Tutte le volte che vedo o ascolto Matteo Renzi, i miei pensieri rimbalzano ad un’estate del 1984. Non siamo proprio a Firenze ma li dappresso, a Livorno.
Nel 1984, Orwell a parte, in toscana si celebrava il centenario di Amedeo Modigliani. La sua città, Livorno, aveva in serbo una mostra per documentare la sua attività di artista e scultore prima della sua partenza per Parigi.
La leggenda sostiene che a seguito dello scarso apprezzamento che le sue opere incontrarono, in un impulso di rabbia Modigliani gettò alcune sculture nel fiume.
A pochi giorni dall’inaugurazione, le teste vennero eccezionalmente rinvenute e decretate seduta stante, incontrovertibilmente vere.
La storia della beffa, una delle migliori mai architettate, è ben nota, soprattutto per come i testoni di pietra dei soloni dell’epoca caddero a capofitto nel fiume del ridicolo.
Ebbene ogni volta che vedo Matteo Renzi o lo ascolto, quel mirabile momento del 1984 in cui tutti erano convinti di aver fatto una scoperta fondamentale, riemerge come un avvertimento, un sospetto o un ammonimento.
Mezza Italia ora come allora ha una forsennata voglia di credere che sia tutto vero; di fronte ad un ritrovamento, che sia un manufatto artistico o finalmente un leader di partito il senso del miracolo prevale indiscusso.
Ed insistere ad evidenziare come un Orwelliano processo di persuasione generale, condotto attraverso la Rai, i giornali, i social, possa davvero condizionare le idee della gente sembra di cattivo gusto. Sembra una cosa da teste dure, di granito, dalla sagoma allungata, sbozzate male e gettate loro malgrado, nel flusso del tipico grottesco italicum style.
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