L’ex fabbrica del Lingotto sta per compiere cento anni, opera dell’ingegner Matté-Trucco, fu inaugurata il 22 maggio 1923. Per sessant’anni è stata il principale stabilimento di produzione FIAT per poi cambiare anima diventando simbolo dell’evoluzione post-industriale.
I luoghi dedicati al lavoro che Torino ha costruito e ha intenzione di realizzare dicono molto della visione sul futuro della città e del tipo di evoluzione che si darà. A questo proposito abbiamo intervistato l’architetto Paolo Mazzoleni, assessore all’Urbanistica del Comune di Torino e analizzato gli spazi edificati per il lavoro e i progetti in cantiere.
Partendo dalla storia del Lingotto, costruito per essere luogo di lavoro e di produzione, proviamo a considerare ciò che si è edificato negli ultimi anni in città con una destinazione definita: ossia gli stabili progettati per essere sede del lavoro odierno, escludendo però quelli legati al commercio, come supermercati e centri commerciali.
Torino ha avuto un passato molto produttivo e rilevante, appartiene a quella categoria dove gli spazi del lavoro hanno segnato di più il cuore della città; dunque, sicuramente ha un patrimonio ricchissimo dall’Ottocento a oggi di stabili realizzati per il lavoro più di qualunque altra città italiana.
Per una serie di ragioni, è stata molto conservativa nei confronti del suo patrimonio. La ragione più nobile riguarda la cultura della conservazione molto radicata nella città anche non esplicitata, per cui quando bisogna mettere mano su un’area, se c’è un manufatto si considera prima la possibilità di utilizzarlo, solo in seconda istanza di demolirlo.
Dall’Ottocento fino a ieri sono stati realizzati luoghi, manufatti, stabili, nati per essere spazi del lavoro e che oggi essendo cambiate le modalità lavorative è necessario ripensare. Nessuno di questi spazi è mai stato progettato con l’idea che in seguito si sarebbe potuto fare qualcos’altro.
Gli edifici del lavoro sono molto tecnici e orientati ai bisogni lavorativi. Dopodiché nel tempo il Lingotto è divenuto un monumento e si è dimostrato essere più flessibile di altri. Ciò che è successo al Lingotto è sui manuali di tutto il mondo. Non esiste un dispositivo urbano così sofisticato e costruire oggi un’opera così sarebbe impossibile.
In città esiste ancora una produzione importante con eccellenze rilevanti. Entro i confini del Comune di Torino si pialla, si fonde, mentre dentro i confini di Milano non esiste più quel tipo di lavorazione. Una città ormai completamente terziarizzata e questo la rende forse più ricca da un certo punto di vista ma anche molto fragila perché interamente appoggiate su un’unica economia.
Una tematica dibattuta è l’inquinamento ambientale acustico. Si continua a pensare che una fabbrica sia un posto che produce rumore pur non essendo vero. Recentemente siamo andati a vedere la linea di produzione della Maserati che è un posto silenzioso e il rumore più grosso è generato dai TIR che entrano ed escono, tuttavia sono gli stessi dei supermercati.
La produzione deve essere nel cuore della città e questo è sicuramente un obiettivo a cui stiamo lavorando. Torino ha un patrimonio di alcuni oggetti pazzeschi. Ad esempio, il Palazzo del Lavoro e stabili di simili dimensioni sono sfide troppo impegnative per un player solo ed è per questo che altre giunte si sono arenate, bisogna coinvolgere più players. È un lavoro complesso di costruzione di un ecosistema che poi possa tenere vivi quei contenitori così grandi, complessi e costosi.
A dicembre abbiamo fatto un lavoro di ascolto di tutta una serie di realtà che avevano proposte per il Palazzo del Lavoro e sono emerse molte idee di cui però nessuno voleva farsi carico. Si è pensato di costruire uno scenario più grande coinvolgendo le fondazioni bancarie. Evidentemente su realtà simili è necessaria una politica estensiva che si adatta a tutte.
Per quanto riguarda le nuove costruzioni lei come li legge all’interno di questa città? Funzionano?
Ci sono esempi che incidono, mutano le condizioni, come il Campus Einaudi di Norman Foster, considerato tra i dieci edifici universitari più belli del mondo, ha cambiato quella zona della città, l’ha resa nuova e attraente.
C’è qualcosa che le piace come progetto privato?
A mio avviso molto positivo è Nuvola Lavazza. Zucchi è un esempio positivo da tanti punti di vista. Intanto un intervento privato che arriva in una zona difficile e innesca una trasformazione lo trovo un bell’esercizio urbano che funziona molto. Anche il grattacielo di Intesa San Paolo sta funzionando. Io frequento abbastanza intensivamente Porta Susa che fa parte anch’essa della costruzioni nuove. Poi ha il problema di funzionare perfettamente: i flussi sono disegnati benissimo, si entra ed esce alla velocità della luce, un posto di una comodità assoluta. Differentemente da Porta Nuova non è mai diventato luogo di permanenza, è puramente tecnico; un luogo di passaggio molto efficace. Il grattacielo nuovo della regione è un bell’edificio oltre che una bella scommessa perché è una zona con grandi potenzialità.
Abbiamo intervistato da poco l’architetto Ratti che immagina Torino sempre più piccola e con sempre meno bisogni.
Io devo dire che su questa cosa della Torino che diventa piccola ho delle grosse perplessità. Con una metafora un po’ spietata: non vorrei che ci riducessimo come quelle signore anziane che rimangono da sole in un appartamento di 210 m con quadri meraviglioso e non hanno nemmeno i soldi per pagare la bolletta di una casa grande che non serve più. Noi abbiamo un po’ questo rischio qui, cioè la città ha questa dimensione, ha questi costi e ha questa bellezza che conosciamo ma ha la sua soglia critica: se noi ci ritroviamo dentro in 600 mila persone a Torino o siamo tutti molto ricchi o non riusciamo a tenere in piedi la città.
Anche perché più cittadini, più tasse pagate…
Più cittadini, più tasse, più energie, più opportunità, più ricchezza. C’è anche un tema che non possiamo dimenticare, che è il trend di decrescita, di invecchiamento. È un nostro dovere mutare questa direzione e se noi la lasciamo andare tra trent’anni abbiamo una città di 700 mila abitanti, tutti anziani.
Bisogna offrire più opportunità ai cittadini. Un ragazzo da qualunque famiglia nasca deve avere l’opportunità di giocarsela, mentre in una città che invecchia questa si riduce.
Se avesse disponibilità chiamerebbe un archi star per realizzare un museo o qualcosa per rilanciare la città come, ad esempio, il Guggenhein di Bilbao ?
Io credo che non sia necessario. Il nostro patrimonio ha oggetti di grande qualità ed è un tema da sfruttare a fondo. Dobbiamo lavorare sulla qualità di questi progetti.
È riuscito a rilanciare alcuni luoghi?
Ci sono più di 150 milioni di euro per il Valentino dove faremo la nuova biblioteca dentro il meraviglioso padiglione Nervi. Sarebbe bello se fossero queste le partite da giocare.
Nei luoghi del lavoro si può includere il tema del lavoro digitale. Spesso si parla della capacità o meno di essere attrattivi. In realtà noi oggi abbiamo il problema di non riuscire a tenerli. C’è però il caso virtuoso di Replay la società torinese di sicurezza informatica leader mondiale. Non nascondiamoci che società di questo tipo in passato sono andate via da Torino e il fatto che sia rimasta a Torino è molto positivo. Hanno deciso di fare un ulteriore investimento su un immobile originariamente pubblico, una caserma, che è stata valorizzata.
Sarebbe bello se nel treno che frequento Milano-Torino vedessi gente venire qua da Milano la mattina presto e non solo per il grattacielo San Paolo o per Replay perché sono le uniche due realtà in grado di spostare delle persone da Milano la mattina, oltre all’assessorato all’urbanistica.
Un’ulteriore cosa interessante di questa ristrutturazione è che abbiamo chiesto che il cortile fosse attraversabile così che la città si accorgesse del cambiamento. Loro hanno espresso la necessità di avere un piccolo auditorium per ospitare clienti come Microsoft e si è potuto realizzare per il tipo di normativa urbanistica sempre molto permissiva di Torino. Era necessario il riconoscimento dell’interesse pubblico, perché siamo all’interno del centro storico, pertanto, abbiamo deciso un utilizzo comune sulla base di una programmazione concordata insieme a loro. Una cosa piccola ma simbolica che rappresenta quello è una dimensione di lavoro.
Nel corso degli ultimi vent’anni in Europa alcune città sono diventate delle metropoli e questo è sicuramente successo a Milano. Probabilmente non è successo a Torino non per la dimensione ma per il sistema territoriale. La città deve prendere coscienza con grande serenità e anche ottimismo che è una grandissima e bellissima città italiana. Il tipo di centro storico, il portico, le dinamiche centro-periferia non sono quelle di una metropoli. Torino per funzionare deve ancora crescere altrimenti non funziona.
Ci sono tutti i presupposti per auspicare il rilancio dell’architettura cittadina e sperare in nuovi progetti urbanistici volti a potenziare le risorse e il patrimonio della città tra questi la ex Manifattura Tabacchi, per la quale stiamo lavorando.