La Pinacoteca Agnelli è riuscita nel non facile intento di inaugurare una mostra dell’artista Rosemarie Trockel (1952) da anni restia ad aderire a progetti di e personali. E’ risultato vincente, o meglio convincente, oltre all’indubbio prestigio dell’istituzione torinese, diretta con entusiasmo da Marcella Pralormo e presieduta da Ginevra Elkann, l’aver proposto un ambizioso e intelligente percorso, ideato da Paolo Colombo, che ponesse il suo lavoro in dialogo con opere tratte dalle collezioni torinesi, in linea con la mission dell’istituzione ma anche con l’estetica della grande artista tedesca (Schwerte, 1952), da sempre in grado di relazionarsi con la storia dell’arte in modo profondo ed evocativo, grazie all’uso sicuro e non convenzionale di media diversi, dalla maglia (qui assente) alla ceramica alla fotografia.
La prima chiave di lettura offerta al visitatore è già nel titolo – Riflessioni / Reflections – che nella versione italiana meglio esprime la valenza ambigua del senso: i riflessi nello specchio rimandano agli aspetti materici delle opere dell’artista, in particolare alla splendida serie di specchi in ceramica e smalto, magmatici e misteriosi nelle loro negatività funzionale, ma anche alle opere che si specchiano nei riferimenti torinesi (e quindi pongono delle domande e spingono a delle riflessioni del pensiero), in termini evocativi e mai didascalici. Interessante l’idea di creare nella prima sala un’installazione nell’installazione in forza di un elemento cromatico: le pareti sono tinteggiate con il colore del pavimento sino ad un’altezza di circa un metro e mezzo e sotto questa linea sono collocati17 ritratti fotografici incorniciati e una serie di fotografie eseguite in anni passati; al di sopra, su sfondo più chiaro e in modo dialogante ma non pedissequo, sono distribuiti sei ritratti a olio dai musei di Torino e sotto vetro quattro disegni del tardo Rinascimento dalla Biblioteca Reale.
Un linea che da ideale si fa fisica e viceversa, e rimanda al limite diaframmatico dello specchio d’acqua in cui il narciso di Caravaggio si sporge, rapito, sino alle fatali conseguenze. Un modo per illustrare in modo dialogico, o per contrasto, l’universo emotivo dell’artista. Un altro elemento cardine della mostra è la maschera: come nella fotografia ogni volto è somiglianza e immagine grottesca di se stessa: la Trockel ne presenta una serie realizzate in ceramica e fotografate, rimandando sia alla forza dell’espressività delle maschere teatrali che alle rappresentazioni mortuarie, come evocato dalla testa di Giovanni Battista nell’Erodiade di Francesco Cairo proveniente dai Musei Reali di Torino.
Gli inganni della riflessione sono magnificamente rappresentati dagli specchi materici in ceramica e smalto, che paiono assorbire le immagini piuttosto che restituirle, e che rimandano, per volumetria fortemente aggettante e sontuosità cromatica, alla grande lezione di Fontana e Leoncillo;
le ceramiche non-riflettenti sono poste in relazione per ellissi al dipinto “Achille riconosciuto alla corte del re Licomede” di un collaboratore di Simon Vouet, proveniente dall’Accademia Albertina di Torino, la cui vicenda parla proprio di un’agnizione avvenuta “per colpa” di uno specchio, ignorato da Achille nella sua funzione di strumento di vanità, atto che tradisce la sua mascolinità agli occhi di un astuto Ulisse. L’ultima sala presenta sei sculture su di un’unica pedana: su tutto domina il colore bianco, che abbagliante, conclude il percorso con la presenza sorniona di due animali, babbuini simili a cani, animali spesso presenti nella poetica dell’artista (scelti infatti per l’immagine guida) e, sulla parete, due sculture inserite in scatole trasparenti: in una vi è il ritratto in ceramica del braccio di un’amica, e, nell’altra, una veste in miniatura di ceramica smaltata. Ad essa l’artista ha aggiunto due piedi e una piccola testa incoronata, per creare l’immagine, triste e poetica, di un piccolo re dal potere perduto.