«Il Commendatore vuole entrare nel salotto buono della finanza, delle banche e magari dei grandi giornali. Lo strumento è la promessa di un nuovo quotidiano disposto a dire la verità su tutto. Dodici numeri zero, diciamo 0/1, 0/2 e così via, stampati in pochissime copie riservate che il Commendatore valuterà e poi farà in modo che siano viste da chi sa lui.
Una volta che il Commendatore abbia dimostrato che può mettere in difficoltà quello che si chiama il salotto buono della finanza e della politica, è probabile che il salotto buono lo preghi di smetterla con quell’idea, lui rinuncia a “Domani” e ottiene un permesso di entrata nel salotto buono. Metta, per dire, anche solo il due per cento di azioni di un grande quotidiano, di una banca, di una catena televisiva che conta».
No, questa non è una dichiarazione d’intenti rubata al prossimo direttore di Domani, il quotidiano che a breve sarà lanciato dal nuovo gruppo editoriale di Carlo De Benedetti. Il Commendatore in questione, infatti, non è lui (De Benedetti è stato nominato Commendatore della Légion d’Honneur nel 2014) ma si chiama Vimercate.
E Domani non è il quotidiano di cui tanto si parla in questi giorni, ma un giornale di cui racconta Umberto Eco nel suo ultimo romanzo, Numero Zero, uscito nel 2015 per Bompiani. Di certo, poi, De Benedetti non ha bisogno di un giornale per entrare nel «salotto buono», dato che ci siede già, ma è impressionante notare come cinque anni fa, poco prima della sua scomparsa, Eco seppe anticipare – almeno in parte – gli eventi degli anni successivi.
Si tratta di un piccolo libro e chi scrive non fu colpito particolarmente alla prima lettura, ma oggi l’opera può essere riletta in maniera completamente diversa, come spesso accade con i libri di Eco. Nel romanzo, infatti, il filosofo, semiologo scrittore, racconta i retroscena della creazione di un nuovo quotidiano che non uscirà mai – naturalmente non è ciò che auguriamo al Domani di De Benedetti, qui annotiamo soltanto alcune ironiche curiosità.
Ci sono i giornalisti, la segreteria di redazione, l’ambiguo direttore Simei, che incarica il protagonista di scrivere un libro su quell’avventura per avere a sua volta un’arma in più, e soprattutto le inchieste. Domani, infatti, indagava su alcune vicende del passato, da Mussolini al Gladio, con personaggi che escono e rientrano dagli eventi più bui e misteriosi della storia dell’Italia repubblicana.
Sullo sfondo, con la consueta discrezione che la caratterizza, compare Torino. Ed ecco che, stando alle notizie che possiamo leggere in questi giorni, c’è di nuovo questa città sullo sfondo, dato che l’Editoriale Domani, che dovrebbe confluire nella Fondazione Domani e editare così il nuovo quotidiano promosso da De Benedetti, è stata costituita proprio a Torino.
Il periodo in cui (non) nasce il Domani di Umberto Eco è uno dei più tristi della nostra storia, il 1992, nei giorni in cui fu assassinato il giudice Giovanni Falcone. Emblematica, in questo senso, la risposta del direttore Simei a un collaboratore che gli propone di dedicare un «numero zero» a questo tragico evento. Simei rifiuta dicendo «non possiamo mica inimicarci forze dell’ordine e Cosa nostra in una volta sola», perché, per l’impostazione del giornale, avrebbe dovuto proporre approfondimenti e inchieste.
Certo il periodo in cui nasce il Domani di Carlo De Benedetti è ben più complesso, ma si tratta, anche qui, di un quotidiano che prende vita in un periodo estremamente difficile e altrettanto sfidante. Sta di fatto che quello tratteggiato da Umberto Eco era decisamente diverso, auspichiamo davvero che lo sia.
Paolo Morelli