Laura Scalfi, Direttore Generale dell’Istituto G. Veronesi e di Liceo Steam International ha partecipato a Torino ad un convegno intitolato “Giovani, Futuro”, promosso da Azione.
Ne abbiamo approfittato per rivolgerle qualche domanda.
In Italia ci sono tre milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Un’emergenza che preme. Gli interventi previsti dal Governo, con uno relativo stanziamento di fondi, possono essere considerati un buon primo passo?
Il fenomeno sta assumendo contorni drammatici non solo per i risvolti economici ma anche sociali. Bisogna però uscire dalla logica delle mance ed emergenziali, e mettere in campo interventi strutturali volti a contrastare il fenomeno oggi per prevenire i NEET di domani. Azione ha fatto proposte serie e concrete. Cito due macro filoni senza pretesa di esaustività. Il primo parte dalla scuola e prevede una riforma dei cicli scolastici, dei piani di studio con un forte rafforzamento dell’area culturale seguito da un ripensamento dell’istruzione tecnica e della formazione professionale, superando così la dualità tra Istruzione professionale statale e Formazione Professionale a carattere regionale. Bene il forte investimento del governo sugli ITS, ma se resta disgiunto da una profonda trasformazione di ciò che precede. Temo che gli obiettivi potrebbero non essere centrati e si dissolveranno all’esaurirsi delle risorse del PNRR. Il secondo filone riguarda gli investimenti per contrastare il fenomeno dei NEET oggi: sostegno alla loro autonomia economica, sostegno reale alla loro formazione , politiche di incentivazione alla loro assunzione, detassazione totale o parziale del reddito fino a 25 e 29 anni.
I numeri forniti da Welfare Italia Index sono spietati: nelle classifiche di monitoraggio il Piemonte si posiziona al decimo posto tra le regioni italiane per efficacia e capacità di risposta del sistema di welfare.
Sì è vero. Sorprende il 20% dei NEET, gli asili nido concentrati nelle aree metropolitane ma con una mancanza di risposta capillare in periferia, la percentuale di lavoro part-time femminile involontario. Anche i dati di dispersione implicita ed esplicita ci raccontano che c’è ancora molto da fare. Serve un immediato e serio impegno politico e finanziario non proclami o, peggio, tagli di bilancio come in taluni casi ho sentito proporre. C’è l’urgenza di promuovere politiche nazionali che mettano in atto le riforme che servono e amministrazioni locali che le sappiano calare sui territori: a livello ministeriale e anche locale serve il coraggio di darsi delle priorità, essere chiari su cosa si può o non si può fare. Uno dei pilastri del programma di Azione è e resta la scuola. Quanto era ed è importante ce lo ricorda ogni indice che ci vede arrancare nelle classifiche europee, e non parlo solo dei risultati degli apprendimenti. Oltre all’azione serve anche molto coraggio, il coraggio di superare gli steccati ideologici che troppo spesso non permettono di fare ciò che serve ed è giusto fare.
A suo parere c’è poco coraggio a livello ministeriale nell’approvare riforme strutturali?
Il Ministero che conosco meglio è il MI, la sua strada è “lastricata di buone intenzioni” ostaggio di posizioni ideologiche e vittime di interessi di tipo corporativo che nulla hanno a che vedere con gli studenti, il loro benessere e il loro apprendimento.
Ha fatto molto discutere in questi giorni la decisione della Dirigente scolastica di Prato di vietare, ancora quest’anno, il tradizionale ballo delle debuttanti a innamorati omosessuali. Eppure la scuola dovrebbe essere inclusione, non discriminazione. Gli interventi da fare sono anche culturali, non crede?
Ogni volta che leggo queste notizie sale rabbia, perché penso si tradisca il senso profondo di essere scuola, oltreché il dettato costituzionale. Ho l’età per incanalare questa “rabbia” in azioni e proposte positive che spero siano un virus che contamina non ultima l’approvazione del regolamento del CV ALIAS anche nelle scuole superiori. Per quanto riguarda l’omosessualità trovo strano doverne ancora parlare nel 2022. Al nostro Prom Ball sono invitati e parteciperanno colleghi e colleghe con i loro rispettivi compagni e compagne, ma è talmente scontato che nell’invito non scriverò ‘cara professoressa può portare anche la sua compagna’. Mi sembra discriminatorio anche doverlo specificare.
In una sua recente intervista lei ha parlato di necessaria sussidiarietà tra pubblico e privato. Ci spiega meglio?
Parlavamo di poli educativi 0-6 e del bando del MI che alla prima scadenza ha ricevuto risposte progettuali che se approvate copriranno solo il 50% delle risorse disponibili, con l’aggravio che molti progetti insistono su aree che garantiscono già copertura secondo gli standard europei.
Se gli avvisi avessero previsto una sussidiarietà tra pubblico e privato, la risposta sarebbe stata diversa e più capillare. E a chi mi obietta che statale, regionale e comunale è qualitativamente meglio rispondo che la qualità si ottiene pretendendo dai privati standard elevati di servizio accompagnati da monitoraggi e controlli seri e severi da parte del committente pubblico. Sono disponibile ad un confronto approfondito su questo. Non mi interessano le prese di posizioni ideologiche, ho a cuore che le risorse del PNRR abbiano le ricadute che ci aspettiamo e che il polo educativo 0-6 diventi finalmente non un servizio a domanda individuale ma un diritto universale all’ educazione per ogni bambino.
Pier Sorel