Sei seduto in pizzeria quando arriva il cameriere. Tutti ordinano la pizza, tu no. Tu ordini un secondo.
“Sei a dieta?” Ti chiede il tuo vicino di posto che non conosci come la maggior parte degli altri commensali.
“No.” Rispondi.
“Allora non ti piace la pizza?” Incalza lui come dire: sei impazzito?
“Sono celiaco.” Tagli corto tu, cercando di assumere l’espressione più naturale di questo mondo.
Lui ti guarda come se ti avesse infilato per sbaglio due dita nel naso: “Oh scusa…” Ti dice mortificato.
“Scusa di cosa?” Chiedi tu.
“Non sapevo.” Dice lui.
Forse te le aveva infilate davvero le dita nel naso, e non te ne sei accorto. E invece no: parla proprio della celiachia.
Ad ogni pasto il rito è sempre lo stesso. Quando qualcuno scopre che tu sei celiaco e lui no, qualsiasi discorso si stia facendo nel resto della tavolata il discorso si magnetizza, cambia verso e il verso è sempre quello girato verso di te, testa dopo testa, per tutte le teste fino ad arrivare alla tua: la tua testa sopra un piatto senza glutine.
La gente si aspetta un commento e tu capisci che il momento che non aspettavi sta arrivando, si tratta solo di avere pazienza. Qualche secondo che arriva, eccolo: “E quando l’hai scoperto?” Ti chiede il primo solerte intervistatore. Poi il secondo: “Cosa ti succede se lo mangi?”
E qui entra in gioco l’esperienza. Dopo anni passati a ripetere la stessa cantilena, ora hai modificato la versione dei fatti, che inizi pressappoco così:
“Nel gennaio del 1981 Ronald Reagan succede a Jimmy Carter come Presidente degli Stati Uniti d’America. Un mese dopo a Sanremo vince Alice con “Per Elisa” mentre Rino Gaetano perde la vita in un incidente stradale. Papa Giovanni Paolo II subisce un attentato e Carlo e Diana si sposano. Nessuno di loro è celiaco. Il glutine è una sostanza proteica vivente, ma non ancora famosa: non è finita neanche su un giornale.
Nel 1981 non ero famoso nemmeno io, neanche ora a dir la verità, però a quell’epoca indossavo una pancia pari a tre cuscini sotto la maglietta, insieme a braccia e gambe smilzi come stecchini. Era come essere incinta però magro e senza figlio. Una cosa terribile, soprattutto se si considera che ero incinta a soli tre anni.
Esami, controlli, visite in biblioteca, a Lourdes, in maternità, tutto vano, nessuna risposta sensata a quella strana mutazione genetica. I dottori interpellati cadevano dalle nuvole e giustificavano quell’insolito aspetto come un probabile fattore di crescita.
I miei genitori cambiavano dottore ogni mese. Li cambiavano continuamente ma i risultati erano sempre gli stessi, anzi peggioravano: gli ultimi mesi li passai in ospedale, dove i miei parenti venivano a vegliare quella pancia così gonfia come fosse figlio loro. Per farla breve, gli altri mi venivano a trovare, mentre io me ne stavo andando.
Mia nonna era quella che ci credeva più di tutti: scrollando tutto il tempo le spalle camminando avanti e indietro lungo i corridoi dell’ospedale, mormorava alternativamente il rosario agli scongiuri: “Se muore lui, dopo muoio anche io”.
Alla fine non morì nessuno. Incontrai una fata come nelle fiabe, una signora molto elegante, con la laurea e un camice bianco, che con amore mi infilò una sonda in gola e dichiarò il verdetto: avevo il tarlo del glutine. Ce l’avevo proprio dentro, scritto pure in grande, solo che non sapevo leggere.
Smisi di mangiarlo e lui smise di mangiare me. Migliorai. Ripresi lentamente un aspetto umano e mia nonna smise di credermi morto. Al contrario, mi identificò come Superman. Rimossi i cuscini dalla pancia e uscii dall’ospedale volando.
Iniziai subito una dieta priva di glutine che negli anni ottanta si basava su prodotti farmaceutici tedeschi dal sapore simile alla plastica con cui erano confezionati, per approdare oggi a industrie su scala mondiale che forniscono bar, mense, ristoranti e si trovano anche al supermercato sotto casa mia o in un negozio a Casalecchio di Reno (BO), si chiama Celiachia Free, lo dico per non fare pubblicità.
I sapori dei cibi col tempo sono migliorati e ora mangio tutto con gusto. Certo, la celiachia non è un’intolleranza comoda perché non è sempre facile trovare i prodotti sotto casa, specialmente quando non sei a casa e magari non parli nemmeno la lingua del paese in cui ti trovi. Però diciamo che anche se non posso mangiare la pizza, la pasta, il pane, i biscotti, la cialda del gelato e le cotolette in inglese, sono comunque fiero di sentirmi italiano anche all’estero, ad esempio a Milano.
Una volta un signore di Milano con cui avevo una colazione di lavoro, davanti alla sua briosce e cappuccino, rispetto al mio cappuccino e basta, mi chiese come mai non mangiavo la briosce. Gli risposi che ero allergico al glutine. Lui annuì. “Sei celiaco.”
“Sì.” Annuii a mia volta. “Lo sono.”
A quel punto il signore parve riflettere. “Ma tu sei veramente celiaco, o lo fai per fare ilfigo?” Domandò l’uomo ingoiando l’ultimo morso della sua briosce.
Ora, io non sapevo se a Milano le cose funzionassero diversamente, però l’istinto era quello d’infilargliela in un orecchio, la briosce, ma non potevo. Primo perché non ci stava, secondo perché in quel momento quell’uomo rappresentava un’opportunità lavorativa che poi non ho avuto, e a pensarci oggi forse è stato meglio così. Cosa avrei potuto infilargli ogni mattina, una volta esaurite le brioche? E sopratutto, dove?
Quando ero più giovane ogni tanto mangiavo di nascosto un po’ di glutine sottoforma di pizze, biscotti e panini. Lo facevo per sentirmi uguale agli altri, esorcizzando una certa paura della diversità.
Ora non lo faccio più perché ho capito che essere celiaco non è certo un vanto ma neppure una tragedia: è solo un modo come un altro per essere un ragazzo speciale.”
A questo punto termini il discorso e scopri che i commensali ti fissano in silenzio con occhi lucidi. Le ragazze in particolare ti mandano i baci da lontano e ti versano il vino, perché la birra i celiaci non la possono bere. Anche i ragazzi ti mandano i baci da lontano, ma solo perché sono tutti ubriachi dopo avere finito le birre: così finisce anche la cena a taralucci e vino, però senza i tarallucci, perché il glutine non lo ferma nessuno, nemmeno i modi di dire.
Informazione sull’autore
Massimo Vitali, scrittore e blogger
A Massimo Vitali gli tagliano l’ombelico a Bologna nel 1978. Lavora all’ufficio reclami di una multinazionale svedese che non è l’Ikea e insegna nuoto in una piscina dove è possibile coltivare i funghi. Ha pubblicato i romanzi L’amore non si dice (2010) e Se son rose (2011) entrambi per l’editore Fernandel. E’ promotore del progetto Il favoloso Gianni, letture di Gianni Rodari per bambini. E’ autore e conduttore su Radio Città Fujiko del programmaUfficio Reclami. Collabora col sito Rockit e sebbene passi gran parte del suo tempo fra le nuvole, questo non vuol dire che sia sceso con l’ultima pioggia.
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