Il mio primo incontro con lo scrittore Pier Luigi Berbotto, scomparso il 15 aprile alla vigilia del suo 82esimo compleanno, avvenne nel lontano 1987 in un circolo culturale torinese nel quale il letterato- anche raffinato musicologo- si esibì nell’esecuzione al pianoforte di alcuni movimenti del Concerto rosso, ispirato alla sua opera prima, edita da Mondadori, che lo aveva reso famoso.
Due colori rievoca in me quella serata: il rosso del suo concerto e il bianco di una splendida nevicata che avvolse di fascino quella musica misteriosa, e che Berbotto, nella sua scelta raffinata di vocaboli, avebbe definito ‘di stregante bellezza’ Bianco era anche il completo che indossava l’autore, un signore distintissimo, che con garbo raccolse, alla fine della serata, la mia accorata invocazione: inutilmente, da mesi, stavo cercando in tutte le librerie una copia del suo Concerto rosso, che alla sua uscita, due anni prima, avevo snobbato proprio perchè tutti ne parlavano, anche nelle trasmissioni televisive, perfino al Maurizio Costanzo show.
Dove mai avrei potuto trovarla? Pier Luigi mi ascoltava sornione, strizzando un poco gli occhi chiari e assentendo ripetutamente con il capo; e alla fine, con il garbo subalpino che avrei apprezzato nel corso della nostra lunga amicizia, mi invitò a cena la sera dopo, al ristorante Montecarlo; e mi regalò una copia del suo libro: una delle due ancora in suo possesso.
Ah, le case editrici: che avarizia, che avidità, commentammo, senza immaginare che, a distanza di pochi anni, anche l’ambiente editoriale si sarebbe involgarito, e che si sarebbe assai rimpianta la professionalità e la correttezza di un Signor Mondadori.
Il Concerto rosso mi rapì completamente, provocando in me quel felice contrasto che raramente si prova nella lettura: il daimon che ti invoglia a divorare le pagine fino alla fine- facendoti attraversare come da una pallottola, avrebbe detto Carlo Fruttero- e quella felice indolenza che ti obbliga, invece, a bearti dello stile, a ritornare decine di volte sulla descrizione di uno scorcio torinese, sul ricamo di un sentimento, sulla malizia di un gesto o di uno sguardo.
Uno spartito del compositore settecentesco Giovan Battista Rambaudi, che il musicologo Alessio Dotta ha scoperto e intende far eseguire a Superga dal Maestro Arthur Lehmann, provocava una scia di sangue nella Torino anni Ottanta, popolata da figure reali e da altre immaginarie, in un’atmosfera magica, originata dal rapporto ambiguo fra il Rambaudi e il pittore coevo Bartolomeo Audisio, famoso per i gli ermellini dai quali erano contraddistinti i suoi quadri . Un’avventura letteraria insolita e coinvolgente per chi, come me, conosceva bene i luoghi citati e se li trovava avvolti da un’atmosfera che introduceva note di irrazionalità e di follia nella loro austera compostezza.
Da subito la conversazione con Berbotto toccò quelle tematiche che avrebbero caratterizzato la nostra amicizia, e sulle cui orme avremmo ripercorso passi, allusioni, dialoghi in quella magica sintonia che così raramente si puo vivere, in cui è sufficiente una parola per alludere a tutto un modo di suggestioni e di sentimenti. La Torino di inizio Novecento, la musica, la letteratura, e, soprattutto, Guido Gozzano, il poeta caustico e malinconico delle rose non colte, rievocato nelle nostre passeggiate nel centro storico, a un tavolino di Baratti, ai tè nella sua bella casa: questi gli argomenti che avrebbero reso la nostra un’amicizia d’altri tempi; un’amicizia “gozzaniana”.
Fui quindi particolarmente felice quando, dopo la trilogia che aveva riscosso grande successo il Concerto rosso, Le ombre della cattedrale, I violini dell’autunno, in cui Berbotto romanzava il soggiorno di Mozart adolescente a Torino), Pier Luigi diede alle stampe Scende la sera nel giardino antico: un libro finemente cesellato, nel quale l’autore chiamava in scena personaggi dell’epoca liberty- la Duse, D’Annunzio, il pittore Grosso, Arturo Graf e, soprattutto, il nostro poeta del cuore Guido Gozzano-, facendoli interloquire con figure poetiche, in un gioco delle parti fra finzione e realtà sullo sfondo della Torino liberty e di un suggestivo Canavese.
L’arte di Berbotto stava proprio nell’imprimere caratteri di realtà a figure immaginarie, e di avvolgere quelle reali in un velo di enigma, di sogno, di mistero, con una straordinaria forza evocativa.
Pier Luigi provava per me affetto e alta stima. In occasione dell’uscita del mio libro, a sua volta gozzaniano Amalia, se Voi foste uomo…, in cui ripercorrevo la tormentata liaison fra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti esclamò entusiasta, nel suo salotto : “Mia cara, è incredibile la tua immedesimazione in Guido e Amalia!. E’ un miracolo: io non ci sarei mai riuscito”
Per un gentilomo d’altri tempi come lui, era naturale dispensare quelle lodi sincere, scevre da meschinità e invidia, che costituiscono davvero un’eccezione, anche e soprattutto in ambito editoriale.
Presentavo i suoi libri con grande piacere, anche perché non era necessario preparare nulla, con lui: non dovevamo far altro che ‘mettere in scena’ i nostri dialoghi di sempre. Il 10 febbraio 2006, effettivamente, ci trovammo a parlare quasi soltanto fra di noi sul palcoscenico al Teatrino Civico di Chivasso. Avevo sì controllato, per organizzare la presentazione, che non vi fossero eventi conocomitanti nella cittadina , ma avevo completamente rimosso il fatto che quella fosse la sera inaugurale delle Olimpiadi invernali… Pier Luigi era un perfezionista, attentissimo ad ogni dettaglio, e solo grazie alla sua innata cortesia non ho mai saputo quanto gli fosse bruciata quella débacle.
Venimmo poi ripagati in tante altre occasioni, affollate di amici e di lettori. Certamente l’apoteosi, sotto questo aspetto, si verificò il 16 aprile di due anni fa, quando sua moglie Wilma mi contattò per organizzare una festa a sorpresa al Circolo Lettori in occasione dei suoi 80 anni, dopo la mia presentazione di Scende la sera nel giardino antico.
Al termine dell’affollatissimo incontro, adducendo un leggero mancamento- un malessere da inizio Novecento che non lo avrebbe certo lasciato indifferente- lo invitai ad accompagnarmi a prendere un caffè. Aperta ‘casualmente‘ la porta del salone vicino alla buvette, però, ecco scattare alla sua apparizione i flash e l’applauso dei tanti amici, da Alberto Sinigaglia a Bruno Gambarotta, chiamati a raccolta dalla sua famiglia, in un’esplosione di allegria e commozione. Pier, all’entrata, nascose il viso con il gomito, sorpreso e un po’ imbarazzato, e poi si unì alla simpatica brigata, conteso dall’uno e dall’altro, rivolgendomi ogni tanto occhiate di finto rimprovero.
Pier amava ricorrere a parole e periodi ricercati, un po’ desueti-‘stregante’, ‘smussante’, ‘umbratile’- : termini che rivelavano un gusto, un mondo interiore, e una chiave interpretativa della realtà, cosi come a un mondo di valori ormai obsoleti si appellavano i suoi preziosi consigli per muovermi nel mondo editoriale: l’onestà, la correttezza, la sacralità della parola data…. Non ricorreva a questa terminologia preziosa per snobismo o per compiacimento, ma per ‘decorare’ al meglio i concetti, e anche per appagare il suo innato senso musicale (suo padre dirigeva la Schola Cantorum di Bra), e che gli aveva permesso di portare a termine due belle biografie, Il gesto e il sortilegio su arte e mistica della direzione d’orchestra (Edizioni Fogola) dedicato a Evelino Pidò, e Luciano Pavarotti: canto e controcanto(Edizioni Quattroventi, Urbino).
Tutto in lui era compostezza e armonia, come nelle sue opere, che consideravo vere partiture musicali: la sua naturale indignazione verso la volgarità e la scorrettezza non era mai espressa con virulenza, ma percorreva la strada dell’ironia, del sottile sarcasmo; e nella felicità Pier Luigi manteneva quel pizzico di riservatezza che, nei sabaudi, si accompagna all’apertura di cuore.
Ho sempre pensato che, se fosse stato una musica, Berbotto sarebbe stato l’Andante maestoso del Concerto rosso
Un giorno Pier mi chiamò, chiedendomi consiglio per il libro che stava ultimando: Uno sguardo oltre la siepe, l’opera più intimista, fra i tanti suoi piccoli capolavori: una raccolta di saggi, aneddoti, racconti collegati fra loro da ciò che Giovanni Arpino, di cui Berbotto fu amico, definiva ‘il grumo segreto’ per arrivare al cuore del lettore.
Espressi tutto il mio entusiasmo, e lui mi chiese se avrebbe potuto contare sul mio editing, perché non avrebbe potuto aspirare a nulla di meglio. Dopo aver superato alcune vicissitudini editoriali che lo avevano ferito più umanamente che professionalmente, Pier era felice di averlo pubblicato con l’Araba fenice, che gli aveva manifestato il massimo rispetto e aveva scelto una bellissima immagine di copertina, opera dello stesso editore. Attendeva con gioia di poterlo presentare, dopo una ‘prima’ nella sua Bra, al Centro Pannunzio insieme a me, il 16 marzo. Nel corso di una telefonata di fine marzo, però, decidemmo concordemente di far scivolare la data verso l’autunno, dato l’espandersi progressivo dell’epidemia virale. I lettori interessati, per quanto fosse stato ancora consentito, avrebbero comunque avuto paura a radunarsi “E io vorrei che la sala fosse affollata.-aggiunse Pier- non tanto per me, quanto per le cose intelligenti che dirai tu sul mio libro”. Il suo ultimo atto di galanteria.
La data non si presenterà mai più, perché Pier se ne è andato il giorno prima del suo compleanno, in una notte ventosa d’aprile, come ha comunicato la sua adorata figlia Silvia.
Chi ha letto queste righe, scritte con il sottofondo di Händel e di Mozart in onore di Pierluigi Berbotto, può bene immaginare quanto dolore abbia causato in me la scomparsa di un amico così prezioso, forse non casualmente avvenuta in questa atmosfera di nuova disumanità che sta decretando la definitiva scomparsa di un mondo. Pier è stato il portavoce di un’epoca che non tornerà, ma che il lettore potrà sempre ritrovare nei suoi bellissimi libri . Chi lo legge, può davvero affermare di averlo conosciuto: l’anima di Berbotto era nelle sue parole. Piacevolmente arcaico. Ricercato. ‘Smussante’. ‘Umbratile’.
Addio, Pier Lugi. Ti accolga un Altrove avvolto da Musica e Armonia.
Marina Rota