Renoir è a Torino.
Il grande Pierre Auguste Renoir è a Torino con una ampia retrospettiva ospitata nelle sale della Galleria d’Arte Moderna.
La possibilità di vedere dal vero le tele di uno dei più grandi pittori dell’impressionismo francese è un prezioso dono che si deve accogliere con segreta soddisfazione.
Curata a quattro mani dalla francese Sylvie Patry e dal Vice Direttore della Gam, Riccardo Passoni, rimarrà visitabile fino al 23 febbraio dell’anno venturo.
Pleonastico al limite del superfluo inoltrarsi nel dire qualcosa di più di quanto critici e storici hanno saputo, negli anni, vedere nei lavori del pittore e restituire con le parole la poesia, il chiarore, la capacità di esprimere un sentimento che purtroppo troppa parte dell’arte contemporanea non riesce più a suscitare. Per questo ragione la magnetica tela cattura luce dei dipinti di Renoir confligge con la scelta dell’allestimento.
Nemmeno un’oncia di luce naturale, un microscopico pulviscolo, un’ombra che segni il passaggio dal giorno alla sera è ravvisabile in questa mostra così geometricamente organizzata. Un testamento tradito, un paradosso per uno dei padri dell’en plein air; del dipinto all’aria aperta, del paesaggio cangiante, delle nuvole sottili e festose, della sua Alphonsine sorridente e serena ritratta a bordo fiume nel tepore della primavera.
Vige un non so che di luttuoso nelle pareti a malevola tinta unita che ospitano i quadri, non di meno lascia un senso di acquario-mortis, la teca in cui si possono osservare pennelli e colori del maestro. Malgrado ciò nulla può opporsi alla bellezza imperativa dei quadri di Renoir. All’affilata nostalgia proustiana per la Belle époque, per una Parigi che si sarebbe voluta conoscere, per le sue odalische dal pudico incanto, per i paesaggi animati da un ombrello di colore sotto cui passeggia in lontananza una fanciulla, per i mazzi di fiori, per le fanciulle che suonano o danzano in un interno-esterno borghese di eguale voluttà.
E proprio da due templi dell’arte parigina provengono le sessanta opere in esposizione, dalla Gare d’Orsay e dal Musée de l’Orangierie.Chissà come sono adesso quegli spazi, lasciati vuoti, i chiodi soli, disabitati, varrebbe quasi la voglia di partire, andare a vedere. E se si citano i chiodi è perché nel linguaggio dei grandi assicuratori d’arte, viene definito un ingaggio assicurativo come probabilmente quello di questa mostra, di cui l’importo è valutato intorno ai 500.000.000, da chiodo a chiodo. Infatti la formula “da chiodo a chiodo” garantisce la copertura assicurativa dal momento in cui le opere vengono prelevate dal luogo dove sono abitualmente custodite per essere imballate e caricate su un mezzo di trasporto, durante i viaggi, le soste, e per tutto il periodo dell’esposizione al pubblico. La garanzia di copertura termina soltanto quando le opere vengono ricollocate nel luogo di partenza, ossia vengono restituite al proprio chiodo, rimasto immobile, fiducioso ed ottimista ad aspettarle.
Edmondo Bertaina