La crisi dell’economia “pesa” sul portafoglio e provoca importanti ripercussioni anche sulla salute: la mancanza di lavoro e la perdita dello stesso provocano disagi e malattie importanti. Lo sostiene l’Oms, lo rileva l’Istat – nella consueta ricerca annuale – e, soprattutto, lo conferma l’esperienza clinica. Qual è il meccanismo che si innesca? Come difendersi? Ne parliamo con Mario Fulcheri, medico psichiatra, professore di Psicologia clinica all’Università di Chieti – Pescara.
“Il lavoro è uno degli aspetti più importanti della vita, uno degli elementi vitali dell’essere umano. Se ci pensiamo lo è sin da quando siamo bambini e passiamo ore e ora sui banchi per poi giocarci, da adulti, le nostre competenze. Il lavoro ha uno spazio determinante per la nostra realizzazione. Poter lavorare, poter scegliere un’occupazione che piace, affrontarla con passione, far sì che attraverso la stessa possiamo esprimere le nostre potenzialità, è essenziale per il nostro benessere. Ogni essere umano si realizza, essenzialmente, attraverso il lavoro. La sua assenza incide moltissimo sulla salute, sulla nostra autostima, sull’immagine che rimandiamo agli altri, sulla nostra percezione delle cose.”
La mancanza di lavoro quindi è molto più che un problema economico…
“Recenti ricerche cliniche confermano che soggetti che hanno perso l’attività lavorativa – seppur compensati economicamente con gli stessi soldi che avrebbero guadagnato continuando a lavorare – hanno un più alto tasso di depressione e suicidi. In queste situazioni cambiano anche le modalità con cui le persone entrano in relazione, sia in famiglia che con gli amici. Subentrano sentimenti d’inutilità, vissuti negativi, senso di inadeguatezza, rabbia; tutti elementi che poi si somatizzano e diventano malattia.”
L’ansia, che di solito accompagna chi sta per perdere o ha perso il lavoro, può avere anche una funzione positiva?
“L’ansia si manifesta in due componenti. C’è un ansia costruttiva positiva, indispensabile, che evidenzia una condizione di timore e però aiuta a superare l’ostacolo mettendo in gioco la grinta, la reattività. Quest’ansia – a basso dosaggio –ha una funzione utile. Cosi come avviene con lo stress, che non è solo negativo. C’è invece l’ansia che schiaccia, opprime, paralizza, ed è quella che prevale attualmente. Il problema è che la competizione sul lavoro – fisiologica di per se – è diventata fortissima, esuberante, esagerata. E’ una iper-competitività che crea diffidenza tra le persone, facilita il conflitto e lo scontro, spinge al mors tua vita mia. Questa precarietà e crudele, crea disagio, malumore, e non rende nemmeno dal punto di vista lavorativo”.
Lei ha riscontrato maggiori richieste d’aiuto in questi tempi?
“Purtroppo molti dati confermano che il tasso di malattia e suicidi è aumentato. Io vedo anche che molti vanno dal medico di base, non dallo specialista, perché in questo periodo non hanno soldi, e molte volte caricano la loro sofferenza – disperazione su un medico di base, che non sempre sa cosa rispondere. Non aiuta il fatto che viviamo in un mondo pieno di diseguaglianze: di fronte a tanti che rimangono senza lavoro, permangono i super pagati -dal conduttore televisivo al giocatore di calcio- e in chi è rimasto senza occupazione la delusione si somma alla frustrazione, che poi diventa rabbia. Questi stati d’animo si somatizzano, creano malattie. Ed è situazione, tra l’altro, che comporta molti costi, per la sanità.”
Parliamo un po’ di resilienza, la capacità di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita. Ci sono delle caratteristiche comuni nelle persone resilienti? L’ottimismo, la creatività, l’impegno?
“Ci potrebbe essere una sorta di predisposizione costituzionale ma non siamo in grado di definirla in modo preciso. Sicuramente, siccome ciascuno di noi ‘costruisce’ la sua personalità, entrano in gioco vari aspetti quali il temperamento, la storia personale, l’esperienza, gli aspetti intimi-psicologici. Tutti fattori che contribuiscono alla complessità (dal latino complector, comprendere, tenere insieme) dell’essere umano. Quindi tanti elementi contribuiscono a ‘formare’ la resilienza ma non sappiamo bene quali sono determinanti. Sicuramente alcuni fattori la possono facilitare: l’ambiente, per esempio; una educazione più improntata all’ottimismo; uno spirito creativo, che sa cogliere il lato inusuale delle cose. Ciascuno di noi vede il mondo attraverso i suoi occhiali e questa visione influenza poi il suo agire.”
La resilienza non è forse fatta anche di pensieri, comportamenti che possono essere appresi? Qualche consiglio allora sui “buoni pensieri” da utilizzare in caso di crisi…
“Quando di fronte ad avversità, delusioni, traumi ci sentiamo sfiduciati e non troviamo le forze per reagire subentra una sorta di astensione dalla vita. Occorre ricordare che la vita contiene sempre dei margini di rischio. Guai se non ci fosse un aspetto d’avventura, intesa come da etimo (adventura, ciò che accadrà), guai se non si crede più nel futuro. Alla persona sfiduciata dico: scegli, comunque, anche nei momenti più difficili, la situazione che ti sembra, seppure di poco, meno complicata, meno angosciante per te. Però fallo. Certo ci vuole coraggio. La persona coraggiosa non è quella che non ha paura, come comunemente si crede, è quella che nonostante la paura, nonostante le difficoltà, affronta la situazione. Chi non ha paura è il temerario che non valuta sufficientemente la situazione. Stimolare, incoraggiare chi sta male non è facile: noi possiamo però aiutare a vedere le cose in un altro modo attraverso un altro tipo d’occhiali. Questo può essere utile.”
Quindi possiamo avere uno sguardo diverso anche sul futuro del Paese?
“Noi siamo un Paese dotato di intelligenza creativa però abbiamo trascurato la componente della creatività, fondamentale soprattutto nei momenti di crisi. Siamo un Paese ricco culturalmente, artisticamente (possediamo una parte rilevante del patrimonio mondiale) e a livello di tradizioni. Questo dovrebbe trasformarsi in opportunità lavorative (e può avvenire se sapremo unire creatività impegno e passione). Potenzialmente abbiamo grandi chances: le nostre risorse sono straordinarie dal punto di vista paesaggistico, salutistico (le terme), culturale, storico. Bisogna investire su queste risorse. Siamo un Paese dove la gente dovrebbe venire per il benessere, pagando, facendoci lavorare e facendoci stare meglio. Un Paese che vuol stare bene deve investire sul benessere, sul’ ambiente, sulla cultura, sull’intelligenza. Purtroppo il nostro è un Paese che non investe, anzi ha disinvestito dall’Istruzione e paghiamo un caro prezzo per questo. Le intelligenze non coltivate si perdono.”
La crisi intanto si manifesta anche nel “privato”, nella nostra idea di rapporti, nell’assenza di progetti per il futuro…
“Non possiamo non coltivare la speranza. Io sono convinto che nella vita, se uno si impegna e lotta, alla fine qualcosa ottiene. Per adesso i miei figli continuo a farli studiare in Italia. Certo ogni tanto ci penso… Gli ultimi 30 anni hanno lasciato il segno e non sarà facile rimettersi in moto. Il futuro però dipende molti da noi, dobbiamo recuperare il valore della cultura, le meravigliose competenze del Paese. Abbiamo milioni di persone che lavorano nel volontariato; All’ Università, dove insegno, vedo molti studenti che s’impegnano, ragionano, danno il loro contributo. Mi auguro che queste risorse a qualcosa portino.”
Cosa si può fare per chi è rimasto senza lavoro?
“’Bisogna intervenire a livello sociale, sfatando anche alcuni pregiudizi. Il nostro Paese ha investito molto poco -a differenza di altri paesi- sul part time di cui si continua a diffidare. Eppure il part time da solo potrebbe risolvere molti problemi (se fossi un imprenditore lo faciliterei): dà lavoro e facilita la socializzazione, la ricostruzione del tessuto sociale. Anche un utilizzo accorto delle nuove tecnologie potrebbe far molto. Il secondo punto sarebbe prevedere degli incentivi per chi ha idee imprenditoriali nuove, nell’ambito del turismo, della valorizzazione della cultura, dell’ambiente e del benessere. Abbiamo zone bellissime, dove non esiste mentalità turistica. Abbiamo luoghi straordinari non conosciuti e non promossi. Se un turista scopre i Sassi di Matera o Paestum rimane senza fiato, ma questi luoghi non sono conosciuti valorizzati a sufficienza. Ed in Italia ne abbiamo davvero tanti. Il terzo punto dovrebbe essere investire nella cultura. L’università italiana ha avuto, solo negli ultimi 5-6 anni, un calo del 20% degli investimenti, un dato enorme. Il nostro è un paese che sembra schizofrenico: ha aderito al progetto della Commissione UE per portare la quota di laureati al 27% (attualmente da noi è del 20%) e, nello stesso tempo, le Università vengono ridimensionate, magari a scapito di quelle private (fatto che deve farci pensare).”
L’istruzione sta diventando un po’ una Cenerentola: in altri paesi ci investono, da noi la ridimensioniamo.
“Mi torna però l’ottimismo quando vedo i giovani che frequentano l’Università, che hanno voglia, passione, impegno. Se stimolati, al di là dell’idea del raggiungimento del titolo, possono dare molto. Ora occorre unire il diritto allo studio al diritto al lavoro. E anche il diritto a una certa ‘rabbia’: perché poter esprimere le nostre potenzialità nella vita lavorativa è fondamentale per la salute.”
Giuseppe De Paoli
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