La scelta di aprire uno studio di architettura così vicino a una stazione dei treni, quella di Porta Nuova, racchiude, forse, la prospettiva di partire spesso, di andare lontano.
L’ubicazione sta caratterizzando la storia di due giovani architetti: Simona Della Rocca e Alberto Bottero fondatori dello studio BDR Bureau che, per la terza volta, parteciperanno alla Biennale di Architettura di Venezia.
Infatti dal 20 maggio al 26 novembre 2023 inaugurerà uno degli eventi più celebri del mondo dell’arte, The Laboratory of the Future, titolo maestoso e ricco di ambizioni per la diciottesima Mostra Internazionale di Architettura.
La curatrice, Lesley Lokko, architetto e scrittrice, cresciuta in Africa, ha studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra ha insegnato all’Università di Città del Capo e attualmente vive tra il Ghana e Londra, ha selezionato unicamente tre studi italiani di architettura per partecipare a questa edizione così, a pochi giorni dall’inaugurazione, siamo stati nello studio BDR Bureau per intervistare i prescelti, cogliendoli nel fermento della preparazione di tutti i materiali da preparare e nell’eccitazione, agitazione per il poco tempo ancora a disposizione prima di partire.
Che tipo di progetto è quello che vi ha portato ad essere selezionati ?
Abbiamo progettato, assieme allo studio belga Carton123, la nuova costruzione di un edificio scolastico per bambini che sono affetti da forme di autismo, nel sito di Kappaert a Zwevegem, in Belgio.
Nonostante avessimo già maturato una certa sensibilità sul tema delle scuole, sviluppato il progetto della nuova Scuola Enrico Fermi, l’aspetto interessante è stato misurarsi con le esigenze dei bambini che richiedono delle attenzioni particolari di lettura e comprensione degli spazi. Abbiamo collaborato con un team di ricerca dell’università di Leuven e con la comunità scolastica. Come architetti, ci ha sempre interessato molto il tema dello spazio di mediazione e di transizione tra luoghi diversi, tra dentro e fuori, ma abbiamo capito che per questo tipo di situazione era particolarmente importante.
Avete dovuto seguire un protocollo, delle linee guida?
Sono stati fatti molti studi sul tema. Ci sono delle ricerche che hanno evidenziato come l’aspetto del controllo geometrico dello spazio è qualcosa di importante, però non ci sono delle linee guida da prendere e applicare. C’è stato una collaborazione diretta con i docenti e la comunità scolastica che conoscono perfettamente le esigenze dei ragazzi. Per noi è stato utile per cercare di essere più sensibili possibile e modulare un po’ le nostre scelte su questo tema. Quando la scorsa estate, siamo stati invitati dalla curatrice della biennale a proporre un progetto per il tema della biennale abbiamo valutato varie strade e poi abbiamo concordato che questo rispondeva bene al tema della mostra che è il laboratorio del futuro.
Conoscevate già i libri e il lavoro della curatrice?
Non così approfonditamente. È stata tutta una scoperta. La proposta di partecipazione mette insieme il tema del dialogo tra attori diversi: la comunità scolastica, il team di ricerca, gli altri architetti.
Avete dato un nome a questo progetto? La scuola non ha ancora un nome?
In realtà non ancora. Il distretto si chiama K Heart. Nemmeno la scuola ha ancora un nome.
Come rappresenterete il vostro progetto ?
Nelle corderie ci sarà un grande tavolo su cui verranno posti i modelli che raccontano le diverse situazioni spaziali. E poi ci sarà un frammento in scala uno a uno, che rappresenterà la soglia d’ingresso dell’aula.
Che tipo di descrizione scritta, d’infografica accompagnerà il progetto?
Come scelta curatoriale su ogni allestimento c’è un pannello con un testo manifesto e con i crediti del progetto di tutto il team.
Quali tipi di materiali sono previsti per edificare la scuola?
Sono tre edifici su più livelli realizzati con laterizio, cemento e legno.
Avete progettato anche i mobili della scuola?
Sì, tutti i dispositivi fissi come, ad esempio, il sistema di sedute.
La modalità progettuale che avete usato in passato, l’avete riutilizzata in qualche modo? Ci sono delle prassi costanti che vi rappresentano oppure è stato un lavoro ex novo?
Il tema dello spazio, del confine è qualcosa che ritroviamo un po’ in tutti i nostri progetti. La modalità di racconto la si ritrova anche nelle altre biennali che abbiamo fatto. La prima Biennale nel 2016, Padiglione Venezia, con una visione sul futuro di Porto Marghera e la seconda Biennale nel 2018, Padiglione Italia, con un progetto di ricerca sul riuso degli scali ferroviari.
L’architettura è un pò una Cenerentola in questa città, appare un tema poco dibattuto, voi cosa ne pensate?
Sì, è tristemente vero. Però la cultura architettonica è importante, perché la città è disegnata da cultura. L’ordine ha un ruolo importante da un punto di vista culturale. Quando abbiamo vinto il primo premio di Torino fa scuola per la ristrutturazione della scuola media Fermi, è stato un riconoscimento passato estremamente in sordina.
Com’è essere selezionati?
Quando abbiamo ricevuto la lettera, non potevamo crederci. Di italiani ci siamo solo noi e altri due giovani studi uno di Venezia e l’altro di Roma. Insomma, una scelta coraggiosa, perché uno studio molto grande non fa tanta fatica a produrre tutto il materiale necessario per raccontare una mostra.
Come avete scelto l’idea di proporre il progetto con i plastici?
In generale quando visitiamo le mostre ad entrambi piace la materialità. Perché poi l’architettura è materiale e si vuole dare l’esperienza dello spazio.
Che cosa ne pensate dell’intelligenza artificiale applicata al vostro campo lavorativo?
Non siamo così informati. Non so bene come funzioni esattamente. Durante tutta la fase progettuale di studio cerchiamo di lavorare con gli strumenti più tradizionali, quindi lo schizzo classico.
Chi sono i grandi architetti che amate di più e se vi hanno ispirato?
È difficile dirlo, non avendo avuto in prima persona dei maestri, è difficile trovare dei riferimenti. E non averne avuti per certi versi è liberatorio. Noi ci siamo formati al Politecnico di Torino, abbiamo studiato all’estero per l’Erasmus, in Belgio e in Spagna, poi in Giappone e India per la tesi. Nel tempo ci siamo un po’ formati in autonomia. Siamo affascinati dai maestri del moderno, come, per esempio l’opera di Le Corbusier di cui abbiamo visto quasi tutto.
Nel dialogo, durante l’intervista, si evince il desiderio dei due architetti di lavorare nell’edilizia pubblica per migliorare le condizioni degli spazi di quotidianità delle persone, esempio virtuoso ne è il progetto della Scuola Media Fermi di Torino, interamente riqualificata, premiato nella categoria Architettura Emergente dell’Unione Europea per l’Architettura Contemporanea 2022 – Mies van der Rohe Award, tra i più prestigiosi contest europei.
Per accordo di riservatezza tra lo studio e la Biennale, purtroppo non ci è stato possibile pubblicare le immagini del progetto selezionato.
Che uno studio torinese partecipi alla Biennale di Architettura di Venezia è senza dubbio motivo d’orgoglio per la città, portandola sul più importante palcoscenico internazionale dedicato all’architettura; speriamo possa essere una occasione d’incoraggiamento per riflettere con fantasia, buon senso e un minimo d’audacia, sulle scelte urbanistiche e costruttive del futuro.
Bertaina – Cappiello