Al Museo Nazionale del Cinema di Torino è aperta la mostra fotografica “Tonalità tangibili. Peretti Griva e il pittorialismo italiano. Dalle collezioni del Museo Nazionale del Cinema”. La cura dell’esposizione è condivisa tra Marco Antonetto e Dario Reteuna, mentre la cura della sezione “D.R. Peretti Griva” è di Giovanna Galante Garrone.
Le stampe fotografiche sono ben 250, tutte originali vintage, purtroppo come al solito messe sotto vetro con quello che ciò significa in termini di riflessi. Le sezioni sono tre. La prima, dedicata a Peretti Griva, è posta in un allestimento separato nella sala principale del Museo ed è accompagnata da un breve video in cui Italo Zannier fornisce qualche indicazione critica.
La seconda sezione si snoda sulla Rampa Elicoidale che sale intorno alle volte e certamente lo spettacolare colpo d’occhio sull’insieme contribuisce a rendere particolarmente gradevole questa parte della visita.
Lungo il percorso, che si conclude negli anni Trenta alle soglie del tardivo trionfo del Modernismo persino nel piccolo mondo antico del fotoamatorialismo italico, si incontrano apparecchi fotografici dell’epoca (tra fine Ottocento e anni Venti), attrezzature e materiali per le varie tecniche pittorialiste, un breve video di spiegazione di alcune di esse e infine la cosa più curiosa: alcune immagini di fotografi e artisti contemporanei italiani che secondo i curatori sarebbero in qualche modo dei discendenti diretti o indiretti del Pittorialismo storico: Gruppo Rodolfo Namias, Silvia Camporesi, Carla Iacono, Carlo Milani, Paolo Ventura.
La terza sezione infine è ospitata nella sede staccata della Bibliomediateca Mario Gromo, un fiore archivistico di valore internazionale, non solo per gli studiosi di cinema, perso però nel deserto mal raggiungibile del quartiere periferico di Pozzo Strada. Qui sono esposte una trentina di stampe di Peretti Griva su una parete di recente allestita per piccole esposizioni temporanee.
Nel suo insieme la mostra è decisamente interessante e ben allestita. Raggiunge in pieno il meritorio proposito di mettere in valore ed iniziare ad esibire la preziosa collezione fotografica del Museo, che conta oltre un milione di immagini, di cui 132.000 appartenenti alla fotografia storica.
A suscitare le mie perplessità è invece la scelta curatoriale di rivedere, oserei dire “revisionare”, il valore storico e artistico del fenomeno pittorialista isolandone i valori tecnici e le scelte iconografiche dal contesto epocale. Sarebbe un po’ come, mutatis mutandis, cercare di rivalutare il Realismo Socialista russo omettendo di citare il precedente periodo Costruttivista e Futurista.
Certo, se al mondo non fosse mai esistito Alfred Stieglitz (che qui compare brevemente in un video nel quale non si fa il minimo cenno al significato storico della sua grandiosa azione culturale ed artistica), per non parlare poi delle Avanguardie storiche o di Marcel Duchamp, potremmo forse compiacerci serenamente di pecorelle, vallate alpine, bellezze in fiore, vecchietti rugosi, edifici consumati dal tempo e via dicendo.
Il tutto poi reso con visivi chimicamente più o meno complessi ma tutti tesi, salvo un certo tipo di stampa al platino o al carbone, a trasferire le immagini in epoche pre-fotografiche, quando era la mano umana a tracciare le immagini e non una volgare macchina a base ottica. A nulla vale, secondo me, cercare poi degli epigoni tra i contemporanei.
Qualsiasi artista contemporaneo, un minimo riconosciuto fuori dalla cerchia familiare e amicale, che decida di adoperare una fotocamera, foss’anche per i suoi privatissimi teatrini, sposta l’accento dal formalismo alla performance, dalla bellezza d’antan all’estetica d’oggi. Cercandola, e nei migliori dei casi trovandola, non certo nell’imitazione, ma eventualmente nella citazione, che se non è ironica non può essere tale.
Fulvio Bortolozzo