manette

1 – Quando fecero irruzione in casa sfondando la porta, la

trovarono in salotto.
Affilava con cura un coltello scannino, mentre lui era al
piano di sopra, sotto la doccia.
Uno dei due agenti puntò la pistola verso di lei e chiese
con tono freddo : ‘ dov’è lui?’.
‘ è dove sono tutti gli uomini di solito, al riposo’,
rispose lei con un sorriso.
Posò il coltello e tese le braccia verso le manette che
l’altro poliziotto aveva cacciato tremante dalla tasca posteriore.
Era bella come le cose inafferrabili. Era bella come un
profumo, impenetrabile come uno scatto fotografico. Per questo si tremava
davanti a lei, non per altro.
Il più alto in grado si accertò che la donna fosse
immobilizzata prima di salire al piano di sopra.
Lui chiuse i rubinetti dell’acqua e si passò le mani sui
capelli bagnati. Sentì i passi pesanti sulle scale in legno, e dato che non
erano quelli della sua donna, non potevano che essere rogne.
Infilò l’accappatoio a strisce blu e crema e scivolò giù dal
tetto in legno del giardino, che toccava la finestra del bagno.
Cominciò a correre, scalzo. Non si voltava indietro,
sembrava sapere con precisione dove andare.
La macchina della polizia partì a razzo, lasciando solo la
lunga striscia nera degli pneumatici a vigilare l’ingresso della villa.
Lei era sul sedile posteriore, con i polsi ammanettati e gli
occhi fissi al finestrino laterale, congelati nell’orrore.
Sia il fuggiasco che gli inseguitori conoscevano a memoria
la città.
Su strade parallele correvano la loro personale gara.
Una macchina a sirene spiegate che inseguiva il nulla, ed un
uomo in accappatoio che scappava dagli sguardi allibiti della gente.
Era una delle prime giornate calde di aprile, quelle nelle
quali le tristezze dovrebbero essere bandite per legge. Un venerdì, nell’ora in
cui un bagno ti leva via le fatiche di una settimana di lavoro. Il tempo
perfetto, da portare in tasca e lisciarlo fra le dita, quando la vita non andrà
cosi bene come in questo momento benedetto da Dio.
Anche all’hotel Monastery, i minuti galleggiavano lenti sul
rossore del tramonto.
Lì, convergevano in rivoli tutte le stradine del centro
storico, al di la del muro scorreva il fiume Stiegl. La pianta ad imbuto della
cittadina non lasciava scampo, se non si avevano le palle abbastanza grandi da
tuffarsi, si doveva entrare nell’hotel.
L’uomo si fermò ansimante davanti all’ingresso e sgattaiolò
nel vicolo dove erano le porte esterne delle cucine.
Le conosceva molto bene, lavorava li da undici anni.
Stava scendendo le scale che portavano alla lavanderia
quando gli agenti entrarono nella hall.
Lui  lo sapeva,
avrebbero preso istintivamente l’ascensore verso il tetto, e cosi fu.
Quando arrivò al seminterrato, l’odore di lavanda era
nauseabondo.
Restò li per qualche minuto, pensò a lei. Era l’ultima
volta, lo sapeva.
Quella mattina l’aveva guardata a lungo, prima di uscire.
Lei era nuda, respirava beata. L’essere umano è perfetto nel
silenzio, aveva pensato lui.
Che ridicoli sarebbero gli scogli se esprimessero pareri
sulla vita.
La guardava e pensava : ‘ecco cosa sono quelle fossette sul
suo culo, i pollici di nostro Signore
Gesù Cristo’ .
Frugò nella montagna di panni sporchi, ne tirò fuori un paio
di pantaloni gessati, grigi, ed una felpa blue dei Pearl Jam. Non erano il
massimo dell’eleganza, messi insieme, ma li preferì al suo accappatoio.
Mentre risaliva le scale era felice.
Aveva scelto. E c’è altro nella vita che rende più felice
della facoltà di scegliere?
La volante della polizia, parcheggiata di traverso sul
marciapiede, aveva le sirene ancora accese. Dentro c’era sempre lei.
Lui uscì dal Monastery e fece una decina di passi in
direzione della macchina.
Si guardarono per qualche secondo, poi l’uomo si avviò verso
il commissariato.

2-  ‘l’avete
interrogato?’
‘si’
‘chi l’ha preso?’
‘nessuno, si è presentato spontaneamente qui in caserma’
‘lei dov’è?’
‘nella stanza dell’ispettore Peduzzi, ma pare che non sia
intenzionata a parlare’
‘siete sicuri che sia lei?’
‘sicurissimi commissario, abbiamo intercettazioni
telefoniche e video’
‘com’è avvenuta la cattura?’
‘in casa di lui, l’abbiamo trovata in salotto mentre
affilava un coltello’
‘ha opposto resistenza?’
‘no, affatto, ha lei stessa offerto le mani per essere
ammanettata’
‘e lui?’
‘è scappato prima che riuscissimo ad avvisarlo del pericolo
scampato, salvo poi scoprire che ne era già al corrente’
‘sapeva che stava per essere ammazzato?’
‘no, ma sapeva chi era lei’
‘quindi lui sapeva di avere in casa la ‘Mantide’? ‘
‘esatto, almeno questo è quello che afferma lui’
‘dove l’ha conosciuta?
‘all’hotel Monastery, dove lavora come addetto alle camere‘
‘e come mai si teneva in casa una pluriomicida? ‘
‘ perché l’amava…. ha detto lui’
Ora nella stanza si sentiva solo il ticchettio
dell’orologio.
‘lei può andare
Zurito, mi lasci il verbale sul tavolo’
Il commissario Fontan non riusciva a capire perché un uomo
incensurato e con una vita misera da cameriere si fosse infilato in una
faccenda cosi rognosa, ne tantomeno il perché fosse fuggito in quel modo
rocambolesco.
Prese il verbale, si alzò e andò alla finestra.
Da li si vedeva mezza città, che ora faceva occhiolino dalle
finestre che pian piano si illuminavano.
Si mise il foglio davanti agli occhi e lesse le ultime righe
dell’interrogatorio.

‘ come mai è fuggito quando gli agenti sono entrati in casa?’
‘perché volevo vederlo per l’ultima volta’
‘cosa?’
‘il suo sorriso’

Fontan fissò un punto
lontano, pensò a sua madre, ed a stento trattenne una lacrima.

Mauro De Felice

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