“Princìpi. Costruire per le generazioni”: questo il titolo scelto dal Politecnico di Torino per l’edizione 2022 di Biennale Tecnologia, che si è svolta dal 10 al 13 novembre, con un fitto programma di 130 incontri e 280 ospiti da tutto il mondo.
Il tema ha proposto una duplice prospettiva di riflessione: da un lato ripercorrere i princìpi fondativi che hanno guidato il cammino dell’uomo fino ai giorni nostri, dall’altro, come spiegano i curatori dell’evento, “gettare le basi per quelli che saranno i nuovi inizi, necessari dato il clima di complessità – a livello individuale, ambientale e geopolitico – che l’umanità sta fronteggiando.”
Un ripensamento urgente e ambizioso, sul quale si sono espressi illustri accademici ed esperti dei vari campi del sapere, in un clima di confronto e di dialogo che ancora una volta ha coinvolto il pubblico di tutte le età e di differente formazione culturale.
Tra le voci più significative, quella del prof. Miguel Benasayag e quella del prof. Carlo Ossola hanno offerto provocazioni utili per orientarci nell’incertezza di questo tempo.
Il filosofo e psicanalista Benasayag, in collegamento da Parigi, è stato protagonista dell’incontro “Pensare e agire nella complessità”, da lui definita “emergenza storica di una trasformazione”. Il relatore ha sottolineato l’urgenza di cambiare paradigma rispetto al passato, in cui l’uomo tecnologico, l’ingegnere, trovava soluzioni “lineari” per raggiungere obiettivi di benessere: “oggi occorre mettere un limite a questo processo di trasformazione volto a dominare l’ambiente – ha detto – e cercare invece nuovi modelli di progresso.
” Benasayag ne ha colti quattro, che coesistono nella nostra società: ci sono coloro che continuano a progettare con fiducia nella tecnologia e persino con la prospettiva di conquista di altri pianeti, c’è chi similmente crede nel progresso ma “con la gentilezza della sostenibilità”, chi invece più radicalmente propone una coabitazione tra tutte le specie e di riconoscere lo stato giuridico ad ogni elemento delle natura, infine chi vede il singolo come parte di una comunità umana in cerca di una nuova identità, non più autocentrata, ma dove ognuno è integrato col proprio ruolo in una molteplicità.
Benasayag ha invitato gli ascoltatori a riflettere su una nuova “re-individuazione” e a coltivare “il desiderio di vivere altramente”, con sobrietà e imparando a perdere le certezze, a stare momentaneamente nel non senso, benché sia una dimensione difficile per l’uomo. Secondo il filosofo, siamo in una fase storica di profonda riflessione e grandi potenzialità di cambiamento, dove l’uomo deve “cambiare l’immaginario, coabitare col non sapere, che non va percepito come ignoranza né motivo di tristezza, bensì è importante saper vivere in quel mistero di ombra e luce insieme”, necessario per concepire un nuovo sistema di relazioni e di stare al mondo.
Quasi si fossero accordati, in serata il prof. Carlo Ossola ha sviluppato la prospettiva di ridefinizione dell’uomo e del sapere, durante l’incontro dal titolo “Per un sapere in atto, bildung e paideia”.
Il celebre accademico e letterato è partito dalla considerazione della crisi dei saperi, conseguenza dell’aver chiesto alla techne di coprire anche la paideia: “viene a mancare l’aspetto formativo di consolidamento di ciò che viene e-dotto, tirato fuori, per cui ancora oggi si pone il problema di conciliare le scienze tecniche con l’uomo”. Una riflessione che nel Novecento aveva appassionato Queneau e Calvino: il prof.Ossola li ha citati con riferimento a “Le chant du styrene”, breve filmato in versi sull’utilità della plastica, sceneggiato da Queneau. Ossola ha ricordato che Calvino tradusse il testo del film anche con l’apporto di Primo Levi per i termini chimici: “fu l’ultimo lavoro di Calvino, prima della sua morte improvvisa ed è interessante il primo verso dell’opera, in cui Queneau citò reinterpretandolo un verso di Alphonse de Lamartine: O temps, suspends ton vol (tempo sospendi il tuo volo) divenne infatti O temps suspends ton bol, ovvero la ciotola (vaso di plastica del film)” Una misteriosa richiesta al tempo, affinché fermasse il vorticoso incedere della modernità? Calvino tradusse il verbo suspends con “ferma”, forse giocando sulla bisemia della parola italiana: il prof. Ossola ha sottolineato infatti che “fermare” significa “arrestare”, ma anche “consolidare”, quasi che Calvino chiedesse al tempo di consolidare la forma, intesa come “garanzia visibile di un processo riuscito, percepibile solo se ben descritto.” D’altra parte Calvino fece della nettezza un elemento cardine del suo stile e dei suoi saggi.
Ma oggi siamo ancora capaci di questa esattezza descrittiva? “Forse no -afferma il prof. Ossola – perché abbiamo perso il senso del processo compiuto per sempre”. Ma forse questo limite apre a un cammino di ridefinizione futura.
Il relatore conclude citando i versi della Divina Commedia a suggello della prospettiva di perpetua incompiutezza e perfettibilità dell’uomo: “perch’io te sovra te corono e mitrio” (Purg. XXVII), le parole con cui Virgilio saluta Dante con una sorta di investitura affinché il discepolo diventi signore di sé, contemperando virtù e ragione, ma nella consapevolezza di un cammino mai definito per sempre.
Anche per l’uomo di oggi si aprono quindi scenari di un futuro in via di costante ridefinizione, a condizione – conclude Ossola – “che si lasci nei sistemi tecnicamente perfetti un margine di indecisibilità”.
Chiara Tamagno