Sostiene Luciano Canfora, a margine del Festival del Classico di Torino:
«Non so quanto possa incidere sul tessuto civile (per esempio di una città) il “festival della cultura classica”, ma certo vien da pensare che, in momenti in cui reticenze e ambiguità dominano la parola politica, un’intera tornata di studi e di letture pubbliche intorno al nesso verità / libertà è sommamente salutare. La cultura moderna (si dice) porta dentro di sé quell’antica, ma non nel senso banale del primato o dell’esemplarità, bensì nel senso ben più drammatico della consapevolezza del costante riproporsi, in noi, dei dilemmi etico-politici, religiosi e scientifici che quel mondo seppe impostare, certo non risolvere».
Il rapporto con lo straniero è stato un tema particolarmente discusso nell’ambito del Festival del Classico, la manifestazione torinese volta a far conoscere la voce degli antichi su questioni che ancora oggi interrogano la coscienza dell’uomo.
Un’edizione svoltasi dal 17 al 20 ottobre, quest’anno dedicata alla ricerca della Verità, su cui si sono confrontati filologi, filosofi, storici, scienziati attingendo ai testi patrimonio della nostra cultura per far emergere analogie e differenze, spunti utili a un dibattito fecondo con gli interlocutori di oggi. E questi non sono mancati: tutto esaurito nei teatri e nelle sale che hanno ospitato l’evento organizzato dalla Fondazione Circolo dei Lettori. Un vasto pubblico di studenti, insegnanti, intellettuali interessati ad ascoltare ancora una volta la lezione dei classici.
Cosa ha da dirci il mondo classico sul tema dei migranti?
Molto, anzi moltissimo. L’antropologo e filologo Maurizio Bettini, relatore dell’incontro di sabato 19 “Homo sum”, è partito dall’Attica del VI secolo a.c. quando i sacerdoti, per placare l’ira degli dei, maledicevano coloro che non rispettavano alcune regole ritenute irrinunciabili: dare acqua, fuoco a chi lo chiede, seppellire i cadaveri, indicare la via al viandante.
LO STRANIERO: LA PAROLA DEI CLASSICI PROVOCA IL NOSTRO TEMPO
Doveri fondamentali ripresi anche dalla cultura latina, per la quale già ai tempi di Terenzio essere uomini voleva dire essere solidali. La celebre frase terenziana, che oggi figura nei profili delle chat, “homo sum, humani nihil a me alienum puto” (sono uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo) era infatti detta da Cremete (personaggio del “Punitore di se stesso”) per giustificare il suo interessamento al dolore del vicino di casa. “Essere umani– spiega Bettini- per i Romani voleva dire essere civili, miti, generosi verso gli altri e avere cultura.” Una prospettiva che escludeva concetti di forza e che oggi andrebbe rispolverata, anche a partire dall’ultimo requisito: leggere libri e avere cultura.
Immancabile il riferimento a un testo cardine della formazione di tutte le generazioni: l’Eneide. Bettini rilegge le parole di Virgilio che racconta del naufragio di Enea e dei compagni, profughi da Troia nel Mediterraneo, approdati a Cartagine, dove furono prima rifiutati per paura e poi accolti dalla regina Didone, la quale, memore di essere stata lei stessa esule, offre ai migranti approdo, accoglienza e la garanzia che non farà differenza tra i suoi sudditi e i nuovi arrivati.
All’epoca di Augusto era infatti questo il pensiero e questa la sensibilità per i diritti dell’uomo: Bettini fa notare che nel titolo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948 si riprende l’espressione latina ius humanum, che i Romani utilizzavano proprio in casi di gravi violazioni.
Siamo eredi di questa cultura classica e lo ripetono a più voci i relatori della conferenza “Lo straniero” di domenica 20 al Carignano. L’incipit è ancora affidato a M. Bettini, che sottolinea la polarità nel mondo antico tra la visione greca a difesa dell’autoctonia e quella latina aperta alla dimensione multietnica: “I Greci definivano lo straniero xenos ma anche barbaros (colui che balbetta, ridicolo), mentre a Roma i vari termini non avevano nulla di offensivo.
Una polarità che abbiamo ancora oggi, tra chi vuole respingimenti dei barbari e chi propone lo ius culturae.” Gli fa eco l’analisi approfondita di Luciano Canfora, noto storico e filologo classico, che cita il pensiero degli abitanti di Atene all’epoca di Pericle “Non respingeremo gli stranieri”, ricorda la straordinaria apertura sociale dell’antica sofistica, che con Antifonte considerava uomini “uguali tutti coloro che respiravano la stessa aria” e definiva “barbari” quelli che invece si ritenevano diversi.
La lezione degli Stoici è nota: per loro non esistevano stranieri perché consideravano la Terra una casa comune (oikia) di tutti gli esseri umani. Canfora ricorda che anche i Romani legiferarono sul comportamento nei confronti degli stranieri e che Caracalla arrivò a concedere a tutti la cittadinanza romana. Lo studioso accenna a quanto il Fascismo riprese del mito dell’antica Roma, ma non su questo punto: lo storico De Francisci nel 1938 arrivò persino a ritrattare il suo elogio per l’editto di Caracalla, allineandosi con il tempo in cui in Italia vennero varate le leggi razziali. Per paura.
Il Festival del Classico alla ricerca della Verità.
Proprio sulla paura fa leva l’intervento di Raffaele Simone, linguista, che approfondisce la reazione degli animali e dell’uomo di fronte al pericolo: il blocco o la fuga. Una paura indagata da filosofi e psicanalisti, che oggi spiega la nascita dei partiti di destra e che secondo lui andrebbe meglio studiata. Xenofobia, paura dello straniero, perché non lo conosciamo e temiamo che possa danneggiare la comunità ospitante.
Gli risponde con una certa veemenza Armando Spataro, giurista ed ex Procuratore della Repubblica a Torino: “la sicurezza è un diritto ma non deve vincere su tutti gli altri. Ci vuole equilibrio e i legislatori devono agire con freddezza e razionalità.” L’uomo di legge, immigrato dal Sud e impegnato sui problemi dell’integrazione, si infiamma a proposito dell’abuso e della strumentalizzazione del diritto alla Sicurezza che può portare a delitti o al sequestro di persone sulle navi a cui si nega di attraccare. Spataro ricorda i tempi bui della storia d’Italia minacciata da forze eversive, Anni di piombo, attentati mafiosi, terrorismo internazionale… ma sottolinea con fermezza che lo Stato allora reagì con forza ma sempre nel rispetto anche del peggiore dei criminali.
Critica senza mezzi termini i Decreti Sicurezza varati oggi sulla base della minaccia, mai provata, che i migranti dei barconi possano essere terroristi. Spataro fa appello a politici, studenti, artisti affinché portino un nuovo messaggio di verità e giustizia, invitando a cogliere questi valori anche nei testi delle canzoni, come The Wall dei Pink Floyd o Clandestino di Manu Chao : “cantiamo per le strade, impariamo a memoria queste parole per una solidarietà che non deve vivere solo nelle leggi ma nella pratica quotidiana.” E non gli mancano esempi di uomini giusti: ricorda con commozione il capitano Todaro, che nella II Guerra Mondiale affondò una nave nemica ma poi ne portò in salvo gli uomini caduti in mare. Gli chiesero perché lo fece e lui rispose: “Me lo imposero le leggi del mare e duemila anni di cultura sulle spalle.”
Cultura, appunto, quella che per gli antichi Romani era fondativa dell’humanitas: il dialogo inesauribile con i classici ci ricorda il pensiero di cui siamo eredi e ci invita ad esserne responsabilmente custodi.
Chiara Tamagno