Come una barca in un bosco. E’ l’espressione tipica per definire una situazione di stallo, di qualcosa che dovrebbe essere altrove ed invece è finito per trovarsi in un contesto inadatto e che non consente più il viaggio che una barca dovrebbe seguire lungo un fiume o un litorale. Un modo di dire tipicamente piemontese per visualizzare efficacemente il trovarsi in un pantano da cui non si sa bene come uscirne.
Guarda caso calza perfettamente alle prospettive della città e sul suo viaggio verso il futuro. Le cause sono molteplici ma si possono concentrare sul tema primo che rende vitale e propulsivo un luogo: il lavoro.
Tra questi la terribile crisi dell’auto e dell’automotive in generale, l’illusione dell’elettrico, l’incaponirsi a tenere in vita una stagione che è stata motore dell’economia italiana ed adesso ha esaurito la sua spinta. Non è un caso che il mondo Fiat/Stellantis in città sia già definitivamente passato a musealizzare invece di produrre. Il Centro Storico Fiat Torino ha riaperto sotto la gestione del Museo dell’Automobile ed è un’ottima occasione di conoscenza e di studio del passato ma poco attiene al domani.
Una sorte non dissimile pare vivere l’adesione alla stagione politica. Pochissimi gli iscritti ad un partito, tra i giovani nemmeno a parlarne, scarsa in modo preoccupante la partecipazione al voto, un disinteresse diffuso e una inscalfibile indifferenza tengono a distanza la voglia di prendere parte alla vita politica cittadina.
Se e quando avviene è per difendere un bene considerato realmente pubblico dai cittadini. Che siano gli alberi che definiscono un corso o un parco ricco di biodiversità, dove la politica pensava di poter fare i conti senza l’oste. Oste e non ospite visto che paga le tasse.
Per rifarsi dallo smacco di esser dovuto venire a patti con la realtà e obbligato a ritirarsi con la coda tra le gambe, il Comune si vendica con la propria idea di giubileo. Telecamere in ogni dove per elevare il sacro diritto di multare semper et ad semper, urbi te orbi, unica festa per cui si trovano facilmente cospicue risorse. Per risolvere i problemi no, ma per multare si impegnerebbero l’anima.
Sarà per questo che la famosa partecipazione non decolla? Forse la risposta è meno banale e si annida in un senso di mancanza più profonda. La collaborazione e lo spirito che la anima richiede qualcosa di più di un semplice progetto. Chiede di poter essere parte di qualcosa che trascenda le piccolezze, i retrobottega o gli incarichi da distribuire post voto. Vuole un orizzonte più vasto, un “sogno che sonno non dia” una barca da portare fuori da bosco.
A questa città, alla politica, alla società, ai cittadini occorrerebbe lavorare insieme ad un’impresa più grande. Una ragionata follia alla Fiztcarraldo. Il famigerato e temerario film di Werner Herzog con protagonista Klaus kinski e il suo sguardo allucinato, ispirato ad una storia vera.
Ci vorrebbe una nave da spingere insieme in cima ad una montagna, ascoltando magari la voce di Enrico Caruso come nella pellicola, progettando un modo per farle attraversare le pendici, immaginando come condividere lo sforzo, mettendoci genio, ingegneria, pensiero e volontà. Restituendo il senso di provare a fare finalmente qualcosa che oltrepassi il piccolo cabotaggio e offra il coraggio, l’azzardo e l’audacia di coloro che tentano un tipo di impossibile per ritrovare il proprio possibile.
Se qualcuno saprà indicare la montagna e le improrogabili motivazioni per spingere una barca fino in cima avrà disancorato la città dal suo crogiolarsi nei soldini del Pnrr, dalla sua rassegnazione, dall’avarizia d’immaginazione e dalla spilorceria di intuizioni di cui è drammaticamente in ostaggio; sicuramente a causa della sua classe politica non di meno dallo zeitgest, dallo spirito del tempo in cui la storia pare appiattire il temperamento e il desiderio degli individui.
Una città smarrita, senza più senso di cittadinanza. Nessun leader che ne esprima istanze e stati d’animo. Neanche più si vedono i vigili, i famosi “civich”, sostituiti da telecamere gabelliere. Torino ha conosciuto in un paio di secoli cadute e rinascite ma è da pigri pensare che sarà di nuovo così. Una città che ha perso il suo tradizionale idioma. Suvvia, non facciamo i superficiali, anche quest’ultimo è un serio indizio di caduta. Tira il turismo nella versione “ryanair” ovvero la più parca di spesa. Ma non ci sputerei sopra. Soltanto che più di tanto non si può chiedere a quella voce di entrate. Non basta a mantenere la popolazione e lo sviluppo di una grande città. Università, Politecnico benissimo. E anche incubatori e startup. Ma senza manifattura non si può. Ci vorrà purtroppo ancora molto tempo perché la consapevolezza dei problemi penetri nelle menti più capaci e dia luogo a una fattiva risposta. Un riferimento storico importante è quel momento storico che seguì la catastrofica perdità della Capitale. Passarono un paio di decenni ma la borghesia torinese seppe rimboccarsi le maniche e inventò letteralmente tutto come è ben noto. I tempi sono cambiati, certamente, le nuove opportunità sono meno facili da immaginare, ma dobbiamo puntare su questo tipo di rinascita. Diversamente il datore non di lavoro ma di sussidi continuerà come temo avvenga già adesso a essere l’INPS. Finché anche lei potrà. Idee cercansi apoassionatamente.