James David Spellman, classe 1957, è cresciuto a Philadelphia e lavora e vive a Washington. Una vita dedicata al mondo dell’informazione in ambito politico, delle pubbliche relazioni, del giornalismo e un grande amore per la cultura italiana e il mondo dell’enogastronomia, in particolare per il pregiato Tartufo bianco d’Alba.

Un binomio inusuale e apparentemente incompatibile, che ha portato James Spellman a unire il suo amore per le parole e per il prezioso fungo in un progetto ambizioso: scrivere un libro dedicato al Tuber Magnatum Pico, un libro diverso da tutti i testi scritti in precedenza su questo argomento.

James, ma perché proprio il tartufo?

Tutta la mia vita professionale ruota intorno alla politica e al giornalismo. Ho lavorato per numerose testate e a Capital Hill per due membri del Congresso, ma ho realizzato progetti anche a Wall Street insieme ad alcune Trade Associations nell’ambito delle pubbliche relazioni. Oltre al mio lavoro, ho sempre avuto una grandissima passione per il tartufo, iniziata più di 30 anni fa. Quando lavoravo a Ginevra per il World Economic Forum ho conosciuto Marc Sursock, figlio del principe Sadruddin Aga Khan, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Marc e io abbiamo lavorato insieme per gli affari pubblici della sua fondazione Alp Action, che si concentrava sull’impatto del cambiamento climatico nella zona delle Alpi. Durante uno dei nostri incontri abbiamo cenato in un ristorante nella parte antica della città e, per la prima volta, ho annusato il profumo di questo tesoro della terra. Quella stessa sera abbiamo mangiato un risotto al tartufo: non mi scorderò mai quella cena. Da quel giorno è nata questa passione.

Ricordi molto bene quella cena, ma ricordi altrettanto bene la sensazione che hai avuto entrando in quel ristorante di Ginevra?

Assolutamente, ricordo benissimo il profumo del burro e dell’aglio. Era una serata molto fredda e umida, ci siamo avvicinati a questo ristorante che aveva tutti i vetri appannati. Siamo entrati e all’interno era caldo e confortevole, ricordo molto bene il profumo meraviglioso del tartufo che si sentiva in quel locale.

Potremmo dire amore a prima vista. Ma come è nata l’idea del libro e qual è la sua genesi e il tuo processo creativo?

Anni dopo quel primo incontro ho deciso di scrivere “The Treasures of Alba” perché volevo realizzare qualcosa di completamente diverso, un volume distante da tutto ciò che è stato scritto su questo tema. La stesura mi sta prendendo molto tempo perché, da un lato, ho molti altri progetti in corso e, dall’altro, perché continuo a fare ricerche e a trovare materiale interessante sul tema. È un percorso lento ma molto affascinante.

Come si struttura il volume?

Nella prima parte del libro mi soffermo sulla storia del prodotto: facendo ricerche per questo capitolo ho scoperto che molte cose scritte sul tartufo sono incorrette. Per esempio, ho scoperto che la racconta che la prima volta che il Tuber viene menzionato in forma scritta è su una tavoletta di argilla che racconta il Matrimonio di Martu, una storia d’amore vecchia più di 3000 anni, scritta in alfabeto cuneiforme e ritrovata nell’antica Mesopotamia, che si trova al museo di Philadelphia, dove sono nato. In realtà, all’interno della scrittura, Martu viene definito come “cercato di funghi”, ma non siamo certi che la parola usata significhi tartufi o funghi in quanto, proprio in quel punto, la tavoletta è danneggiata. Mi soffermo poi sulla natura e sulla scienza, che sta facendo passi da gigante e sta scoprendo sempre di più sull’influenza del luogo di crescita con il sapore del tartufo. Gli scienziati sono arrivati a riconoscere un Tuber nato ad Alba con uno nato in un’altra zona: si stanno perfezionando queste tecniche, ma sono sempre più precise. Per arrivare a riconoscere la provenienza del tartufo viene principalmente studiata la scorza, i batteri che sono presenti sulla superficie e i componenti chimici del profumo, in quanto un tartufo cambia molto in base al luogo in cui viene trovato.

Quali sono altri temi importanti nella tua opera?

Sicuramente la storia dei cercatori di tartufo e le leggende che si nascondono dietro a questa pratica. Un esempio? Si dice che nelle notti di luna piena cercare il tartufo sia molto più semplice perché la gravità della luna porterebbe il tartufo più in superficie. Ovviamente c’è molta mitologia dietro a queste credenze e agli altri “segreti” della ricerca, ma sono racconti estremamente affascinanti.

Questo racconto mi fa pensare al fatto che studiare la luna è una pratica molto diffusa tra le persone più anziane di questa zona. Tu arrivi dall’America, da Washington in particolare, da una cultura molto distante da quella di Alba. Come vedi questa mitologia? Come hai percepito queste credenze così distanti dalla tua cultura?

Credo che siano questi i dettagli che rendono l’Italia ancora più speciale. Questi racconti mi fanno sentire ancora di più le origini di questi luoghi. Quando sono ad Alba ho la sensazione si camminare nella storia: passeggio per la città e vedo le antiche mura romane, non posso non immaginare la città all’epoca. È incredibile avere tutta questa storia sotto gli occhi. Tra l’altro, tornando ai tartufi, durante le mie ricerche ho trovato come veniva cucinato il tartufo in alcuni libri di ricette degli antichi romani. Al tempo i Tuber venivano cotti per lungo tempo e conditi con salse molto pesanti e saporite. Probabilmente perdevano tutto il loro sapore e la loro magia, ma i romani amavano consumarli così durante i loro banchetti.

Parliamo invece degli chef, altri protagonisti del tuo libro. In un’area di grande concentrazione di ristoranti premiati con le Stelle Michelin, come è andata la tua ricerca e cosa hai scoperto della loro cucina?

Ho avuto la fortuna di incontrare molti Chef e mi ha incuriosito come tutti abbiano grande attenzione e rispetto delle materie prime. Un bellissimo esempio è Bruno Cingolani del ristorante Dulcis Vitis di Alba. Bruno svolge un lavoro incredibile nella selezione delle materie prime dei suoi piatti e conosce tutti i suoi fornitori e produttori. Per esempio, ogni giorno il suo casaro di fiducia produce e consegna al suo ristorante il formaggio di capra fresco. All’ora di pranzo, quindi, viene servito un formaggio prodotto poche ore prima. Lo stesso discorso si applica per tutti gli altri prodotti e per i cercatori di tartufi. La stessa cura e attenzione la vedo durante gli Cooking show organizzati nel corso della Fiera internazionale del tartufo: tutti gli chef hanno un legame molto forte con i produttori delle materie prime che utilizzano nei loro piatti. Prodotti della tradizionale, ma anche innovazione: gli chef, infatti, sono sempre alla ricerca di nuovi sapori per esaltare le loro creazioni.

In generale, credo che la cucina stia diventando sempre più complessa, in certi casi credo stia perdendo gli elementi della cucina piemontese, della cucina povera con gusti che arrivano dall’altra parte del Mondo.

La qualità delle materie prime però persiste. È l’unico elemento che ti ha incuriosito?

L’elemento per me più interessante è proprio la qualità degli ingredienti, che si unisce all’idea di coinvolgere anche altri sensi nella preparazione dei piatti: non esiste solo il gusto, ma anche il tatto e la vista. Per esempio, la storica cuoca di Langa Gemma di Roddino realizza i propri tajarin a mano, insieme alle donne del paese, e si rende conto che sono perfetti solamente dal tocco della sfoglia. Questa cura, per me, è pura magia.

Mi hai parlato di un aspetto che non ti piace particolarmente della cucina di oggi, ovvero le influenze che poco hanno a che fare con il territorio. Ci sono altre cose che non ti piacciono di Alba e del mondo del Tartufo?

Sento molta preoccupazione per il mondo del tartufo e le sue rivalità, un esempio drammatico è l’uccisione dei cani oppure l’uso di elementi chimici per avere un tartufo migliore. Forse è questo l’elemento che mi piace di meno: l’ansia da prestazione che il tartufo che ricerchi sia eccellente, processo che in certi casi non è così buono e autentico.

Qual è, invece, la tua cosa preferita di Alba?

Sicuramente le persone meravigliose che ho incontrato. Bruno Murialdo dello studio Carpe Diem di Alba, che ha realizzato foto speciali e importanti di questo territorio negli anni. Silvia Muratore, un’altra grande fotografa, sempre dello studio Carpe Diem. Filippo Cosentino,
geniale musicista e compositore, con la sua meravigliosa moglie Adriana e la figlia Prisca.
Enrico Cagnasso, che mi hai aiutato con le traduzioni. Carla, che mi ha supportato con l’italiano. Giacomo Giamello, che mi ha aiutato nel capire meglio questa Regione. E ovviamente tu Alessia e tuo padre! L’elenco è lunghissimo, in città ho incontrato persone meravigliose, aperte e ospitali.

Grazie, James! Ormai qui sei di casa, da quanti anni torni ad Alba nel periodo della Fiera del Tartufo?

Cinque anni fa sono stato per la prima volta ad Alba, quando ho incontrato te e le altre persone stupende che ho citato, insieme a molte altre. Da allora sono ritornato ogni anno.

Hai visto dei cambi in questi cinque anni?

Molte delle vecchie botteghe stanno scomparendo, credo che lentamente si stia perdendo questo grande patrimonio. Negli anni, inoltre, le persone che raggiungono Alba sono aumentate e la città sta diventando sempre più orientata al turista. A parte queste considerazioni, devo dire che è bellissima: le persone sono gentili e il centro è meraviglioso.

Oltre al libro, hai realizzato altri progetti dedicati all’albese? E quali sono i prossimi che arriveranno?

Parlando di progetti già realizzati, ho scritto insieme al compositore albese Filippo Cosentino due opere: Carlotta il Musical, dedicato alla storia di un cane da tartufo, e Sotto l’Ulivo, incentrato sulla vita nel secondo dopoguerra. Entrambe sono disponibili su tutte le piattaforme di streaming e sono state prodotte dall’etichetta Ipogeo. Inoltre, ho realizzato un documentario sul fotografo albese Bruno Murialdo intitolato “Bruno: un ritratto”, che è stato presentato al Castello di Verduno a ottobre. In merito, invece, ai miei futuri lavori, primo fra tutto sono al lavoro per finire questo libro. Oltre a questo, sto realizzando un documentario sul cambiamento climatico e continuo a collaborare con il South China Morning Post e molti altri progetti.

Quindi l’appuntamento è per il prossimo anno ad Alba, cosa speri di trovare qui nel 2025?

Esattamente tutto ciò che ho trovato quest’anno, spero di trovare ancora questa bellissima città e le persone che ormai mi conoscono.

Alessia Alloesio