“La memoria influenza il futuro”. Lirio Abbate si racconta …
Sembra quasi uno slogan: “Non dimenticare! Cerca di ricordare e saprai come andrà avanti la tua vita”.
In realtà è il leitmotiv dell’incontro di un grande giornalista investigativo con un pubblico di liceali, all’I.I.S. Majorana di Moncalieri, curioso e predisposto ad impegnarsi per capire, per sapere, per scovare la verità dove forse la verità è difficile da trovare. Perché spesso le risposte non ci sono o vengono col tempo contaminate da più fatti che si sovrappongono, si denigrano, disintegrano, annebbiano.
Vice-direttore de L’Espresso, insignito di numerosi riconoscimenti culturali internazionali, tra cui il Freedom of Expression Award il nome di Lirio Abbate è collegato a molti fatti di cronaca mafiosa: l’arresto del capomafia latitante Bernardo Provenzano, per esempio, o l’indagine giudiziaria di“Mafia capitale”.
Sotto scorta dal 2007 dopo aver ricevuto minacce di morte per la sua attività giornalistica palermitana e intimidazioni anche dal boss Leoluca Bagarella, durante l’udienza di un processo, Lirio Abbate non ha mai rinunciato a condurre con professionalità le sue inchieste esclusive su mafie, malaffare, corruzioni e politica.
“Il ruolo del giornalista investigativo – ha detto – è un ruolo delicato e molto osteggiato. Il giornalista investigativo non si occupa dei reati, come i giudici, ma di notizie sottobanco che hanno rilevanza pubblica e sociale su quei reati. In poche parole: ciò che la criminalità non vorrebbe si conoscesse. Il reato in sé non preoccupa i criminali, perché a volte non arrivano mai ad un processo definitivo; ciò che temono è perdere il consenso”.
“La mia vita non fa notizia – continua – ma è scomoda per le persone che hanno assecondato la mafia e continuano ad assecondarla”.
Ma che cosa teme la mafia? “Ciò che disturba la mafia – afferma Abbate – non è la verità, ma lo svelamento delle contraddizioni che risiedono nel suo sistemamalato. E’ questo che le dà fastidio: e per questo risulto scomodo. Come sono risultati scomodi gli 11 giornalisti uccisi in Sicilia da Cosa Nostra. Le mafie vivono di apparenze. Quando si scovano le loro incoerenze e vengono denunciate apertamente, scatta la difesa e l’attacco attraverso le intimidazioni. Com’è successo per l’inchiesta Mafia Capitale. Massimo Carminati boss mafioso romano non ha gradito la denuncia del potere del suo clan, oggetto nel 2012 dell’indagine giudiziaria “Mafia Capitale”. Sappiamo i retroscena e sappiamo com’è andata a finire. Le mafie vivono di apparenze, non bisogna dimenticarlo. E’ difficile e rischioso denunciarle, ma è l’unico modo per aiutare la giustizia e difendere la collettività”.
Un lavoro delicato quello del giornalista investigativo.
Lirio Abbate ne ha parlato in termini anche di difesa dell’autonomia dell’informazione, quale diritto fondamentale del cittadino a conoscere i fatti ed essere correttamente informato. Un lavoro che, svolto così, diventa anche garanzia per la giustizia e la società.
Maria Giovanna Iannizzi