Se la donna è mobile, il modernismo versatile di Man Ray sovverte l’ordine di tutte le idee, delle cose e delle regole, sin qui, prestabilite.
Anche nell’istantanea. Del momento cattura (inchioda al muro) la cornice e l’essenza. E’ uno sguardo nuovo, surrealista: il suo. Quello che proviene, subisce l’influsso e l’eredita’ dadaista, la frequentazione degli ambienti culturali parigini, trasposti visibilmente nella sua produzione fotografica, quella che va dalla metà degli anni 20 sino al 1976, data della sua dipartita.
Uno sguardo velato, solo discretamente trasgressivo e giocosamente provocatorio. In una sola parola: erotico e mai pornografico. Perché se la pornografia desoggettivizza, l’erotismo suggerisce, evoca, regala spazio all’immaginazione, lasciando potentemente intravedere, sfiorare la personalità di ognuna, la differenza distintiva, tra le sensuali e pur molteplici linee curve.
Quelle presenti e rappresentate, nelle 200 fotografie esposte sino al 20 gennaio 2020, alla mostra Wo/Man Ray, realizzata da Camera (Il centro Italiano per la fotografia) di Torino, a cura del direttore Walter Guadagnino e Giangavino Pezzola. Protagonista indiscussa: la donna. Non una sola. Un ventaglio, un contigente di donne: collaboratrici, assistenti, amiche, complici, amanti. Lee Miller, Berenice Abbott, Dora Maar, Nusch Eluard e lei Juliet, la compagna di vita a cui è dedicato un esemplare portfolio “ The fifty faces of Juliet” (1943-1944).
Bisognerà lasciarsi trasportare, sorprendere e forse, adattarsi a una certa perversione del gusto, per godere delle trasformazioni camaleontiche, delle caste quanto impudiche, originali pose e forme: soggetti e particolari, di un femmineo che più non indugia nel porsi dinanzi all’obbiettivo in tutta la sua prorompente nudità, ma va “oltre”.
Non il semplice frutto, l’irriverente esposizione di spalle “Le violon d’Ingres“, o di tette, cosce e culi alla mano (Prayer 1930) nella rappresentazione tecnica, nel gioco di luci ed ombre dei rayographs e delle innovative solarizzazioni manrayane.
E’ l’avvento di una nuova stagione linguistica (o almeno nel panorama fotografico e culturale dell’epoca) quella che vedrà molte di queste donne “ in metamorfosi”, divenire esse stesse, fotografe o artiste d’indiscusso talento.
Meritatamente protagoniste e non semplici muse ispiratrici. Iniziando proprio da qui, a raccontare le scaramucce personali e un’altra storia, dialogante, tracciando un profilo biografico, artistico, e prospettico: il volto rivoluzionario, alla ricerca futuristica di Sé, di un’altra, di una nuova Eva.
Eva Gili Tos