E il pensiero è questo: forse non sono portato per il matrimonio. Ho una percentuale di successi dello zero %. Che, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, significa il 100 % di fallimenti. Direi non male. Poi penso la vita è varia, si possono far cose veder gente, senza provocare ulteriori danni. Magari un po’ di volontariato al canile. Le soddisfazioni stanno nelle piccole cose, nel quotidiano. Bisogna saperle apprezzare.
Per esempio l’altra notte all’una ero impegnato in una delle mie attività preferite, vale a dire stendere il bucato, e mi sentivo ovviamente felice e pienamente realizzato. Aria tiepida, profumata di primavera. Tutt’intorno quiete e silenzio. Nemmeno il rumore del traffico. Estraevo il bucato dalla cesta, assorto in profonde speculazioni filosofiche sui grandi interrogativi della vita che sempre mi colgono in questi momenti: Chi ha deciso di chiamare bucato il bucato, ma soprattutto, perché? Se non fai cazzate esce dalla lavatrice come quando ci è entrato, solo più pulito, si spera, mica bucato… e allora perché non chiamarlo pulito? “Devo fare il pulito” avrebbe una sua ragione d’essere. Ma “devo fare il bucato…” che senso ha? Forse anticamente si lavava a trapano? E come può essere una lavatrice a trapano? Rapito da queste riflessioni, ho improvvisamente realizzato che stavo appendendo l’undicesimo calzino spaiato.
Mi ha sfiorato un dubbio: non è che i miei figli hanno accidentalmente perso un piede e per non turbarmi mi hanno tenuto nascosto il fatto? C’era un solo modo per saperlo: una ficcanasata sui loro profili Facebook. Lì i ragazzi (e non solo loro) scrivono tutto, ma proprio tutto. Metti che mia figlia si schiacci un brufolo sulla fronte: all’istante lo comunica ai suoi 4.253 amici, immortalando il gesto con tanto di foto, e nell’arco di 20 secondi fioccano un centinaio di “mi piace”. Di altrettanti ragazzini in tempesta ormonale, voglio sperare. Se qualcosa è accaduto, internet è il posto giusto per scoprirlo. Cerco. Nessuna notizia in proposito.
E allora com’è che dal cesto escono solo calze spaiate? Venderle, le vendono a coppie. Di questo sono quasi certo. Sarà una nuova moda? Forse se le scambiano tra compagni di scuola, per averle diverse? In classe, durante le lezioni di educazione civica? Appallottolate di nascosto dentro il diario? Ti do una quarantatrè lunga semipulita blu per una tennis qualsiasi colore? Me li vedo. Forse ne tengono una per tipo nascosta in camera sotto il cuscino, per compagnia. Per accarezzarla nel sonno. Per esorcizzare il trauma da separazione. Indagherò. Perché gli adolescenti sono imprevedibili. Non smettono mai di stupirti. Quando pensi questo no, non è possibile, loro sono già andati oltre. Con qualcosa di ancora più sbalorditivo.
Per esempio, lo specchio del bagno: quando si appannava apparivano dei geroglifici che sembravano aramaico antico. Con postille in cinese. Ideogrammi? Chi li ha disegnati? Cosa significano? Voglio dire: un specchio di un bel metro per ottanta. Considerato che a vivere in questa casa non siamo in tantissimi, e potendo con ragionevole sicurezza escludere il cane, perché non arriva allo specchio, restavano loro. I virgulti. A meno che io non sia affetto da sonnambulismo artistico, cosa che al momento non mi risulta. Il mistero è durato mesi. Io pulivo lo specchio, tempo una settimana le righe ricomparivano. Sempre diverse. Hai voglia a chiedere ragazzi ma siete voi a tirare righe strane sullo specchio del bagno quando è appannato? Facce vaghe. Espressioni vacue. Gnorri. Finché un giorno, forse preoccupati per il mio sistema nervoso, è arrivata la confessione. “Sai pà, un giorno, dopo la doccia, prima di asciugarmi i capelli, c’era lo specchio appannato, e io ero lì davanti… senza niente da fare… – certo, penso, il phon l’hanno inventato per gli idioti come me, tu puoi aspettare che i capelli ti si asciughino con il calore prodotto dal tuo cervello – e guardando lo specchio ho pensato che potevo disegnarci su una pista. Da corsa. Un bel tracciato, tipo Le Mans. E così l’ho disegnata. E poi ci ho fatto correre sopra le macchinine. Sullo specchio del bagno appannato. In verticale. E mi è piaciuto così tanto, che da quella volta lo faccio sempre.” Ci ho riflettuto incredulo, immaginandomi la scena. Ho ripensato ai piaceri della vita che stanno nelle piccole cose. Poi ho preso la mia decisione: alla prossima doccia, devo provarci anch’io. Il circuito di Monza, magari. Che è più favorevole alle Ferrari.
E da domani per me, solo calze spaiate.
Roberto Di Palma