“La scoperta del segreto della produzione della porcellana dura di tipo cinese costituì, ai primi del ’700, un grande avvenimento, tecnico anzitutto, e quindi artistico e industriale. E poiché il segreto non restò a lungo privilegio della fabbrica di Meissen, dove nel 1710 la scoperta era avvenuta per opera di Johann Friedrich Böttger, non vi fu stato grande o piccolo in Europa che presto o tardi non abbia intrapresa la fabbricazione del nobile e prezioso prodotto.”
Così Vittorio Viale, direttore dei Musei Civici di Torino, riassunse, nel catalogo della famosa Mostra del Barocco Piemontese, del 1963, l’antefatto a cui si doveva, nello stato sabaudo, la nascita di una fabbrica di porcellana su larga scala. Seguivano 56 tavole riproducenti gli esemplari esposti, la gran parte di proprietà dello stesso museo cittadino: manufatti datati da circa la metà del Settecento al secondo decennio dell’Ottocento. Tanto era durata la produzione autoctona di porcellana.
E che si trattò di una vicenda dai tratti avventurosi, come ebbe ad esprimersi Viale (ripreso nel titolo) non vi è dubbio. A raccontarla è la mostra dal titolo “Oro bianco. La ricerca della bellezza. Porcellane di Vinovo”, visibile fino al 28 aprile al Castello di Vinovo. Il catalogo, a cura di Massimiliano Brunetto, risponde ai tipi di Sagep Editori (2019).
La narrazione prende avvio dal luogo, perché a differenza della Mostra del 1963, le porcellane che i visitatori potranno ammirare si trovano proprio dove furono create.
Dopo due tentativi, a Torino e a Vische, la fabbrica di porcellane dello stato sabaudo ebbe un nuovo avvio nel 1776, a Vinovo, l’ex castello rinascimentale della famiglia Della Rovere, successivamente incorporato nel patrimonio regio. Lo storico edificio, con suoi grandi ambienti, già ospitava attività varie, fra cui una filanda, e un laboratorio di passamaneria di seta, ma la nuova manifattura richiese la costruzione di altri spazi e soprattutto di forni. Questi fabbricati, oggi non più esistenti, si possono osservare in una veduta di Carlo Bossoli datata 1873.
Da cinquant’anni non si producono più porcellane e tra le tegole sconnesse del tetto si arrampicano le zucche. Dopo il luogo, i protagonisti, fra i quali spiccano Pierre Antoine Hannong di Strasburgo e Vittorio Amedeo Gioanetti di Torino. Il primo, esperto arcanista e tecnico, condusse l’impresa di Vinovo nella prima fase, dal 1776 al 1780, quando chiuse per fallimento. Il secondo, valente medico e chimico torinese la riaperse ben presto e vi si impegnò fino 1815, quando ottantaseienne morì.
Sono due figure che paiono contrapposte, inaffidabile Hannong e “quasi uomo della provvidenza” il Gioanetti. Egli non solo evitò la cessazione delle attività, ma anche grazie alle sue conoscenze scientifiche fece in modo che si utilizzassero terre locali, la magnesite di Baldissero, l’argilla di Barge, il felspato di Frossasco e il quarzo di Cumiana. Così facendo le porcellane di Vinovo crebbero in bianchezza e pregio.
Ed ora gli oggetti. Oltre al vasellame si produssero piccole sculture e accessori, quali fibbie per scarpe e bottoni. Ciascuno di questi manufatti, così fragili eppure sopravvissuti ai loro proprietari, meriterebbe di essere descritto. O meglio visto dal vero per apprezzarne forme, decoro e colori.
E’ un invito a visitare la mostra a cui aggiungo tre suggerimenti per chi si fosse nel frattempo appassionato all’argomento porcellana, due libri ed un film.
UTZ, di Bruce Chatwin (Adelphi 1989). Il protagonista del romanzo Kaspar Utz è un grande collezionista di porcellane di Meissen.
La strada bianca, di Edmund De Waal, Bollati Boringhieri 2016. L’autore egli stesso ceramista racconta la propria passione per “l’oro bianco” e ne ricostruisce la lunga storia.
I favoriti della luna, di Otar Iosseliani, 1984. I cambi di proprietà di un servizio di Sèvres rubato.
Anna Maria Colombo
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