Tea Taramino, artista ed esperta di arte e sociale, ci introduce nei mondi dell’Arte Irregolare e dell’Arte Partecipata attraverso la sua esperienza torinese.
Da diversi anni ti occupi del rapporto tra arte e sfera sociale ci racconti la tua esperienza dagli esordi fino ad oggi?
La mia attività lavorativa ha inizio negli Anni Ottanta (1982) quando, come dipendente della Provincia di Torino, ho fondato il Laboratorio La Galleria (ora Circoscrizione 8), un atelier di attività espressive che progressivamente si è aperto a tutti, con particolare invito agli artisti, disposti a relazionasi con i nostri autori. Il laboratorio, da allora, opera per valorizzare le persone con disabilità (o in situazione di fragilità) e per costruire rapporti con il territorio attraverso una costante collaborazione con Scuola, Università e Dipartimenti Educazione dei Musei di Arte Contemporanea o associazioni culturali.
Abbiamo lottato per ottenere attenzione e mezzi, ma per fortuna – a quel tempo – si respirava una certa aria di cambiamento sia sulla spinta della riforma basagliana sia in relazione ai nuovi assetti politici territoriali che – incalzati dai cittadini – guardavano in modo nuovo alla città.
Comprese in quello sguardo erano le istituzioni dedicate alla cura delle persone con disabilità o con problemi psichici. Era un’epoca in cui le persone con difficoltà intellettive erano definite “subnormali”. Anche il linguaggio come il modo di vedere queste persone nel corso del tempo è, fortunatamente, mutato.
Aprire un laboratorio del sociale al necessario confronto con il mondo esterno, è stato piuttosto complicato in una fase iniziale, poi poco alla volta, grazie alla collaborazione di artisti, esperti di varie discipline, educatori, alcuni funzionari pubblici ispirati, come Giovanni Callegari, e critici, come Angelo Mistrangelo e Giovanni Cordero, la nostra realtà ha iniziato ad essere considerata e compresa.
I miei colleghi ed io abbiamo cercato di portare la disabilità fuori dalle restrizioni in cui era sempre stata confinata, focalizzando l’attenzione sulle capacità – di ogni singolo autore – e non sulle mancanze. Uno dei primi approcci verso l’esterno, con il collega artista Giustino Caposciutti, è stato quello di organizzare mostre, anche con l’intervento e la collaborazione di artisti già affermati. La prima grande esposizione Cercato & Trovato, risale al 1986, e fu attuata con il contributo di Ettore Fico, Francesco Casorati, Tino Aimone, Romano Campagnoli che, venuti a trovarci in atelier, avevano considerato interessanti le personalità artistiche e singolari dei nostri autori. Li apprezzarono al tal punto che decisero di esporre insieme a loro in una grande mostra al Palazzo Vela di cui resta il catalogo. Vi fu anche una grande affluenza di pubblico che ci incoraggiò a proseguire con le mostre.
Pian piano il rapporto con gli artisti si è consolidato e questo dialogo con il mondo dell’arte e della cultura è sfociato anche nel progetto di arte condivisa “L’ho dipinto con…” (da un’idea dello psicoterapeuta Giuseppe Campra dell’Università della Terza Età) successivamente trasformato da me in Arte Plurale, grazie al coinvolgimento diretto di educatori e insegnanti (anche nella fase progettuale), insieme ad artisti ed esperti dei diversi linguaggi e pratiche della contemporaneità.
Attraverso quest’iniziativa si è sviluppato un percorso di Arte Relazionale e Partecipata che ha preso corpo con la realizzazione di lavori a più mani progettati con artisti come Enrico De Paris, Victor Kastelic, Andrea Massaioli, Bartolomeo Migliore e tanti altri in seguito. Si sono attivati laboratori, organizzati convegni e seminari, allestite mostre in spazi esterni importanti e dedicati all’arte ufficiale: un modo per sensibilizzare il pubblico e fare cittadinanza attiva.
Dopo diversi anni di lavoro nel 2001 il Servizio Disabili della Città di Torino, inaugura InGenio bottega d’arti e antichi mestieri, un luogo di riferimento stabile sul territorio, una vetrina in pieno centro cittadino, vicino alla Mole, dedicata alla vendita e all’esposizione di manufatti artigianali e opere d’arte prodotti nei laboratori della Città, delle cooperative sociali e delle associazioni. Nel 2011 inaugura nelle vicinanze InGenio Arte Contemporanea, una galleria, laboratorio di idee, in cui vengono presentati gli esiti del rapporto che, man mano, è andato crescendo con Università, Istituzioni scolastiche, Associazioni Culturali, Musei e Fondazioni, dove si espone una selezione di opere ed oggetti con una evidente qualità estetico-formale e di contenuto, risultato di ricerche educative e artistiche significative. L’obiettivo è che InGenio possa dialogare con gli altri spazi dedicati alla contemporaneità artistica presenti sul territorio.
Come è nato il progetto di arte relazionale Arte Plurale? Quali sono gli obiettivi che vorresti raggiungere nel prossimo futuro?
Arte Plurale nasce a Torino nel 1993. Dapprima con il nome di L’ho dipinto con… (esito della sinergia tra UNITRE – Università della Terza Età e i servizi pubblici per disabili del Comune e della Provincia di Torino), consisteva nell’incontro fra un artista professionista e un artista dei laboratori e rispettava schemi di lavoro focalizzati sull’utilizzo della pittura come unico medium relazionale. In seguito ho proposto di modificare non solo il nome del progetto (che in effetti era riduttivo), ma anche di aprire alle diverse pratiche della contemporaneità artistica e riconoscere i vari modi di fare arte condivisa o partecipata. Grazie a chi si è lasciato coinvolgere, e ha dato il suo contributo fattivo e in termini di pensiero, siamo riusciti ad attivare un concreto percorso di avvicinamento e scambio reciproco, tra realtà diverse, volto alla conoscenza dell’altro e mosso dal desiderio di migliorare la qualità della vita attraverso l’arte.
Il Convegno organizzato a Torino a Palazzo Barolo nel 2004 – in cui sono intervenuti, artisti (come Cesare Pietroiusti, Giorgio Griffa, Piero Gilardi), critici, antropologi, esperti del settore che fu indetto per ragionare e confrontarsi sul valore del lavoro condiviso – ha segnato un momento fondamentale nel dibattito torinese sulla relazione tra Arte e Sociale, una relazione che muove progettualità, desideri, piani di comunicazione del vedere l’altro ed essere visti, che è necessario affrontare in modo serio e da diverse prospettive.
Per me occuparmi del progetto Arte Plurale ha significato scoprire e lasciare spazio a differenti visioni del mondo e alle diverse interpretazioni: questa nuova impostazione ha attirato soggetti e gruppi di lavoro interessanti, artisti, studenti, dipartimenti educativi museali, psicologi, architetti, galleristi, critici e storici dell’arte.
Il nucleo originario del progetto è sopravvissuto, ma intanto siamo riusciti a presentare altri progetti di ricerca che utilizzavano l’arte per far comunicare interlocutori con problematiche e potenzialità differenti. E’ stato molto interessante essere parte attiva nell’evoluzione dell’iniziativa. Ho imparato molto da tutti.
Oggi Arte Plurale è una piattaforma che vanta una rete internazionale di partner e che valorizza gli scambi, tra arte ufficiale e realtà umane e culturali periferiche, che avvengono in diversi momenti in Italia e in Europa, anche in realtà extra europee. Mi auguro che si possa sempre più incrementare questo aspetto di connessione tra modi e mondi.
Uno degli aspetti, a mio parere, da sviluppare in futuro è senza dubbio quello legato alla restituzione degli esiti del lavoro in termini di documentazione, comunicazione e divulgazione. Da sempre sono stati prodotti piccoli cataloghi delle edizioni della manifestazione Arte Plurale e di qualche altra mostra con singoli autori. Purtroppo per mancanza di fondi non è stato possibile pubblicare il catalogo e gli atti dell’ultimo convegno internazionale di Arte Plurale del 2013. E’ un vero peccato che non si riesca a dare il meritato rilievo ad iniziative di questo tipo che, se ben documentate, potrebbero essere anche interessante materia di studio per studenti, esperti del settore e non solo.
Ultimamente grazie all’incontro di intenti, alla collaborazione e alla competenza dell’Associazione Arteco (composta da storici dell’arte come Beatrice Zanelli, Annalisa Pellino, Elisa Campanella, Erika Cristina e Fabio Cafagna e più recentemente anche dall’artista Chiara Baldi) stiamo facendo notevoli passi avanti in questo senso. Grazie al loro lavoro abbiamo beneficiato di un contributo teorico, un supporto strategico sul piano della comunicazione, dell’organizzazione di eventi e della produzione di cataloghi, in particolare legati alle esperienze delle due edizioni di L’arte di fare la differenza (2012-2014) che è un progetto di arte condivisa, ideato dalla antropologa culturale Annamaria Pecci con la collaborazione di Gianluigi Mangiapane del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino.
Inoltre dal 2012 collaboro anche con Torino Mad Pride, un movimento che si propone di ripensare al disagio psichico come risorsa, promuovendo il diritto di vivere la propria condizione con dignità anche attraverso l’arte. Ultimamente stiamo sviluppando un progetto di arte relazionale e di curatela di mostre insieme e con altri soggetti.
I ragazzi con disabilità che frequentano il laboratorio si confrontano anche con studenti del Liceo Artistico, dell’Università di Torino, del Politecnico di Torino, dell’Accademia Albertina di Torino, della Scuola di Arte-terapia di Milano nell’ambito di tirocini formativi o di progetti a tempo dedicati e finalizzati allo sviluppo educativo o artistico dei soggetti coinvolti. Questo lavoro è ricco di innumerevoli occasioni di confronto a più livelli.
L’arte che si sviluppa nel sociale storicamente si confronta con l’arte ufficiale. Hai collaborato con qualche artista contemporaneo nel tuo percorso di ricerca?
Oltre a quelli riportati prima citerei innanzitutto Giustino Caposciutti e Mauro Biffaro (che aveva gettato le basi per l’attività educativa al Castello di Rivoli), che sono due figure di riferimento storiche per me e molti dei miei colleghi. Poi aggiungerei Angelo Garoglio, Hiroaki Asahara, Manuele Cerutti (che hanno anche lavorato per diversi anni come tecnici di atelier) e più di recente Cosimo Veneziano, Giulia Gallo, Maya Quattropani, Alessia Panfili, Simone Sandretti e numerosi altri altrettanto bravi e interessanti.
Le istituzioni riconoscono l’importanza di questa iniziativa? In che modo vi supportano?
Il Comune, in quanto siamo un servizio pubblico della Divisione Servizi Sociali e Rapporti con le Aziende Sanitarie, Servizio Disabili investe a livello economico sulle nostre attività, perché siamo una sua emanazione. L’Assessorato alla Cultura, credo abbia altre priorità e non ha potuto, sino ad ora, darci un sostegno in più, anche se Torino è una città molto attiva e interessante, è una realtà unica con una rete così ampia e capillare di attività che s’incontrano in un intreccio tra pubblico e privato, tra associazioni, cooperative sociali, università, musei. Le nostre attività si svolgono sia nell’ambito culturale sia in quello sociale, sarebbe utile che questa porosità tra i due universi venisse alla luce.
Qui a Torino, custodisci un Archivio di Arte Irregolare molto ampio e articolato, in che modo hai raccolto e iniziato a schedare le opere?
Fin dai primi laboratori di pittura ho iniziato a raccogliere e datare i lavori singolari, originali e individuali, dei ragazzi come metodo operativo. Raccogliere numerose opere per ogni autore è utile per comprendere sia le loro storie personali sia lo sguardo operativo a esse dedicato e permette l’osservazione dei fili conduttori, delle insistenze e delle eventuali trasformazioni. Inoltre nel corso degli anni ho condotto anche ricerche collaterali sul tema della ripetitività e sull’uso della scrittura nelle opere spontanee delle persone con disabilità e, frequentando altri centri, ho individuato alcuni artisti interessanti dei quali ho raccolto le opere, soprattutto quando ho compreso che, in parte, venivano eliminate come rifiuti. Oggi nel laboratorio La Galleria esiste un archivio di 30.000 opere e più, in incremento.
La collaborazione con l’Associazione Arteco è proseguita soprattutto nel frangente più propriamente di Arte Irregolare. In particolare dal 2015 con il progetto regionale di valorizzazione Mai Visti e altre Storie, da me ideato e curato da Beatrice Zanelli e Annalisa Pellino con Elisa Campanella e Chiara Baldi, si sta sviluppando anche un nuovo organismo, che parte dall’organizzazione del materiale in forma di archivio scientifico (con la schedatura dei lavori, la redazione della biografia di ciascun autore e la realizzazione di un sito per la consultazione on line www.maivisti.it), oltre a momenti di formazione rivolta a studenti, insegnanti e operatori. Per approfondire questo importante nuovo capitolo ti invito a venire in Archivio e dialogare anche con loro.
Ma direi di più, in Italia manca in qualche modo quella visione di sistema che dovrebbe dare la giusta credibilità all’Arte Irregolare, ad esempio, anche se è un’arte che per sua natura nasce al di fuori dei circuiti ufficiali e talvolta volontariamente li ignora.
Sarebbe interessante istituire una “casa comune”, ossia un Museo o Centro Studi che possa raccogliere e custodire, come avviene a livello internazionale, le istanze dell’Arte Irregolare quale realtà artistico-culturale in ombra, ma molto presente sul territorio.
Fino al 9 ottobre prossimo, a Palazzo Barolo, sarà possibile visitare due mostre che ti vedono protagonista come organizzatrice e curatrice. Di cosa si tratta?
Le due mostre presentano le diverse facce e i diversi filoni di ricerca, quello al Singolare e quello al Plurale, dell’arte che si sviluppa nella relazione fra servizi alla persona e ambiti sociali e culturali ufficiali.
La prima, COMPLEMENTI DI LUOGO. Abilità multiple per affrontare il viaggio, a cura di Salvatore Giò Gagliano e Diego Pasqualin di StudioDieci di Vercelli è una mostra, sul tema del viaggio, che pone l’attenzione su come l’arte possa rivelarsi un luogo di libero confronto tra realtà differenti, un’occasione per riflettere sulla fluidità dei confini tra arte irregolare e arte contemporanea riconosciuta.
La seconda, TRAMARE. Di filo in segno e di luogo in logo: FiloArX di Giustino Caposciutti e Cosimo Cavallo – la memoria e l’insistenza, curata da me e dall’artista Alessia Panfili, con interventi del Torino Mad Pride e contributi critici di Roberto Mastroianni è un duplice momento di sperimentazione e contaminazione proposto al pubblico.
Giustino Caposciutti è fautore di esperimenti di condivisione che prevedono un’opera d’arte collettiva, contaminata e partecipata. Saranno visibili due fra le grandi tessiture storiche, esito del progetto FiloArx un work in progress dal 1993 e il video di TESSEREXTESSERE, performance collettiva durante Arte Plurale dal 2009 al 2013.
Cosimo Cavallo, invece, è uno degli autori di Arte Irregolare valorizzati dal progetto Mai visti e Altre Storie.
Egli si fa portavoce della ricchezza insita nella perdita. In mostra sono presentati disegni, penna su carta, e dipinti che descrivono paesaggi, volti, emozioni in una ripetizione che ne amplifica l’urgenza comunicativa.
Ho conosciuto Cosimo quando nel 2012 i componenti del Torino Mad Pride avevano occupato l’ex zoo di Parco Michelotti. In quell’occasione è stato accolto nel loro movimento.
Che rapporti avete con l’Opera Barolo?
Con Opera Barolo la Città di Torino ha un rapporto storico che – per quanto riguarda noi che facciamo arte nel sociale – risale al 1995 dando accoglienza, da quell’anno, a diverse edizioni di L’ho dipinto con… e poi Arte Plurale e altre iniziative.
In un paese orfano di strutture museali pubbliche dedicate alle arti irregolari o alle ricerche nell’ambito della scultura sociale, qui in città, grazie a questa collaborazione si è sviluppato Singolare e Plurale: un fitto programma di mostre, performance su strada, laboratori e convegni frutto di tale collaborazione ventennale fra l’Opera Barolo – Fondazione erede dal 1864 del patrimonio dei visionari Marchesi di Barolo – e la Direzione Politiche Sociali e Rapporti con le Aziende Sanitarie della Città di Torino, Servizio Disabili.
Singolare e Plurale è un’iniziativa sbocciata nel 2015 per rinvigorire il patrimonio di esperienza della pluralità di enti, pubblici e privati, che da tempo sono dediti ad attività di contrasto alla marginalizzazione anche attraverso arte e cultura. Una rassegna che ho l’onore e il privilegio di curare.
I due Enti, che hanno come obiettivo comune la valorizzazione del capitale umano cittadino, soprattutto nelle sue componenti più deboli ed emarginate, riconfermano una collaborazione volta a trovare progettualità culturali condivise che abbiano al centro l’arte come motore di cambiamento, crescita personale, salute pubblica e welfare sociale. Da qui è nato il programma – comprensivo del progetto InGenio va a Palazzo- distribuito in tre luoghi chiave che uniscono punti della città rilevanti, sia per interesse turistico sia per le arti cosiddette irregolari e partecipate: lo storico Palazzo Barolo – sede dell’Opera – vi dedica spazi importanti dell’edificio barocco; InGenio Arte Contemporanea e InGenio bottega d’arti e antichi mestieri, luoghi di condivisione e confronto – in pieno centro cittadino – gestiti dall’Ente pubblico. Le performance su strada tracciano giocosi collegamenti con il territorio e rendono ulteriormente partecipe la cittadinanza.
L’intuizione innovativa della Marchesa nel creare un legame tra assistenza, educazione e cultura, ovvero di connessione tra bellezza e welfare, che prevedeva, non solo, di fornire sostegno materiale alle persone bisognose, ma anche di intendere la cultura come possibilità di crescita e confronto è ancora viva grazie all’Opera Barolo. Noi siamo welfare a vocazione culturale, mentre l’Opera Barolo è patrimonio a vocazione sociale: c’è stata una sintonia di obiettivi che, grazie alla loro generosità, condividiamo e sviluppiamo insieme.
www.comune.torino.it/pass/arteplurale/
www.maivisti.it
www.operabarolo.it