla cronaca di Torino l’ha riassunto con un titolo efficace: «La metro mutilata». Che cosa è successo? I costi sono lievitati del 36 per cento. Quanto basta per non garantire più la realizzazione del primo tratto della seconda linea che quando mai sarà finita misurerà 27 chilometri e attraverso 32 stazioni collegherà l’asse nord-est/sud-ovest della città, attraverso una configurazione ad Y. Con oltre 300 mila passeggeri al giorno. Così di fronte all’ipotesi di restare fermi in attesa di nuovi finanziamenti, il commissario Bernardino Chiaia (nominato un anno fa per accelerare i tempi) ha deciso di andare avanti comunque con due tagli al progetto iniziale. Il primo, il più doloroso, è la rinuncia ad arrivare con la nuova linea fino al Politecnico. La M2 si fermerà a Porta Nuova, salta anche la fermata Pastrengo nel quartiere Crocetta. Una scelta che penalizza non poco gli studenti dell’ateneo. La seconda decisione è stata quella di accorpare una stazione (via quella Cimarosa, prevista tra le fermate Corelli e Bologna) che, peraltro, secondo i progettisti, non sarebbe stata così strategica.

Il primo metrò? Nel 2033

Ma i guai non sono finiti. Si allungano anche i tempi di realizzazione rispetto alle previsioni iniziali che si possono ancora leggere andando a cliccare su Google torinocambia.it. Almeno sei mesi di ritardo. Il via ai lavori – al recente convegno organizzato dagli industriali a Torino con 150 imprese del territorio pronte a fare network per assicurarsi qualche fetta della commessa – è stato indicato nella prima metà del 2026.All’inizio si prospettava l’apertura del cantiere nella seconda metà del 2025 e la conclusione dopo sette anni e mezzo di lavoro, con l’obiettivo del primo convoglio nel 2032. Ora si posticipa verso un più probabile 2033. “Torino cambia, il piano va veloce” recita il claim del Comune. Ma non troppo. Nonostante tutti questi intoppi, i vertici imprenditoriali tendono a guardare al lato positivo dell’opera: «E’ un progetto importante per la città e rappresenta anche un’opportunità per le imprese piccole medie e grandi del territorio, che sono spesso leader di filiere per design, tecnologia e qualità. Vogliamo che la Metro2 faccia sentire tutti, aziende e cittadini, parte di un passaggio decisivo per lo sviluppo della città» ha spiegato Marco Gay, presidente dell’Unione Industriali Torino. «Parlare concretamente di una seconda linea della metropolitana, dopo quasi 20 anni dall’inaugurazione della linea 1, è strategico per Torino e per l’area metropolitana» ha sottolineato Antonio Mattio, presidente di Ance Torino.

Servirebbe una mossa della politica

E anche il commissario Chia si è rivelato ottimista: «Ci sono 1,8 miliardi per la linea 2 da Rebaudengo a Porta Nuova, ci auguriamo che arrivino, in corso d’opera, anche i 550 milioni per raggiungere il Politecnico: una prosecuzione che metteremo a bando come tratto opzionale. In totale oltre 2 miliardi di euro che dovranno essere divisi su due grandi voci di spesa: treni e sistema di gestione dei treni (450 milioni) e il resto per le opere civili, le stazioni, gli impianti non di trazione e così via». Aggiungendo che i fondi straordinari promessi possono arrivare a esperienza del Pnrr chiusa nel 2027. Nella sostanza, potrebbero essere dirottati a Torino i soldi non spesi in progetti del Piano di ripresa e resilienza. A patto però che «la politica piemontese e torinese collaborino». Non proprio un grande auspicio. Basti pensare al catalogo delle opere ferme o in ritardo a Nord Ovest per immaginare come finirà la partita.  A meno che i Dioscuri Cirio-Lo Russo non riescano in un colpo d’ala. Contare su parlamentari e ministri appare inutile. Mai, finora, un’iniziativa comune, che vada al di là delle rispettive posizioni politiche, per difendere le infrastrutture del Piemonte. E dunque il suo futuro.

Pier Paolo Luciano