Mercoledì 15 marzo al Goethe-Institut di Torino si è svolto un dibattito con tema: “Etica dell’immagine” a cui hanno preso parte Federico Vercellone, Maria Tilde Bettetini e Adriano Fabris.
Federico Vercellone, Professore all’università di Torino ha introdotto l’argomento che è stato poi sviluppato dagli altri due partecipanti: in particolare, Maria Tilde Bettetini (IULM Milano), ha fatto un excursus su come fosse vista l’immagine nel passato, parlando di Ebraismo, Cristianesimo, di Lutero e dell’Islam.
Il Professor Adriano Fabris (Università di Pisa), ha fatto riferimento all’oggi, ed è stato proprio lui a rendere vivo questo dibattito, facilitando, all’interno della Sala Grande, l’immedesimarsi e il ritrovarsi nelle sue parole.
In evidenza sulla cartolina d’invito troviamo una fotografia tratta da Postcards from Europe dell’artista Eva Leitolf che ha immortalato un albero d’arancio: qui possiamo notare la quantità di frutti caduti ai piedi dell’albero e i pochi rimasti sui rami. Quale è il nesso tra l’immagine scelta e questo dibattito il cui intento è volutamente transdisciplinare?
La lettura proposta da Fabris, parte dall’assunto che nella nostra epoca osserviamo migliaia di immagini ogni giorno, diversamente rispetto al passato dove raramente si potevano osservare immagini al di fuori delle chiese o dei musei.
Al giorno d’oggi le fotografie non sono qualcosa di straordinario, ma sono divenute ordinarie e, per la maggior parte di noi, non hanno una vera forza iconica, non hanno peso; alcune restano e permangono nella mente altre, la maggior parte, spesso contingenti, già conosciute e che quindi non colpiscono la nostra mente, non trovano spazio nella nostra memoria e scivolano via senza lasciare traccia.
“Potente debolezza” questo è l’ossimoro che è stato affiancato alla parola “immagine” da Adriano Fabris, un elemento che compare e scompare: è potente in quanto colpisce ma allo stesso tempo debole perché non ha durata.
Questa debolezza è quasi irrilevante, infatti, le immagini sono necessarie e raggiungono un’autonomia tale da avere un’individualità rispetto allo spazio della realtà e dell’oggettività: esse sono in grado di sostituirsi all’esperienza diretta della realtà, portandoci poi a cercare di conoscere ciò che ritraggono e descrivono.
Al significato e alla storia che l’immagine ha catturato ci si arriva soltanto in seguito rispetto alla visione nell’immediatezza, siamo incuriositi e nasce in noi la voglia di una spiegazione, di parole che caratterizzino la scena.
Non solo le fotografie ci permettono di vivere, vedendole, le vicende di qualcun altro ma intaccano anche la nostra stessa realtà: questa è mediata dalle tecnologie e dai supporti che le veicolano.
Ad essi vi giungiamo, ancora una volta per mezzo di un’icona, piccola immagine convenzione simbolica che compare sul monitor e rappresenta una porta, la quale ci permette di entrare in un altro mondo, quello virtuale.
La domanda quindi è: la concentrazione sulla parola, in un mondo nel quale l’immagine è anteposta a tutto per attirare l’attenzione, è ormai superata?
Gaia Della Donna