Il countdown è iniziato: dal primo gennaio del 2015 Torino diventerà di fatto il capoluogo di una vastissima area denominata Città Metropolitana di Torino, che andrà a inglobare grosso modo tutto il territorio che era di competenza amministrativa della morente Provincia. Le dieci aree metropolitane individuate (Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova, Bologna, Venezia, Firenze, Bari e Reggio Calabria) ospitano un terzo del totale della popolazione nazionale e giocano in pratica il ruolo principe per il futuro competitivo del nostro paese, producendo già allo stato attuale il 34,7% dell’intero PIL nazionale.
Il cittadino sembra poco informato su modalità e sugli effetti della profonda metamorfosi che la Legge Delrio, datata 7 aprile 2014, n. 56 (http://www.upinet.it/docs/contenuti/2014/04/L.%20Delrio%20n.%2056%202014.pdf), nata sulla scia del populismo elettorale che ha unito in coro gli esclamativi più indignati al grido di “Aboliamo le Province”, votata qualche mese fa ed operativa dall’inizio del prossimo anno, produrrà nei rapporti istituzionali del nostro paese, avvicinandoci di fatto alle più dinamiche ed efficienti realtà del resto dell’Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna, Svizzera), semplificando, velocizzando ed ottimizzando il nostro modello di governance attraverso una vera e propria rivoluzione della gestione dei processi per favorire le opportunità e le occasioni di sviluppo.
Ci troviamo quindi in piena fase transitoria di un processo che ha avuto una genesi legislativa e politica estremamente travagliata, e che si inserisce in quel quadro riformista complessivo che di qui a pochi anni trasformerà la nostra percezione dei rapporti tra le istituzioni e tra le istituzioni e il cittadino, imponendo con l’atto del progetto divenuto legge la riscrittura dell’assetto amministrativo dell’intero spazio nazionale.
In apparenza il sapore concreto però è quello paradossalmente nostalgico di un centralismo pre-contemporaneo, che in un sol botto sembrerebbe mandare in soffitta principi fondamentali come quelli del federalismo, del localismo e delle municipalità, declinati con affetto e con insistenza da ogni vision politica di rispetto negli ultimi 30 anni.
Via dunque la logica del campanile, come sinonimo di autonomia sorda e territorialismo esasperato, per introdurre una strutturazione diversa dello spazio fisico amministrato, attraverso la creazione di nuovi soggetti come appunto la Città Metropolitana e le Unioni e le Fusioni di Comuni, vissute come conseguenza ponderata del riconoscimento di affinità elettive e non solo fiscali delle realtà omogenee esistenti sul territorio: viene data nei fatti all’amministratore locale l’occasione di alzare lo sguardo dall’operatività quotidiana, che resta integrale, e valutarne gli obiettivi sotto la luce vivida di approcci strategici di respiro più ampio, costretti ex lege a cercare un accordo di mediazione accettabile e condivisa tra i diversi soggetti interessati, latori di identità contigue e finalmente pronte a definire un comune indirizzo di sviluppo economico, sociale, paesaggistico ed ambientale.
Vecchie conoscenze come l’attuale piano strutturale di livello comunale, che si è rivelato per lo più inadeguato per evidente deficit di efficacia, causato essenzialmente dai ritardi biblici e dalle procedure impossibili, dovrebbero definitivamente essere abbandonate, concentrando la parte strutturale, strategica e non conformativa della pianificazione su un’area vasta, dotata di legittimazione non diretta, ma di 2o grado, con un governo composto da sindaci e consiglieri comunali non pagati, le suddette Città Metropolitane http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/enti/sottotema004.html, e le Unioni e le Fusioni dei Comuni (http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti/province_cittametropolitane.pdf), lasciando alle municipalità il compito esclusivo di dedicarsi operativamente alla rigenerazione diffusa, al progetto urbanistico e al rinnovo urbano.
Lo scopo ultimo è quello di riorganizzare le fila, migliorando i servizi e le ridondanze d’intervento, per attrarre sui territori amministrati quei finanziamenti e quegli operatori che attualmente rimangono storditi dall’ambiguità schizofrenica dell’approccio pianificatorio e fiscale locale, il medesimo che nel corso dei decenni ha finito per frammentare e traumatizzare talvolta drammaticamente identità culturali territoriali tanto ricche da far invidia al mondo, ma che nella sostanza risultano malinconicamente disperse senza una logica apparente ed autenticamente valida.
Nell’affollata Sala Congressi di via Avogadro 30 a Torino, all’interno del Convegno riguardante la “Nuova pianificazione del territorio e la riforma istituzionale in Piemonte”, abilmente coordinato dal Presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica del Piemonte e della Valle d’Aosta (www.inu.it), il Professore Ordinario in Urbanistica del Politecnico di Torino Carlo Alberto Barbieri, in collaborazione con la Direzione di Programmazione Strategica delle Politiche Territoriali e dell’Edilizia della neo eletta Regione Piemonte, è stato promosso un fertile confronto di idee e punti di vista attraverso gli interventi programmati di diversi attori del governo del territorio, esperti, ricercatori e tecnici pubblici. Ha concluso i lavori l’attuale Vicepresidente della Regione Piemonte, Assessore al Bilancio, Programmazione Economica con delega agli Enti Locali, Aldo Reschigna, riconoscendo nel ruolo di centralismo di basso profilo che andrà ad assumere inevitabilmente l’ente regionale, il dovere a conservare il proprio compito di esercizio di buona legislazione e programmazione, unito alla responsabilità di contribuire nel limiti concessi, al coordinamento dei diversi attori nella complessità del processo di trasformazione in atto.
La giornata ha analizzato nel dettaglio le novità intervenute dal recente provvedimento governativo che assegna alla neonascente Città Metropolitana di Torino e alle Unioni di Comuni, che via via sostituiranno le Province (previa modifica del Titolo V) una triplice pianificazione: la redazione dei già noti Piani Territoriali di Coordinamento, una “generale” pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali, ed infine l’adozione triennale e l’aggiornamento annuale di un Piano Strategico del Territorio Metropolitano, come atto di indirizzo comune e condiviso, “sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” così come recitato nell’art. 118, comma I, della Carta Costituzionale.
Tra detrattori, che della riforma sottolineano l’antipatico carattere forzatamente “omologante”, che inevitabilmente tornerà ad ignorare le peculiarità e le fragilità delle realtà territoriali più periferiche, accentuandone la distorta competitività e che condurrà fra qualche anno alla sua totale revisione, e supporter, che ne colgono la sottile valenza di innovazione epocale che finalmente potrebbe consentire, attraverso la possibile adozione strutturata di forme di deliberazione orizzontale partecipativa, condivisa ed inclusiva, il superamento concreto dell’assetto verticista ottocentesco, prendendo atto che la perdita di sovranità locale sarà inevitabile e che dovrà avvenire necessariamente per gradi, sono stati analizzati, per quanto possibile nel quadro ancora confuso della metamorfosi sperimentale attuale, i nodi concettuali e legislativi emersi sinora in reality.
Restano tutte da definire, a livello della scrittura degli Statuti, che concentrerà la sua attività dopo l’elezione delle “Ultime Province” di fine settembre, le modalità per una corretta e certa rappresentanza nella costruzione delle aree omogenee, attraverso l’assegnazione dell’equo peso decisionale assegnato alle differenti identità nelle composizioni assembleari nascenti, le regole condivise che torneranno utili per determinare indirizzi, strategie, limiti, criteri, ruoli, competenze e, forse anche nel dettaglio, l’allocazione delle risorse utilizzabili e il riconoscimento degli inevitabili meccanismi di eventuale compensazione. La novità vera risiede proprio in tale straordinaria opportunità di autonomia statutaria, di ampiezza inedita e attualmente inespressa, che consente a ciascuna realtà omogenea di adottare creativamente le proprie specifiche opzioni nel dare concretezza, sia alla propria forma di governo, sia all’articolazione del proprio territorio: un’occasione oggettiva da cogliere senza indugio, con determinazione, buona volontà ed un briciolo di sano ed onesto ottimismo.
Barbara Biasiol