Generalmente si fa risalire alla Musurgia universalis del grande erudito Athanaslus Kircher la prima compiuta formulazione della teoria degli affetti, che tanta parte avrà nella teoria e nella prassi musicale del XVII e XVIII secolo.
Può essere curioso e non privo di significato il fatto che nel tratteggiare tale teoria, quella teoria appunto che dovrebbe tendere a conferire alla musica una dimensione tutta terrestre e laica, sottolineandone l’efficacia psicologica, teoria che dovrebbe far piazza pulita di ogni residuo di teologismo medievale, Kircher parli ancora di “armonia universale” intendendo con ciò che “la Natura dell’universo non è altro che Musica perfettissima”. Come si concilia la teoria degli affetti secondo la quale la musica sembra ridursi ad una tecnica seppur sofisticata per produrre effetti ed affetti sugli ascoltatori con l’idea di un’essenza sovramondana dell’arte dei suoni, di un suo legame con i più occulti segreti dell’universo? Si tratta di contraddizione, di un ibrido connubio tra dottrine radicalmente diverse, o esiste un livello in cui esse possono conciliarsi o addirittura implicarsi vicendevolmente?
Non è facile dare una risposta categorica a questo interrogativo perché teoria degli affetti e teoria dell’armonia del mondo attraversano tutto il Barocco e l’Illuminismo intrecciandosi e incrociandosi di continuo dal Rinascimento sino al Romanticismo. Non è facile pertanto individuare i legami teorici e pratici tra una concezione che tende a soggettivizzare la bellezza musicale riducendola alle sensazioni da essa prodotte e agli affetti suscitati e una concezione che mira invece ad oggettivizzare la musica facendola coincidere con una legge matematica, specchio di un ordine superiore. Teoria degli affetti o musica come rivelazione di un principio divino: questi sembrano i due poli opposti e inconciliabili in cui si muove e si articola il concerto barocco, compresenza di sensualità e di religiosità, di concretezza terrena e di astrazione teologica, di frivolezza e di solenne austerità, trionfo della fantasia, della libera divagazione e della ferrea razionalità. Come capire altrimenti musicisti quali J.S. Bach e la presenza, nella sua immensa produzione, di opere di controllata mondanità quali i Brandeburghesi accanto ad altre tese verso la più alta astrazione quali l’Offerta musicale o Arte della fuga?
Se questo è il carattere sia della musica strumentale barocca, si può dire altrettanto di quella vocale e si allude in particolare al melodramma, la forma profana per eccellenza, dove tutto sembra tradursi sul piano terreno degli affetti e degli effetti sul pubblico? Se si è individuato nella spettacolarità uno degli elementi caratteristici del concerto strumentale barocco, si può ripetere la stessa affermazione per il melodramma, dove tutto è essenzialmente spettacolo, dove l’elemento rappresentativo è connaturato alla sua essenza più profonda? Non bisogna dimenticare che se tutto il barocco tende alla melodrammaticità, il melodramma, nonostante le sue origini umanistiche e letterarie, è nato sin dalle sue prime manifestazioni come autocelebrazione della musica.
Non per nulla il mito di Orfeo è stato non solo il primo soggetto di melodramma, ma per due secoli è stato direttamente o indirettamente il soggetto principe, preferito da tutti i musicisti sino a Gluck. Orfeo viene fatto rivivere sulle scene per glorificare il potere della musica: ma Orfeo non ha solo una valenza emotiva, non ha solo la capacità di mettere in atto la teoria degli affetti nel confronti delle divinità infernali; con Orfeo è la natura stessa della musica che vince la natura, la morte, le leggi terrene a cui sembrano sottoposte tutte le creature terrestri. Il melodramma barocco è stato giustamente definito come una gigantesca metafora non solo della società del tempo, metafora della festa e dell’autocelebrazione della società barocca, ma metafora della musica e del suo potere sull’animo umano, potere non solo emotivo, ma metafisico.
Prof. Enrico Fubini
GazzettaTorino è lieta di ospitare un estratto dell’intervento che il Professor Enrico Fubini ha tenuto per una conferenza a Palazzo Barolo.
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