Lartigue ha regalato i suoi migliori sali d’argento all’idea di felicità. Ha dato credito alla propria ingenuità, alla ri-costruzione di un attimo fatale e perfetto, lo ha composto, sceneggiato e poi immortalato in un bianco e nero vivace, integro, saturo della presenza dei suoi soggetti.
JHL fu un grande tell-tale, un narratore di storie private invidiabili, un dandy dell’immagine, costantemente alla ricerca di quel bene effimero e preziosissimo che è la jouissance.
Il senso del piacere, dell’eleganza come dono naturale, dell’abitare con disinvoltura lo spicchio di mondo più accogliente, lieve, frivolo, veloce, apparentemente irraggiungibile dall’incertezza dell’esistenza umana, dall’ambiguità della fortuna, dalle tragedie del mondo.
Il tocco magico di Lartigue, i suoi scatti sono stati mani leggere che sorreggono un cardellino; hanno fatto nido al tempo che si dilegua restituendoci il frullo d’ali della Belle époque, il suo canto breve la sua atmosfera, lo spirito di un tempo irrimediabilmente perduto. La “grazia trasparente” dell’uomo avvezzo alla gens du monde, ma immune da ogni influenza negativa, gli ha consentito di mantenere fino a teda età lo stesso entusiasmo e il piacere dello sguardo che sa attendere e vedere l’allure di un momento. Fermarlo. Quasi a rendergli un grazie per essere stato.
Figlio viziato di un facoltoso banchiere ha attraversato il tempo presentandosi sempre come pittore. La fotografia fu un vezzo studiato ed eseguito a lungo, sono centinaia le immagini che si sono disposte ordinate in album meravigliosi divisi per periodi, anni, luoghi. Vi si ritrova tutta la sua vita, le mogli, gli amici, i viaggi, le passioni, un’epoca lunga quasi un secolo documentata con incanto e costanza.
Poi, come fosse un barone di Münchhausen, si trasse via da quella condizione impropria di pittore, per divenire un fotografo acclamato e rispettato appena prima di toccare i settant’anni d’età. Tutto ciò accadde a New York, in quel tempio moderno chiamato Moma, baciato dagli dei per l’ennesima volta, la vita gli si rinnovò senza fatica, per caso, per bonheur, perché era Lartigue. E le sue fotografie, quasi innocenti e bellissime meritavano di essere riconosciute e fatte conoscere.
Di JHL, Ferdinando Scianna scrisse con perfezione a seguito di un incontro.
“La sua infanzia è l’infanzia della fotografia. La fotografia era bambina e Lartigue era bambino con la fotografia. Non sapeva nulla di quello che facevano gli altri e non gliene importava. La sola cosa che gli interessasse era il progresso tecnico degli apparecchi e dei materiali: il colore, la maggiore sensibilità delle lastre, la stereoscopia, la leggerezza delle macchine. Perché questo apriva orizzonti nuovi alla sua spontaneità. Così è rimasto indenne da tutte le rimasticature pittorialiste di quei tempi; e, dopo, da ogni accademismo”.
Oggi possiamo ritrovare il mondo di Lartigue alla Fondazione Ferrero di Alba, una retrospettiva con oltre 120 lavori purtroppo costipati in solo due sole sale. L’esposizione è intitolata “L’invenzione della felicità”, a cura di Denis Curti, Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, abbraccia un arco temporale che va dagli inizi amatoriali, fino alla consacrazione artistica avvenuta nel 1963, quando John Szarkowski lo consacra con una personale. La selezione include la riproduzione del film documentario “Bonjour, Monsieur Lartigue!”, realizzato dalla fotografa Elisabetta Catalano in occasione dell’omonima mostra al Grand Palais di Parigi del 1982.
Torino aveva già incontrato il lavoro di JHL nel 2015 al MEF, riscuotendo apprezzamento.
L’avvicinabile segreto di Lartigue, quello costruito da sensazioni preziose in disattesa della malinconia, il segreto che quel figlio dell’haute bourgeoisie dell’epoca forse più felice nella storia dell’umanità, è fatto del filamento che ordina e collega le pagine dei suoi album che fortunatamente la modernità della digitalizzazione mette a disposizione: quarantamila fotografie divise in 126 album sul sito della Donation Jacques Henry Lartigue.
Un caleidoscopio anti proustiano fatto di stile e intelligenza, che gira con voluttà, grato al presente, alla vita, alla felicità.