Sfida interessante e raffinata quella di Marzia Migliora, che nell’intento di svelare nessi e significati della cultura e della storia dei luoghi, in occasione della 57° Biennale di Venezia, nel suggestivo Palazzo Cà Rezzonico, presenta un progetto site-specific dal titolo VELME, a cura di Beatrice Merz.
Il termine velma, in dialetto veneziano, indica una parte di fondale lagunare, poco profondo, che emerge solo con la bassa marea. Marzia Migliora invita lo spettatore a riflettere sui codici della natura e sulle continue violazioni commesse dall’uomo, nelle relazioni tra acqua e terra, emerso e sommerso, passato e presente.
Attraverso la reinterpretazione contemporanea di elementi selezionati all’interno del Museo del Settecento Veneziano, l’artista pone l’attenzione su alcune tematiche, sempre urgenti e apparentemente nascoste che, come le velme, riaffiorano e coinvolgono la storia dell’umanità: lo sfruttamento delle risorse naturali, umane e lavorative.
Nel Salone delle Feste, al primo piano del Palazzo, prende avvio il percorso di mostra: lo spettatore – con mappa alla mano, ideata e disegnata dall’artista – è guidato alla scoperta delle 5 installazioni che compongono il progetto espositivo e altresì nel processo costitutivo e relazionale ad esse sotteso.
Dalle suggestioni del corpus scultoreo di Andrea Brustolon, Etiopi porta vaso (mori) e dell’affresco di Giandomenico Tiepolo, Il mondo nuovo (1791), prende vita l’omonima opera di Marzia Migliora. Nel consueto allestimento museale di Cà Rezzonico le sculture sono in linea con la parete e sono rivolte verso il visitatore.
L’artista con il suo intervento le sposta di 180° e le allontana di circa un metro dal muro mediante un’asta metrica in uso nella pratica fotografica documentaria di reperti archeologici e sostituisce il vasellame cinese sorretto normalmente dalle statue con una porzione di salgemma.
Nuova linfa viene data a queste opere che, non più considerate meri oggetti d’arredo, sembrano acquisire rinnovata forza espressiva. La prospettiva che l’artista suggerisce è quella di un mondo nuovo in cui vengano superate le pratiche di schiavitù contemporanea legate al lavoro clandestino e allo sfruttamento dei lavoratori.
Proseguendo nella Sala degli Arazzi e, più avanti, nelle Sale del Lazzarini e del Tiepolo, si incontrano le installazioni Quis contra nos. L’opera prende spunto dallo stemma della Famiglia Rezzonico, che recita in caratteri oro: Si Deus pro nobis. Il motto è tratto da una frase di San Paolo (Lettera ai Romani, 8,31): “Si Deus pro nobis, quis contra nos”, e significa letteralmente, “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”.
L’artista ha notato che nel corso della storia la frase, Se Dio è con noi, è stata pronunciata e utilizzata in diverse occasioni da grandi dittatori e uomini di potere per giustificare atti criminali, guerre e stermini di massa. Aggiungendo la seconda parte della citazione di San Paolo su alcuni specchi dislocati nello spazio museale, Migliora pone il fruitore a confronto con se stesso e con la storia dell’umanità di cui fa parte.
Nella sala del portego 5 banchi da lavoro con utensili, prelevati da un laboratorio orafo in disuso, sono illuminati da luci al neon. Sul piano superiore di ogni banco è stato collocato un blocco di salgemma grezzo, proveniente dalla miniera Italkali a Realmonte (AG) e pronto per essere lavorato. Il sale, nella storia di Venezia è denominato anche “oro bianco” e l’installazione La fabbrica illuminata rimanda allo sfruttamento economico delle risorse naturali e alla forza lavoro impiegata a trasformarle. L’opera trae spunto dal dipinto di Pietro Longhi Gli Alchimisti (1757), nel quale tre studiosi tentano esperimenti alchemici seguendo le istruzioni de Il Trattato della Quinta Essenza di Raimondo Lullo.
La mostra prosegue al secondo piano dell’edificio storico nell’Alcova, detta anche Boudoir, in francese, che deriva dalla parola bouder, ossia, mettere il broncio: qui l’artista presenta l’opera Taci, anzi parla. Si tratta di una maschera Moréta, che nel Settecento era ad uso esclusivamente femminile, dalla superficie ovale nera con due fori per gli occhi ed una mordacchia sul retro che consentiva di bloccarla tra i denti, non permettendo però alle donne di parlare. L’artista realizza l’opera dal calco del suo volto per enfatizzarne il significato.
Viene rivelata così allo spettatore il retro della maschera che indossavano le due dame sia nel dipinto Il Ridotto (1750/60) di Francesco Guardi, sia ne Il Rinoceronte (1751) di Pietro Longhi: un’estrapolazione dell’artista che permette al visitatore di conoscere alcune discriminazioni della storia veneziana Settecentesca non così lontane dalle contraddizioni e storture socio-culturali contemporanee.
Ultima opera nel percorso di Velme è Remains, situata nella Sala del Longhi, proprio di fronte al quadro Il Rinoceronte, da cui è stata idealmente “estratta”. Nel dipinto del Longhi è rappresentato un rinoceronte dal corno tagliato ed esibito come trofeo. Remains consiste nella riproduzione 1:1 di un corno di rinoceronte in bronzo con bagno galvanico in oro 24 carati, a significare l’inestimabile valore che hanno assunto oggi, sul mercato nero, tali esemplari predati con la caccia di frodo.
Risulta davvero molto suggestiva la proposta di ricerca attuata dalla piemontese Marzia Migliora nel coniugare l’antico e il contemporaneo in un confronto più consapevole volto al futuro. Un progetto personale, durato quasi un anno di studio, che l’artista condivide con il pubblico in un gioco di sguardi e suggestioni che rileggono il passato “come memoria vivente e critica”.
La mostra – realizzata grazie alla collaborazione tra Fondazione Merz e MUVE, Fondazione Musei Civici di Venezia – è visitabile fino al 26 novembre 2017.
www.carezzonico.visitmuve.it
www.fondazionemerz.org