La Vauxhall ‘Prince Henry’ Sports Torpedo, del 1914, è generalmente considerata la prima vera macchina sportiva, una “bomba” da 25 cavalli. Era bianca. Da allora, il bianco perlopiù va bene per le ambulanze, come il nero per i carri funebri. Fino, cioè, ai tempi recenti. Ora, negli Stati Uniti – che per le dimensioni del mercato tendono a dettare legge nel marketing automobilistico – nero e bianco sono di gran lunga i due colori più popolari per le auto di tutti i tipi.
Secondo dati della rete nazionale CarMax, nel periodo 1/12/2017-30/11/2018, oltre il 40% delle vetture vendute negli Usa sono state o nere o bianche. Insieme con la soluzione di compromesso, il grigio, il terzo colore automobilistico più popolare, si arriva appena sotto il 60% di tutte le auto vendute.
Andando per tipo di carrozzeria, è possibile pensare che almeno per le macchine sportive potrebbero andare dei colori meno sottomessi – poniamo un bel rosso fiammante – ma non è così. Il nero domina in maniera pesante i segmenti coupé, berlina a quattro porte, decappottabili e sportive.
Il bianco regna invece per le camionette, i minivan, e le station wagon – i mezzi scelti per i ruoli percepiti come d’utilità, come i taxi in Italia. L’unica macchina italiana a figurare nella lista delle “best seller” americane – la Fiat 500L – si vende meglio nel colore “verde bosco”, la scelta del 14% degli acquirenti della vettura.
Ovviamente esistono ancora i veicoli dai colori più vivaci, ma la distribuzione geografica delle vendite di questi è controintuitiva. Le auto rosse si vendono meglio in assoluto nello Utah, lo stato dei Mormoni, con circa il 12% del mercato locale. Le auto arancioni (sì) invece vanno meglio nello sperduto stato di Nebraska, mentre in California un quarto di tutte le macchine vendute è di colore bianco.
Le mode e i gusti nazionali negli Usa non nascono nello Utah o nel Nebraska. Una volta gli americani erano noti – quasi famosi – per una sorta di debolezza nazionale per i colori sgargianti, o almeno “poco severi”. Pare non sia più così.
Courtesy James Hansen