Con Vittorio Sgarbi, al telefono, nell’eccentrica Torino di Italo Cremona
Ad impossibilia nemo tenetur: una verità davanti alla quale è costretto ad arrendersi, peraltro raramente, perfino un ricercatore e divulgatore di bellezza inesauribile come Vittorio Sgarbi, che, reduce dalle celebrazioni di Santa Rosalia tenutesi a Palermo, non è riuscito a partire in tempo per partecipare alla conferenza stampa della grande retrospettiva “Tutto il resto è profonda notte”, dedicata a Italo Cremona dalla GAM in collaborazione con il MART di Rovereto.
Un’assenza fisica che, colmata da un suo appassionato e incisivo intervento in videoconferenza non manca di renderlo ‘infelice’, pur nella soddisfazione del gemellaggio avviato con questa mostra fra i due Musei, che presto si arricchirà di molteplici progetti comuni.
Sull’onda delle suggestioni evocate dalle curatrici- Giorgina Bertolino, Daniela Ferrari, Elena Volpato- e da Vittorio, mi aggiro nelle sale della GAM fra un centinaio di opere di Cremona, datate fra gli anni Venti e la metà degli anni Settanta, suddivise in nove sezioni, in cui il criterio cronologico è interrotto da ‘isole senza tempo’, secondo la definizione delle curatrici: tutti capolavori per i quali apparirebbe fuori luogo qualunque annotazione tecnica, ispirati come sono da un potente linguaggio creativo in grado di dialogare direttamente con il mondo interiore di chi osserva.
Pavese di nascita ma torinese d’adozione, Italo Cremona, poliedrico artista- pittore, scenografo, costumista, sceneggiatore e scrittore – fu protagonista di una ricerca pittorica mai legata a schemi e correnti e di un’espressione letteraria di straordinaria finezza, ammirata dal geniale ‘filosofo ignoto’‘ Guido Ceronetti. Un affascinante gioco di rimandi, nel quale non è un caso che proprio nella sezione denominata cabinet des folies, dove maggiormente si esprime la vena fantastico-surreale dell’artista, mi raggiunga la videochiamata di Vittorio Sgarbi: un’occasione straordinaria per approfondire la conoscenza di questo artista, come lui intellettuale irregolare e fuori ordinanza.
Vittorio, com’è nato questo gemellaggio fra GAM e MART, e perché proprio con Italo Cremona?
“Fra mille ipotesi di collaborazione, mi dispiace non aver pensato di portare a Torino lo scorso anno la grande mostra allestita al MART “L’amorosa inquietudine” su Mario Reviglione, artista sottostimato rispetto al suo valore assoluto, e legato a una dimensione poetico-letteraria riferita soprattutto alle personalità di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti delle quali sei tu stessa cultrice ed è simbolizzata dal ritratto iconico della poetessa risalente al 1911. Dispiaciuto del fatto che fosse mancata questa reciprocità, l’ho poi recuperata con la figura di Italo Cremona, parlandone una notte con l’artista e collezionista Andrea Barin, cultore di artisti legati ad atmosfere evocative e dimenticati dalle grandi mostre, come Evangelina Alciati, Vittoria Cocito e Domenico Buratti, del quale ho curato un’importante monografia. Il gemellaggio fra i due musei è partito cosi con Italo Cremona da Torino, come mi pare giusto data l’autorevolezza di questi nomi, anziché da Rovereto, dove la mostra si trasferirà in autunno.”
Che cosa ha rappresentato Cremona nello scenario artistico italiano, e torinese in particolare?
“E’ stato antesignano e portavoce del movimento surreale in Italia, a ridosso di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, e un personaggio chiave delle atmosfere metafisiche torinesi. A colpire sono il suo timbro originalissimo, la sua fantasia senza limiti; una straordinaria libertà d’invenzione, la capacità di muoversi oltre i confini, senza temi obbligati. Lo stesso artista si definiva “surrealista indipendente”: non aderì a nessuna scuola, e la sua pittura non richiama nulla che si sia già visto. Penso alla bizzarria sognante delle Bare, in cui Cremona rappresenta lo stretto intreccio fra la vita e la morte; all’esplicito surrealismo dei tre angeli di Metamorfosi, in un interno pervaso da turbamento e inquietudine; alla vita intensa e silenziosa degli oggetti nelle sue nature morte. Formidabile, a questo proposito, è la stravagante metafisica del Dialogo fra una conchiglia e un guantone da scherma, opera esposta al Museo di Vigevano, che immediatamente collego alla poetica montaliana degli Ossi di seppia. Straordinarie Le armi improprie, soggetto particolarmente significativo in questi tempi: armi fantastiche, di raffinata perfidia, che si alterano e assumono forme umane. E poi, Carillon, capolavoro assoluto, e ancora Biciclette e cani in giardino, opera risalente alla sua prima fase creativa negli anni Venti. E poi, del 1928, è memorabile il ritratto di Carlo Mollino, rappresentato al volante di un’auto, in versione fiera e avventurosa. A questo proposito, si può affermare che Cremona abbia rappresento nell’arte ciò che Mollino rappresentò nell’architettura.”
Tu, Vittorio, sei da sempre un estimatore di Cremona
Sì, non ho mai avuto dubbi sulla sua grandezza, fin dagli anni Sessanta, quando, allievo di Roberto Longhi e di Francesco Arcangeli, leggevo i fascicoli della rivista Paragone, fondata dallo stesso Longhi, che pubblicava i suoi scritti nella rubrica Acetilene. Fu un’illuminazione. Lessi anche il suo libro Zone d’ombra, pubblicato nel 1977 dalla Einaudi: decisamente significativo il fatto che una casa editrice cosi prestigiosa gli prestasse attenzione. Quando, negli anni Ottanta, incominciai a curare esposizioni significative, esposi parecchie opere di Cremona in una mostra che allestii nel Ferrarese e che denominai “Surrealismo padano”: se il Surrealismo ha una collocazione, quella è la Padanìa”.
Proprio mentre Sgarbi rievoca questi collegamenti letterari, vivo un deja vu, imbattendomi nell’opera raffigurante un diavolo alato, grazie al quale tanti anni fa scoprii Italo Cremona: il quadro sulfureo che illustrava la copertina di un libro amato e riletto fino alla consunzione, La notte dell’arciduca, il cui autore, il manager della FIAT Oddone Camerana, apparteneva a pieno titolo alla folta compagine di intellettuali torinesi singolari e stravaganti. L’atmosfera creata dal Conte Camerana in quelle pagine pare avvolgere i capolavori di Cremona raccolti nell’ultima sezione: quelle facciate, quei palazzi da Piazza Cavour a via Po fra i quali si aggirava inquieto Camerana nel suo continuo dialogo con la morte, e sembrano immersi in un silenzio sospeso, come quinte teatrali che celino altri spazi.
“Di chiara ispirazione neometafisica, quelle finestre silenziose – commenta Vittorio- ; Torino, d’altronde, è con Ferrara la capitale della metafisica”.
Anche lo stesso Cremona, nel suo libro La coda della cometa, si aggira solo in una Torino resa deserta dal passaggio di un corpo celeste, soddisfatto della propria condizione di unico sopravvissuto -con gli animali-, e dell’assenza di ogni contatto con i suoi simili. “Italo Cremona– conferma Vittorio- fu un grande solitario. Proprio la solitudine gli permise di creare tanti capolavori”
“Come proseguirà, Vittorio, la collaborazione fra i due Musei?”
“Con un pittore e soprattutto un incisore ricco di poesia: Mario Calandri. che, pur molto amato, è rimasto in qualche modo in una zona d’ombra; né metafisico, né surrealista, vicino a De Pisis per il suo intimismo e la sua sensibilità verso le piccole cose. Calandri è un altro artista che si è espresso con una componente narrativa, applicando la pittura a concetti e immagini letterarie”.
“Un’altra riscoperta, questa del raffinatissimo Calandri, che conferma un’attenzione dei due Musei verso certe zone del passato restate un po’in ombra…”
“È un percorso che proseguiremo con altri artisti singolari avvolti nell’oblio: se non si valorizza il passato, non si può avere un’idea del futuro. Torino è stata la casa di avanguardie significative, come quella dell’Arte Povera, che ha prodotto una potente rottura della tradizione, ma è bene che questa folgorazione per il contemporaneo coltivata dal Castello di Rivoli non faccia dimenticare che il Novecento piemontese è ricco di personalità straordinarie quanto emarginate: il nostro impegno è quello di ridare vita e luce a quello scenario del quale Cremona fu uno degli indiscussi protagonisti”.
Marina Rota