Negli anni in cui la Chiesa metteva le braghe ai santi, Caravaggio si accingeva a svestire, denudare: i corpi e la stessa materia. E’ a causa di questa, un’altra nudita’, piu’ profonda, diretta, non fraintendibile, scevra da ogni manierismo e per via del suo vissuto burrascoso, del suo carattere, che il pittore del chiaro scuro si accolla da subito l’appellativo di scandaloso, eretico, immorale.
Tra il sacro e il profano, così come viene definita la sua pittura, con il suo crudo Realismo , consacrandolo ante litteram, come il precursore della fotografia, Caravaggio non solo rivendica la sensualita’ dei medesimi, i corpi, evidenziati, messi “ a nudo” ,in posa, secondo una precisa angolazione e torsione plastica quasi michelangiolesca: sottraendosi a qualsiasi giudizio, ne mostra la corruzione naturale.
Quella indistinta: di cose e persone, di un quotidiano soggetto ed esistere nei suoi molteplici aspetti. Ecco che il verme presente nella mela bacata, le foglie secche delle sue nature morte tutt’altro che ornamentali, l’ ambiguita’ nello sguardo malizioso ed ammiccante, erotico, del bacchino dalle labbra livide, così come la pelle verdastra, sono semplicemente il frutto incombente di un lento decadimento temporale, fisico e morale. L’espressione umbratile, piu’ recondita , evocando quell’oscillazione junghiana – tra Luce ed ombra – facente parte di noi , in qualche modo, ci possiede. Così come canto proibito delle sirene, nell’eco rimandantoci dall’immediatezza visiva, potente, inquieta e inquietante, conturbante, talora drammatica, ci ammaliano e possiedono i suoi quadri: rimescolando colori e viscere.
Eppure nelle sue opere, alla fine, la luce riemerge sempre dal buio, focalizzando in primis ed in primo piano l’attenzione , svelando l’intenzionalita’ , il motivo dell’opera. Ecco come nel “ San Giovanni Battista”, un’ opera ascetica, dipinta intorno al 1604 /1606, a tema caravaggesco ricorrente, (ne dipingera’ ben 8 ) il panneggio rosso che l’avvolge, per contrasto, non solo la colora.
La luce salvifica che riemerge dalle tenebre, indicandoci prepotentemente dove guardare, finisce per illuminarla. E’ un faro puntato sulle mani indurite dal sole, sul torso pallido, adolescenziale, del ragazzo spogliato, per far da modello al quadro, in quella sorta di conclamata umanizzazione a tratti dissacrante della sacralita’ (temi ricorrenti nelle sue opere) ad accomunare e a richiamare l’attenzione sulle paragonabili fattezze, sul viso glabro e sullo sguardo inclinato, malinconico, dei più moderni, pasoliniani, ragazzi di vita.
Anch’essi soli, permeati di solitudine, in un metaforico deserto. Accanto a lui gli elementi iconografici dell’opera che ne rivelano l’identita’: la croce di canne, la ciotola per i battesimi, sullo sfondo, appena visibile, il tronco di cipresso, simbolo cristiano di immortalita’. Una curiosita’: soltanto a partire dal 1951 sarà Roberto Longhi, uno dei maggiori critici d’arte italiani, a riscoprire Caravaggio in una corposa esposizione milanese ed a valorizzare tutto il suo modernismo, proiettandolo verso l’ascesa internazionale.
L’ esposizione dell’ opera “Il San Giovanni Battista” di Caravaggio, ( per la prima volta a Torino) proveniente dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, è visibile sino al 31 maggio, presso la Galleria Sabauda nelle sale delicate ai pittori caravaggeschi, al primo piano della Galleria Sabauda. Un’occasione unica ed imperdibile per ammirarne non solo l’ampia collezione, ma per compiere un viaggio, attraverso una delle opere intramontabili di questo grande maestro del colore.
Eva Gili Tos