In Europa sono in tre. Uno è a Parigi, uno a Bruxelles e il terzo a Torino e presiedono quel segmento particolare che è il mercato dell’arte giapponese del ‘900.
Nascosto dietro alla parola paravento “Gilistra” si cela il torinese Franco Marino, uno di coloro che conoscono e diffondono raffinatissime opere come, pitture, bronzi, vasellame, paraventi dipinti a mano e scatole laccate con procedimenti preziosi e irripetibili oggi, provenienti dal Sol Levante.
La sua galleria, ubicata insospettabilmente in Crocetta, sconfina in una casa dove i mondi si mescolano in un côté artistico e spirituale.
Marino prima di occuparsi di arte orientale aveva dato vita alla Forchetta Alata. Una volta chiusa ha volato parecchio lontano. Cosa è accaduto?
Dopo la cessione della “ Forchetta Alata “ decisi di prendermi sei mesi sabbatici. Avevo già viaggiato in Oriente diversi anni prima (metà degli anni 70 ) con un viaggio via terra che si concluse in India attraversando Turchia, Iran, Afganisthan, per cui mi era ben chiara la direzione da prendere.
Era un viaggio di piacere in una terra, l’India, che mi aveva affascinato e che dopo il primo viaggio avevo continuato a “frequentare” attraverso letteratura di viaggio, saggi sui suoi molteplici aspetti e la sua letteratura. Vi era poi un motivo un pò più pratico cioè trovare una nuova avventura lavorativa .
Franco ci racconti come sono stati gli inizi della tua professione, o quando lo è divenuta a tutti gli effetti.
A quel tempo un amico che risiedeva in India aveva avviato un’attività di raccoglitore di oggetti d’arte per compratori europei e così presi la decisione di diventare un mercante d’antiquariato orientale e riuscii a spedire il primo container.
Fu un inizio ponderato ma avventuroso non avendo mai fatto quel tipo di attività e fidandomi soprattutto del mio gusto e della conoscenza che andavo man mano approfondendo studiando, visitando musei e gallerie in giro per l’Europa e soprattutto operando in un mercato, quello indiano, a quell’epoca ancora ruspante dove i problemi di logistica per gli spostamenti e per le spedizioni erano particolarmente complesse, mi sono detto, che se ero riuscito a operare senza particolari problemi da li in avanti sarebbe stato tutto più facile.
Il desiderio di viaggiare era sempre presente e mi stimolava a spingermi dove non ero mai stato, così mantenendo come base l’India ogni volta programmavo una visita in Tibet, in Buthan in Sri Lanka.
Poi complice un incontro a Delhi di un collega greco fu la volta della Cina. Fui fortunato , la generosità di Dimitrios, il collega greco, mi misero in condizione di avere da subito contezza dei prezzi, dei luoghi interessanti da visitare, dei mercanti cinesi che facevano al caso mio ma anche da subito avere la possibilità di assaporare l’atmosfera di una Pechino che si intuiva era desinata piano piano a scomparire.
Tra i tuoi racconti spiccano due perle estremamente singolari. Aver mangiato dove in cucina lavorava l’ultimo cuoco di Mao e aver soggiornato in un tipica locanda giapponese, un ryocan, frequentata dal regista Akira Kurosawa.
I vecchi hutong, i vicoli della vecchia città, Panjiyuan il più grande mercato delle pulci che avessi mai visto , gigantesco , affollato di persone e cose in maniera sorprendente , inesauribile ; ricordo la prima ora all’alba passata quasi in trance prima di cominciare a comprare.
La sera andavamo a mangiare in un piccolo ristorante vicino a piazza Tienamen che si diceva appartenere all’ultimo cuoco di Mao Zedong, qui trovai una cucina sublime : le uova dei cent’anni, uova d’anatra ricoperte da una miscela di acqua, sale, carbone, ossido di calcio e foglie di tè verde per 100 giorni, l’anatra laccata e altre leccornie in una atmosfera serena fatta di volti partecipati quasi consapevoli di un epoca che stava scomparendo.
E il Giappone?
La strada chiamava e dopo alcuni anni “cinesi” volevo cambiare così dalla Cina partii alla volta del Giappone. Fu un salto culturale notevole che avevo preparato come era mia abitudine con diverse letture: letteratura contemporanea, saggi, cataloghi d’arte .
Sapevo solo che dovevo andare a Kyoto, centro delle arti del passato e del presente, e che dovevo andare a dormire all’ Ishihara Inn un piccolo albergo tradizionale giapponese ( ryokan) scelto dal regista Akira Kurosawa quando soggiornava a Kyoto quasi come tributo alla cultura giapponese che stavo incontrando.
Nel secondo viaggio in Giapponese riuscii a individuare il periodo storico/artistico che mi interessava di più e cioè il ‘900 definito in Giappone dai periodi imperiali che si sono succeduti: la fine dell’epoca Meiji ( 1868-1912 ) che segna l’apertura alla modernizzazione e all’occidentalizzazione del paese con l’apertura letterale dei confini e del commercio che erano stati chiusi dal 1600 , il periodo Taisho (1912-1926) che possiamo far corrispondere al nostro Decò e il periodo Showa (1926-1989 ) che possiamo chiamare il periodo modernista.
Questa scelta rimane valida tuttora avendo sperimentato come le opere prodotte nel secolo XX ci sono particolarmente vicine e trovano facile spazio nell’idea di interior che si è sviluppata da noi con le forme geometriche e astratte del nostro Decò e il minimalismo scandinavo pulito ed essenziale.
Quali i manufatti maggiormente apprezzati in Europa dell’arte giapponese del ‘900, conservano qualcosa qualcosa del mondo del “Principe Splendente”
Nonostante questa rivoluzione di canoni estetici l’arte giapponese del 900’ conserva peculiarità profonde dei periodi passati : i paraventi sono tuttora i supporti scelti dagli artisti per la produzione delle loro opere pittoriche , le opere metallurgiche sono bronzi ,come in passato, ma con forme astratte o moderniste e con patine straordinarie , le lacche in tutte le loro declinazioni sono sempre opere che come in passato raggiungono vertiginose perfezioni con temi decorativi moderni.
Di cosa sei ancora alla ricerca, il pezzo mancante, o l’aware, l’intraducibile qualità emotiva insita negli oggetti?
Nel corso degli anni ho acquisito opere particolarmente belle e una volta vendute mi sono sempre chiesto se avrei avuto la fortuna di incontrare altre opere ugualmente notevoli ,ebbene quasi in ogni viaggio questa fortuna l’ho trovata e pertanto in ogni nuovo viaggio si ripete l’aspettativa e in seguito lo stupore che è anche quello del viaggiatore che scopre ogni giorno un’alba o un tramonto meravigliosi e diversi.