Nei primi anni sessanta non tutti avevano l’automobile.
Si era nel pieno del boom economico, ma molte famiglie non potevano ancora permettersela e la mia era una di queste. Mio padre nel 1960 (prima andava in bici e basta …) si comperò la sua prima moto, una Vespa bianca, col “parabris” montato sul manubrio. La usava per andare a lavorare e d’estate portava in giro mia mamma e mia sorella bambina, per i classici picnic domenicali, che in quelle condizioni, oggi, nessun padre di famiglia farebbe mai.
Abitando nella zona di Busca, due mete classiche erano Valmala in maggio e Castelmagno per la processione del 19 agosto, ma talvolta lo spirito del viaggiatore lo spingeva ad esagerare.
Mia sorella racconta: ”Un mattino partimmo decisi e andammo fino al Sestriere. Tieni conto che io stavo in piedi davanti a lui e avevo una piccolissima porzione di sella, mentre mamma sedeva dietro, di traverso e non a cavalcioni, perché allora le donne non portavano abitualmente i pantaloni e lei con la gonna non poteva far diversamente. Tra l’altro si aggrappava a papà tenendo la borsa dei panini a tracolla da una parte e l’immancabile borsetta dall’altra. La Vespa ci portò a qualche tornante dalla cima, il resto lo facemmo a piedi: di solito nei tratti di salita era così. Niente casco, portavamo i foulard ben legati sotto il mento, nessun abbigliamento particolare per le intemperie, viaggiavamo in equilibrio precario, ma non immagini quanto mi piacevano quelle avventure!”
Immagino che le stesse famiglie dell’albese o del monregalese, avessero mete differenti, magari il santuario del Todocco o il col di Nava o Montezemolo, ma tutte la stessa voglia di viaggiare con il mezzo che si aveva, sulle strade che solo dieci, quindici anni prima erano disastrate dalla guerra o impercorribili e pericolose. Mezzo secolo fa, non un’era. Persone che avevano visto il peggio, potevano godere della loro terra, scoprirla, conoscerla.
Cosa volete che sia per uno salito in montagna ad ottobre del ‘43 e tornato a casa a maggio del ’45, pilotare Vespa, moglie sghemba e figlia fra le braccia, senza cascare nei fossi, fino al Sestriere? Uno che aveva conosciuto la fame, il freddo, la violenza, la paura, che era volato su una mina tedesca e seppellito tanti suoi compagni? Uno scherzo.
A volte è bello avere avuto una famiglia povera, semplice,onesta, un po’ pazza.
Silvano Bertaina
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