Da venerdì 8 marzo a giovedì 18 aprile 2019, lo Spazio Don Chisciotte della Fondazione Bottari Lattes (via della Rocca 37B, Torino) ospiterà un gruppo di opere di David Ruff (New York, 1925 – Torino, 2007) riunite nella mostra dal titolo “Seeming Confines”. Sottotitolata “Dal Bronx fino al Piemonte: l’impatto dell’artista con l’Europa”, l’esposizione è curata da Valentina Roselli e dal David Ruff Archive, presieduto dalla moglie Susan Finnel.
Una mostra antologica di questo artista statunitense che ha scelto di vivere in Europa, di preferenza in campagna, immerso nella natura, si è svolta a Torino nel 2008 presso la Sala Bolaffi. In seguito vi sono state altre occasioni espositive, nelle quali si è inteso approfondire i diversi aspetti della sua produzione, oltre che pittorica, grafica ed editoriale.
L’attuale mostra presenta lavori realizzati negli anni Settanta, inchiostri, gouaches, dipinti ad olio, cui si aggiungono diari, appunti manoscritti, fotografie. Fra i materiali documentari ve ne sono due su cui vorrei soffermarmi: una fotografia della metà degli anni Sessanta e un foglio di taccuino della fine degli anni Settanta.
A metà degli anni Sessanta, Ruff ha quarant’anni. A venti si era allontanato dal Bronx per studiare pittura alla Art Students’ League e vivere al Greenwich Village e a venticinque, a San Francisco, aveva dato vita ad un proprio atelier grafico, The Print Workshop. Tornato nel 1955 alla costa orientale e alla pittura s’impegna nella lotta per i diritti civili degli afroamericani.
Nella fotografia, un’istantanea, si vede un giovanile Ruff, con jeans abbondanti e camicia chiara a mezze maniche, in compagnia di un ragazzino in maglietta amaranto: giocano a dama, ciascuno dei due appoggiato al piano di una scrivania di legno. Quella del piccolo, su cui è posata la macchina da scrivere, è meno malandata dell’altra. Le liste in legno della parete di fondo sono dipinte di bianco e le due finestre che vi si aprono hanno delle curiose tendine, arrangiate per la metà superiore in tessuto sintetico semitrasparente, per quella inferiore in cotone celeste. L’atmosfera che si respira è familiare e distesa.
Si tratta di un’immagine preziosa, in quanto documenta un momento che si rivelò cruciale nella storia del movimento per i diritti civili. Ruff, che era tra i fondatori del CORE (acronimo di Congress of Racial Equality) nella zona di Woodstock (New York), durante la primavera del 1965 aveva partecipato alla marcia di protesta da Selma a Montgomery (Alabama). Poi nei mesi estivi si era impegnato come volontario del Mississippi Freedom Summer. L’ edificio che vediamo nella foto era la Freedom School di White’s Station, frazione di West Point (Mississippi), stato in cui vigeva la segregazione nelle scuole. Si stima che negli anni Sessanta, furono più di 3500 studenti, dai bambini sino agli anziani, a frequentare queste scuole estive. Uno di loro fu Sonny Boy, il ragazzino della fotografia che sta per avere la meglio sull’avversario. Lo capiamo, ancor prima che dalla disposizione delle pedine sulla scacchiera, dal suo sorriso.
E ora il taccuino. Contiene studi di opere a penna e pastello, schizzi a sola penna, annotazioni e brani manoscritti, fra cui il seguente che riporto avvalendomi della traduzione in italiano di Nadia Fusini (John Keats, Lettere sulla poesia, a cura di Nadia Fusini, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1984, pp. 127-128).
“Nutro l’ambizione di fare del bene al mondo: se sarò risparmiato questa sarà l’occupazione dei miei anni maturi. Nell’intervallo tenterò di scalare la vetta della Poesia per quanto almeno le forze che mi sono state concesse me lo consentiranno. L’idea ancora vaga di Poemi futuri mi fa andare il sangue alla testa. Spero tuttavia di non perdere l’interesse alle cose umane; spero anche che l’indifferenza solitaria che sento di fronte ai riconoscimenti, anche da parte degli Spiriti più alti che ci sono oggi, non intacchi l’acutezza della mia visione. Non credo che succederà perché sento che scriverei semplicemente perché amo e desidero il Bello anche se dovessi ogni mattina bruciare le mie fatiche notturne e nessuno dovesse mai neppure vederle. Ma anche adesso forse non sono io a parlare; ma qualcuno nella cui anima io vivo”.
Il brano appartiene al più grande dei poeti inglesi romantici, John Keats (1795 – 1821), ed è parte della lettera, datata 27 ottobre 1818, che egli scrisse all’amico Richard Woodhouse. L’atto di copiare, attraverso la scrittura manuale, parole che appartengono ad una persona altra da noi, ha un forte valore simbolico. E’ un esercizio di rafforzamento di un’affinità percepita. Nel film Bright Star (2009), dedicato agli ultimi tre anni della vita di Keats, la regista neozelandese Jane Campion ha voluto che l’attore protagonista, Ben Whishaw, riscrivesse a mano con penna d’oca e inchiostro le lettere che il poeta inviò all’amata Fanny Brawne.
Keats espose a Woodhouse il suo progetto di vita quattro giorni prima di compiere ventitre anni. Ruff lo “sottoscrisse” nella sua maturità, quando, dopo aver viaggiato in Europa tra Olanda, Belgio e Francia, dall’inizio degli anni Settanta, viveva stabilmente in Piemonte.
Per la trascrizione si era avvalso di Complete Poetry and Selected Prose of John Keats, Modern Library College Editions, Random House, New York, 1951. Il volumetto, che la moglie Susan tutt’ora conserva, seguì la coppia dal nuovo al vecchio continente. La poesia di Keats, fondata sulla ricerca di parole capaci di creare visivamente il Bello e di produrre il Bene, non smise mai di essere fonte di ispirazione per David Ruff. Lo testimoniano le sue opere pittoriche, poesie di forme e colori vibranti di luce.
Anna Maria Colombo
http://www.fondazionebottarilattes.it/david-ruff-seeming-confines/