Guido Bodrato, pensare politicamente agire per il bene comune con un cuore cristiano
Democratico e cristiano per qualcuno potrebbe sembrare un ossimoro eppure è stato proprio così per Guido Bodrato, personalità di rilievo nel panorama politico della Prima Repubblica, partendo da Torino per giungere a Roma.
Il cursus honorum del dirigente e amministratore di razza. Non la semplice imposizione dall’alto, oppure il parvenu che diventa da venditore a ministro, ma una vita di studio, pensiero, azione politica, dialogo, confronto, conflitti e rotture. Faceva parte di quella Quarta generazione di cattolici in politica erede della prima (Murri, Toniolo, l’Opera dei Congressi) contro il modello liberale e risorgimentale, la seconda quella di Luigi Sturzo e il suo popolarismo moderno e aconfessionale capace per un tempo, breve, di contrapporsi al fascismo, sperando in una alleanza con il riformismo socialista, per poi perire sotto i colpi della dittatura.
Ed infine la quarta quella nata dall’afascismo fucino e dell’Azione cattolica, delle Acli e del sindacato bianco, della Resistenza cattolica di Aldo Gastaldi, Teresio Olivelli, Paolo Emilio Taviani; dalla montagna alle idee ricostruttive del Codice di Camaldoli e della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e Giuseppe Dossetti.
Guido Bodrato parte da Monteu Roero e approda a Torino, anni difficili, fascismo e guerra, stenti e difficoltà. Poi la liberazione, la formazione cattolica ma i bigotta, aperta e anticipatrice di quella grande primavera dello spirito che fu il Concilio Vaticano II. Guido è dentro il movimento cattolico, dalla parrocchia, all’Azione cattolica, fino ad arrivare alla Fuci ma soprattutto alla politica, la passione della sua vita. Nella Fuci conosce Irma la moglie che l’accompagnerà fino a due mesi fa. La sua morte è stato il lungo addio di Guido Bodrato, la testa più fine e lungimirante di una stagione di grandi uomini politici. Area sindacale e sociale, allievo prediletto di Carlo Donat-Cattin, sinistra sociale di base, soprattutto morotee.
Il faro De Gasperi, il fine Dossetti, e poi Elia, Galloni, Granelli, Vanoni, Zaccagnini, Rognoni e tanti altri ancora. Dall’Intesa universitaria e il confronto con la cultura laica nell’ambito della rivista dell’Università di Torino Ateneo, al confronto con i grandi democratici cristiani e liberali della Torino del dopoguerra il sindaco Amedeo Peyron, Aldo Fusi, Gustavo Colonnetti e poi ancora Guglielminetti. Ma Bodrato, Piacenza, Fantino, Garabello, la mitica Anna Rosa Gallesio Girola sono la nuova generazione quella che riporta Torino in auge, affronta il tumultuoso sviluppo industriale della Fiat di Valletta ma soprattutto degli Agnelli, e si arrovella e contorce tra spinte centrifughe, il Sessantotto, anno della prima elezione in Parlamento di Guido Bodrato, e della strategia della tensione, con il terrorismo passaggio tragico degli anni Settanta, con la fine di Aldo Moro e le illusioni di una Italia democraticamente bloccata.
Ma Bodrato non si ferma, elabora, costruisce ponti, alleanze, con coerenza e senza darsi per vinto per le sconfitte e le cadute. Rompe con Donat-Cattin nel 1980 dopo il Preambolo. Una ferita rimarginata solo dopo anni, aiuta il mite Zac, a Torino è leader indiscusso tra i cattolici democratici e i popolari. Diventa ministro e poi parlamentare europeo. Ma soprattutto è un maestro per molti, un faro, la bussola e il confessore per tutti coloro che si ritrovano nel deserto attuale della politica. Con l’amico Mattarella è sempre legatissimo.
Dirige gli ultimi anni del quotidiano Il Popolo in piazza Cinque Lune, dietro a piazza Navona tra il 1995 e il 1999. Poi va in Europa ma assiste agli anni del berlusconismo, alla dissoluzione dei partiti, alla fine della DC, poi il nuovo PPI, la Margherita e infine il Pd. Tutto troppo in fretta, tutto troppo realizzato senza pensare e costruire. Bodrato lascia e torna allo studio, da padre nobile con i suoi libri, le conferenze alla Fondazione Donat-Cattin. Ammonisce e invita a fare attenzione, mette in guardia sui limiti della politica, il valore della fede come mistero di un compimento più grande e indicibile per l’umano, ma che è unica ancora di salvezza. E ancora la politica e quella fragile democrazia italiana che da oggi si sente più orfana dopo l’ultimo viaggio di Guido.
Luca Rolandi