Presentato ieri sera alla Libreria Trebisonda da Silvia Longo, questo autore sorprendente e timido ha mancato il primo posto al Premio Neri Pozza per un solo voto.
All’arrivo in libreria, ancora vuota dato il nostro anticipo, la cosa che mi ha colpito di più è stata la semplicità dei modi dell’autore, preso a vagare tra i libri e a scambiare due parole con ogni persona che entrava.
Difficile da inserire in un genere, “La letteratura tamil a Napoli” risente sicuramente delle letture del giovane autore, nato a Napoli nell’84 poi trasferitosi in Spagna da piccolo acquisendo una mentalità partenospagnola e imparando la curiosità per l’altro che pare animarlo.
Scrittore, ma prima ancora cantautore e autore teatrale, ha vinto diversi premi tra cui il Premio Giuseppe Giusti come migliore opera prima per il suo romanzo “L’infanzia delle cose” (Manni 2009) e il premio del pubblico alla manifestazione cuneese Scrittorincittà nel 2010 con il testo “Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia”.
Bellissima voce, canta sia in napoletano che in spagnolo accompagnandosi con la chitarra anche durante la presentazione; raccontando di sua nonna analfabeta che lavorava a Torino negli anni ’50, quando quelli come lei li chiamavano napuli, e della sua vita da bambino a Napoli, del misto di culture e lingue e nomi strani. Lo fa emozionandosi ed emozionando i presenti, con la comparsa di un venditore di rose dalle velleità canore (che si vede che in zona c’è abbondanza di personaggi bizzarri e ci si aspetta sempre qualcosa); e legge qualche frase dell’incipit per non rovinare la lettura ai presenti che vorranno acquistare il libro.
Dopo aver raccolto materiale e studiato la mitologia induista per non scrivere bestialità, ha scritto il suo terzo romanzo e lo ha mandato all’avventura, arrivando a un soffio dalla vittoria ma non per questo sentendosi arrivato. “La letteratura tamil a Napoli” vuole essere un omaggio a Bolaño e al suo “La letteratura nazista in America” in cui l’autore racconta di scrittori e poeti che nella realtà non sono mai esistiti.
Questo accade nel romanzo di Alessio Arena:
Nascosti nel sottosuolo della città, e pronti a farsi saltare in aria per far conoscere al mondo la tragica causa di Tamil Eelam, la loro patria perduta, dopo la resa definitiva delle Tigri e l’uccisione del loro capo Velupillai Prabhakaran da parte delle forze governative dello Sri Lanka, i tamil di Napoli, ostinati «come una crepa che si arrampica nella parete di un giardino, pieno di erbacce e frequentato dalle peggiori bestie notturne», in vent’anni di lavoro hanno creato un mondo altro, quasi un doppio della città, e hanno formato una società segreta, l’Accademia dei sotterranei, che va producendo opere letterarie napo-tamil. Dieci dei loro scrittori, annidati nel sottosuolo della città, raccontano la storia meravigliosa di questa guerra sconosciuta, e lo fanno per l’appunto in dieci capitoli, quanti sono gli avatara (le reincarnazioni) di Vishnu, i cui altarini campeggiano nei bassi dei tamil di Materdei, della Sanità, dei Quartieri Spagnoli e del Pallonetto di Santa Lucia.
In uno straordinario concerto narrativo, una comunità invisibile racconta le sue mirabolanti imprese, le mitologie, la vita quotidiana. È una comunità che ha lasciato la sua impronta sull’immaginario attuale di Napoli, e che, a sua volta, da Napoli è stata profondamente segnata, creando strepitose mescolanze. Abbiamo cosí madonne con proboscidi e code di elefante, patroni nati dalla fusione di Buddha e San Gennaro, e una disperata attività letteraria espressa sulle pagine di una rivista underground che s’intitola Cannarutizia. La fantasia di Arena procede sbrigliata e felice con un fuoco di fila di magnifiche invenzioni, come quella della prima macelleria vegetariana del mondo, o quella di un coro tamil del teatro di San Carlo, il cui direttore, Thiruchelvam detto’o Cardillo, diventa una star del pantheon neomelodico con il super-hit «’Ndraccalà»; e poi la pizza Paruppusilli, condita con una specie di fagioli asiatici, curry e peperoncino, o la sindaca Iervolino che, convertitasi, adibisce un’intera sala del municipio ad attività di meditazione. Soprattutto, i quattro Vangeli vesuviani di Siddharta, del Mahatma Fiorenzo Sarnelli, alla cui origine c’è, nel Settecento, la storia di una prodigiosa reliquia – una goccia del sangue del Buddha – versata nel cratere del Vesuvio.
Sostenuto da una lingua bellissima e inventiva, l’opera di Arena è un libro di estrema originalità e ardua classificazione. Epica e comica, sentimentale e spietata, capace di scatenare il riso e il pianto, è il ritratto possibile di un mondo nuovo che nasce dall’incontro di realtà fra loro estranee, e che tuttavia sanno cooperare fino a coincidere.
Trovate il libro di Alessio in tutte le librerie, oppure qui (http://www.ibs.it/code/9788854508019/arena-alessio/letteratura-tamil-napoli.html )
Per maggiori notizie sull’autore e sulla sua musica potete visitare il suo sito: http://www.alessioarena.com/it/
Buona lettura a tutti.
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