Suggestionati dagli ottimi risultati dell’ultimo Salone del Libro, divenuto il più grande ricettore di incontri d’Italia dedicati non solo alla letteratura, meno alla vendita dei libri, la tentazione di tenere altissima l’asticella è plausibile, auspicabile ma si corre un rischio, come cantava Paolo Conte, del “come di, come di orchestra illusa a Napoli e poi sgridata a Minneapolis” di farsi prendere la mano e finire nella “comédie, la comédie d’un jour, la comédie de ta vie”.
L’assessore alla cultura cittadina si inerpica nel nuovo idola tribus del momento e in un’intervista su La Stampa, discetta e fantastica di una Casa del Libro, là dove sorgerà la nuova Biblioteca Civica di Torino. Un progetto importante che vede al centro la riqualificazione del Parco del Valentino, grazie ai fondi stanziati Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
In quelli che furono i padiglioni 2 e 4 di Torino Esposizioni, costruiti nel 1938 su progetto dell’architetto Ettore Sottsass in collaborazione con l’ingegnere Pier Luigi Nervi per ospitare il Palazzo della Moda, voluto anche allora dall’Amministrazione Comunale, sorgerà la nuova Biblioteca Civica.
Un lavoro complesso, non per nulla ad affiancare la ICIS srl per la parte di progettazione è stato coinvolto lo studio Isolarchitetti supportato dallo spagnolo Rafael Moneo. La riqualificazione pare si ispirerà alla Central Library Oodi di Helsinki, in Finlandia, uno dei progetti più innovativi e rinomati nell’ambito.
Saranno rivisitati i 17.000 mq, tra spazi interni ed esterni distribuiti su tre livelli dove convivranno, la tradizione del libro, della rivista stampata, e le nuove tecnologie del digitale.
Mentre i lavori proseguono per arrivare puntuali in scadenza a fine 2026, l’assessore Purchia sogna che “diventi il luogo più inclusivo della città” e domeneddio se riusciremo mai ad emanciparci dall’inclusivo, ma nel sognare il futuro dimentica il presente.
Lo trascura perché per l’imponente edificio dell’attuale Biblioteca Civica, da cui verrà trasferito l’enorme corpus librario, non vi è alcuna destinazione successiva. Si rischia un abnorme vuoto urbano, una torre di dodici piani e il restante corpo di fabbrica, lo si evidenzia in limine, perché lasciare orfana di idee, progettazione e rinserimento nel tessuto cittadino un edificio di tale proporzione volumetrica, sarebbe motivo di colpevole trascuratezza e imperdonabile ignavia.
Si diceva idola tribus del momento, perché per un certo periodo, il focus è stato indirizzato su Palazzo Nervi, la più inqualificabile storia di abbandono di una delle più lodate opere d’ingegneria italiana. Da imprecisate retrovie informative arrivano notizie non prive di fascinazione e sorpresa. C’è un’idea, materialmente sostenuta da grandi disponibilità finanziarie mediorientali, di trasformare l’opera di Pier Luigi Nervi nella più grande moschea europea.
Se fosse vero avremo, forse, quella scossa tellurica, quel sisma, per cui le nostre fondamenta inclusive, non sono ancora state progettate. Ciò non toglie che un fastoso ripristino arabeggiante e generose donazioni potrebbero condurre la comédie cittadina ad una certa cinica e utilitaristica tolleranza in merito, questa si massimamente inclusiva e priva di olet.