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Edito per i tipi di Umberto Allemandi & C. un interessante testo riporta in esame la celeberrima opera del Giorgione conosciuta come La Tempesta.
Giorgione, pseudonimo di Giorgio Gasparini da Castelfranco (Castelfranco Veneto 1477 circa –Venezia 1510) le cui opere hanno suscitato da sempre controversie, disaccordi, e polemiche intellettuali non smette di incuriosire, appassionare e concedersi a nuove interpretazioni. E proprio di una nuova, singolare e affascinante interpretazione del quadro conosciuto come La Tempesta si discute nel libro scritto dal pittore Roberto Demarchi in serrata e audace conversazione con il collezionista Antonio Conto.
Alla fatidica domanda “ma che cosa vuoi dimostrare ?” rileggendo ancora una volta il dipinto. Demarchi risponde: “ L’intento è il dimostrare la sua incredibile attualità non solo di contenuti, ma anche espressiva e formale, e ribadire che  l’intramontabile idea di bellezza e l’alto pensiero che la governa devono essere ricordati e ad ogni costo difesi per non arrendersi”.

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Assoggettati a quel mistero ontologico che è l’arte, per utilizzare un’espressione di Antonio Paolucci, nei vari capitoli si cerca oltre ad una accurata lettura iconografica e simbolica, qualcosa di ineffabile, che azzardando potremmo definire bellezza. Risulta che l’analisi di una delle opere portanti dell’arte, una pietra miliare che a distanza di secoli, l’opera è databile tra il 1505 e il 1508 conservata a Venezia alle Gallerie del’Accademia, nei suoi 82 x 73 centimetri possiede un inalterato incanto, custode geloso del proprio segreto ben nascosto in bellavista, La Tempesta si offre come percorso obbligato, un ritorno, con cui un anche un pittore del ventunesimo secolo deve confrontarsi.
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Confronto che Demarchi interiorizza producendo oltre ad un rinnovato esame critico una personale lettura pittorica astratta del quadro del Giorgione pubblicata nel testo; una tela realizzata con tecniche miste su tavola di poco più grande dell’originale. Osservarla, per coloro che hanno potuto vederla dal vivo, è l’inizio di una ascensione nella profondità, di una pittura ermetica e mentale, in grado di evocare la presenza di un significato superiore.
Questa riflessione sul potere evocativo delle immagini conferma il detto medievale “per visibilia ad invisibilia”, dalle cose visibili alle cose invisibili, una esercizio di meditazione al confine con una pratica spirituale che riconosciamo nella forma, purificata e greca nelle geometrie del dipinto. Negli intenti dell’artista, vitale è la particolare efficacia che può talvolta avere un linguaggio astratto rispetto a quello figurativo, in ciò che può infondere o suscitare, in chi lo contempla.
Lo zolfo dell’interpretazione di Roberto Demarchi, inserita tra la scienza dello storico e la sensibilità del pittore, rafforzano la vita antica e magica al quadro del Giorgione, persuade nel saper portare al centro ciò che era relegato a margine, ossia la pittura come pensiero, téchne e destino, crea il terreno di una critica poetica, intrigante, dagli inattesi significati religiosi.
Edmondo Bertaina

 Il lampo si diffonde sotto tutto il cielo

Ed il suo bagliore giunge ai lembi della terra;

dietro di esso brontola il tuono,

mugghia con il suo fragore maestoso

e nulla arresta i fulmini

da quanto si è udita la sua voce

Giobbe XXXVII, 3-4

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