Incontriamo Elisa Sighicelli per la preview del suo nuovo lavoro site specific realizzato a Palazzo Madama, sede del Museo Civico di Arte Antica di Torino: due grandi trittici e alcune opere singole stampate su tessuto e cartongesso, ispirate all’architettura del Palazzo e disposte secondo un preciso percorso tra le sale del Barocco.
La mostra Doppio Sogno – a cura di Clelia Arnaldi, conservatore del museo – conferma la volontà del direttore Guido Curto, dopo i progetti di Enzo Cucchi nel 2015 e Grazia Toderi nel 2016, di partecipare attivamente alla settimana di Artissima con un’opera che veda un effettivo dialogo – e l’obbiettivo non sempre semplice si dimostra quest’anno pienamente centrato – tra la ricerca di un artista contemporaneo e le collezione di Palazzo Madama. L’opera verrà inaugurata il 4 novembre alle 17.00, in occasione delle Notti delle Arti contemporanee.
Elisa, può illustrarci questo progetto installativo?
Ho utilizzato l’architettura della grande finestra della Veranda Sud che guarda sullo scalone Juvarriano come elemento dalla duplice potenzialità, griglia architettonica per possibili inquadrature, dove la cornice diventa confine dello sguardo, e come filtro per fotografare lo spazio oltre alla finestra. Ovviamente questo meccanismo si è prestato ad infinite variazioni sul tema dell’intensità di luce nelle diverse ore del giorno e di prospettiva. Si è aperto quindi un discorso interessante tra i concetti di riflessione e di trasparenza ma anche tra quelli di realtà e rappresentazione, anche grazie alla forte componente di trompe d’oeil che questi lavori hanno inevitabilmente suggerito e che abbiamo sottolineato grazie ad una collocazione volutamente ambigua nelle diverse sale, in totale armonia con gli arredi e le decorazioni.
Questo ha creato una dimensione onirica che avvolge il visitatore per tutto il percorso. Le fotografie inoltre sono stampate su un tessuto di raso e appese in modo tale da potersi muovere, e questo per conferire fluidità all’immagine e vibrazioni ai colori, a imitazione dei vetri antichi che sono per loro natura molto movimentati, increspati come specchi d’acqua. Il trittico Uno, trentasei e sei presentato in Camera di Madama Reale gioca invece con la nozione di scala e il rapporto tra le diverse dimensioni del soggetto fotografato. L’ingrandimento di un dettaglio a dimensioni monumentali suggerisce l’idea di ritrovare un universo in un particolare.
Ci sono poi due opere su cartongesso…
Sì, due fotografie nel Gabinetto Cinese e nella Camera Nuova sono stampate direttamente su materiale edile, come se fosse una porzione di parete staccata e riposizionata, e rappresentano un elemento architettonico della stessa stanza: due geometrie si sovrappongono, quella dell’architettura barocca e quella delle ombre generate dalla struttura della finestra. La fotografia è stata stampata una prima volta, e su questa sono intervenuta con una vernice con pigmenti opalescente sulle zone di luce, quindi l’ho ristampata nuovamente. Per molti anni ho lavorato con fotografie montate su lightbox retroilluminate proprio nei punti in cui volevo evidenziare i punti di luce… questo lavoro è come un’evoluzione, il tentativo di far uscire un riflesso dalla stessa superficie dell’immagine.
Come è nato l’intero progetto?
Mi è stato chiesto di pensare ad un lavoro che si ispirasse alle Collezioni del Museo Civico di Arte Antica conservate a Palazzo Madama. Ero partita da uno studio sui dettagli naturalistici dei dipinti tardogotici conservati al piano terra e contemporaneamente avevo iniziato a fotografare alcuni esemplari della sezione Vetri e Avori.
Allo stesso tempo fotografavo questa finestra dell’avancorpo Juvarriano, che alla fine è diventata il perno del progetto, che è durato più di un anno. L’intento era quello di far dialogare il più possibile il mio lavoro con l’architettura del Palazzo e le sue decorazioni.
E’ soddisfatta del risultato?
Sì, l’obbiettivo è andato anche oltre le intenzioni: ho riflettuto solo dopo che il trittico Riflettente Trasparente che riprende i tre momenti di luce diversi è, coerentemente, presentato nella Sala delle Quattro Stagioni: la modulazione della luce, con il passaggio graduale nelle tre fotografie dai toni freddi a quelli caldi, indica lo scorrere del tempo e contribuisce a definire la profondità degli spazi, e questo dialoga perfettamente con il programma decorativo della Sala. Inoltre le opere, che sembrano riflettere le finestre che hanno di fronte, sono stampate su raso e sono a loro volta appoggiate su una tappezzeria in stoffa, dalle simili gradazioni cromatiche.
Un doppio sogno che si moltiplica per un cortocircuito dalle molteplici letture.