Tra le tappe previste per la presentazione del libro “La missione possibile”, edito da Rubettino e scritto dal deputato Luigi Marattin non poteva mancare Torino.
Ospite nella sede dell’Ordine dei Commercialisti, introdotto dal Presidente Luca Asvisio, dall’ex Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia e da un giornalista della Stampa esperto di temi economici, Marattin ha focalizzato l’incontro, in una sala piena piena, su una domanda semplice ed esiziale.
La situazione economico politica italiana e le scelte fallimentari compiute fino ad oggi.
Il quesito di fondo è? Qual è il problema italiano, perché le spiegazioni che centrosinistra e centrodestra hanno dato e danno di tale problema sono e sono state fallaci e quale sia invece un’analisi liberal-democratica di come e perché l’Italia si trovi nella situazione attuale.
Uscito come Jack Frusciante da Italia Viva Marattin è un fine oratore molto preparato che ha saputo offrire risposte interessanti ad una platea, che non si può non definire elitaria, curiosa, interessata e che non vuole chiudere con le istanze della politica. Non per nulla la nuova associazione Orizzonti Liberali a cui il deputato ha dato il via ha trovato immediata accoglienza tra transfughi di quel terzo polo collassato alle porte d’Europa a causa dei suoi inconciliabili condottieri afflitti dalla sindrome simul stabunt simul cadent.
Il richiamo a nuove disillusioni è una sirena necessaria e imperscrutabile, il vasto interesse di molti cittadini per una via terza, di ispirazione liberal-democratica, malgrado il frastagliato confine dove questa strana famiglia sappia indicare con certezza cosa possa essere compreso od escluso, risponde ad un desiderio di costituire un alternativa di visione e di approccio alle problematiche vigenti. I dioscuri Renzi e Calenda, orfani di uno Zeus diplomatico, elidendosi a vicenda hanno per certi versi riaperto la possibilità di riformulare la nascita di un soggetto sperabilmente non intestato ad un unico dominus. L’idea che soggiace all’associazione è quella di trasformarsi in partito una volta costruita una struttura.
Venendo al libro al cuore del libro, sorvolando sulla copertina di incomparabile bruttezza, Marattin delinea l’excursus di come si sia formato tra gli anni ’70 e ’80 il debito pubblico (in rapporto al Pil) ed è divenuto il terzo più alto del mondo, e tra poco sarà il secondo. Prosegue guardando agli anni 90 – quando il quadro politico è diventato tendenzialmente bipolare – e le cose sono parzialmente cambiate.
Spiega come entrambi gli schieramenti ottengano consensi promettendo aumenti di spesa pubblica, che però sono in grado di mantenere solo parzialmente una volta arrivati al governo; chi va all’opposizione invece ne prometteva di più, e la volta successiva vince le elezioni.
La riforma del Patto di Stabilità (che la maggior parte della classe politica non è che non ha capito, ma non ha proprio letto) cambia il sistema delle regole fiscali, che ora si basano non tanto più sul deficit ma sul contenimento della spesa pubblica. Che non deve diminuire (come in Italia servirebbe) ma praticamente rimanere costante, e diminuire quindi in termini reali. La politica italiana quindi si trova di fronte ad una novità che nella sua storia non ha mai affrontato: ottenere e mantenere il consenso politico in modi diversi da quelli che ha usato per mezzo secolo.
Un quadro approfondito e difficile da far uscire da una cornice di consuetudine in cui le ricette per quanto ragionate devono obbligatoriamente fare i conti con la storia.
Abbiamo rivolto un paio di domande leggermente fuori capitolo rispetto al libro.
Che tipo di rapporto c’è nel paese tra economia e infrastrutture?
Mediamente la spesa di infrastrutture ha un moltiplicatore più alto rispetto alla spesa corrente, cioè serve di più all’economia, serve di più al capitale, serve più alle capacità produttive, serve di più al PIL potenziale. Serve di più la coesione sociale perché connette territorio, il che non vuol dire che tutte le infrastrutture siano necessariamente utili. Perché si è fatto spreco in questo paese anche sulle infrastrutture, quindi la verità è come sempre nel mezzo, cioè mediamente la spesa per infrastrutture serve. Ma non è vero che ogni spesa in infrastruttura sia meglio di ogni spesa corrente. Al solito serve un pò di buon senso.
Riusciamo, secondo lei, a trasmettere un’immagine coerente della democrazia. Quando le persone che sono per strada, che camminano, che vedono dove vivono si guardano intorno. Percepiscono la sensazione di vivere in una democrazia?
Io non lo so se questa sensazione possa essere derivata osservando un edificio o osservando una strada, o un Paesaggio. Credo, a caldo, che l’impressione di vivere in una democrazia in questo paese si può avere osservando come funziona il suo dibattito pubblico. Come funzionano i giornali? Come funzionano le trasmissioni televisive? Come funzionano le persone che in una piazza si trovano a parlare?
Il modo in cui il dibattito viene condotto. Perché stiamo perdendo anche questo. in Italia i dibattiti sono zuffe, sono risse, sono colpi di slogan e questo va a detrimento della qualità della nostra democrazia e prima o poi andrà a detrimento anche della quantità di democrazia. E allora c’era da preoccuparsi veramente.
La seconda parte del testo punto lo sguardo al futuro: dove risulta determinante chiedersi a quale tipo di società ci si voglia ispirare, come ricostruire un’organizzazione partitica per veicolarla e quali le principali politiche per realizzarla.
Marattin ci confida che il libro sta avendo un buon risultato di vendite, a differenza de L’imprevista di Elly Schlein, forse che anche in questo caso la copertina è ferale; è curioso e irrinunciabile che da sempre, per affrontare le sfide del domani, ci si avvalga di uno strumento così antico come un testo scritto su carta; costruito dipanando un regesto di esperienze e pensieri di politica agita e vissuta per immaginarne una possibilmente migliore.