C’è uno spazio a Torino, Creativity Oggetti di Via Carlo Alberto, dove grazie alla grinta imprenditoriale e alla continua ricerca della giovane proprietaria Susanna Maffini da più di 15 anni sono presentati sul panorama torinese interessanti realtà creative nell’ambito delle arti applicate, dalla ceramica al vetro a materiali innovativi: oggetti, sculture, gioielli contemporanei, spesso nomi di assoluta novità per l’Italia eppure già noti in ambito internazionale.
Così è stato – ed è ancora, con una costanza nel tempo di per sé significativa – per i gioielli in vetro delle sorelle Marina e Susanna Sent, importante nome storico muranese dell’arte vetraria, le cui creazioni, che dal loro primo apparire hanno riscosso grande successo nella nostra città, si trovano tuttora in esclusiva in pochi selezionati punti vendita fuor di Venezia, sostenuti da un collezionismo fedele e cosmopolita: tra questi i bookshop di importanti musei d’arte sparsi per il mondo, in primis il MOMA di New York, con il quale collaborano dal 1993.
Una storia di estro al femminile, di tradizione e visionarietà, dove reinventare il futuro adeguando le antiche tecniche al gusto contemporaneo, salvaguardando il passato, è un modo di essere che si esprime con codici linguistici di pulizia formale netti, precisi, che coinvolgono tutta la sfera creativa, dall’architettura all’oggettistica al gioiello, per cui sono giustamente celebri, sino all’attenzione al proprio territorio con interventi mirati di restauro.
Un’attitudine che diventa manifesto, un saper fare che parte dalla tradizione per arrivare alla sperimentazione su più materiali: al centro di tutto rimane un’inesausta passione per il Vetro, entità che per i muranesi è elemento alchemico per eccellenza, una sfinge le cui risposte enigmatiche si svelano in una ricerca continua, fatta di vittorie e di sconfitte che arrivano dopo lunghe attese, la pazienza di ripetere mille volte lo stesso gesto, una grande curiosità, ma anche dal caso e da felici intuizioni.
Arrivando col vaporetto sull’isola di Murano, già da lontano, sulla sinistra, lungo le fondamenta Serenella, si scorge una grande costruzione che si distingue dalle altre per un certo minimalismo, a partire dal nitore delle pareti su cui si staglia una scritta dal font geometrico, essenziale.
Antica rimessa per barche, ora è un loft luminosissimo, sede del laboratorio delle Sent: showroom, luogo di lavoro, una vasca di ispirazione giapponese all’ingresso su cui galleggiano grandi boulles trasparenti, e non sarà un caso che tra le loro collezioniste più famose ci sia Yumiko Ando, moglie del grande architetto Tadao Ando, uno studio al primo piano che è di per sé dimensione metafisica: sette finestre che inquadrano altrettanti campanili veneziani. Una vista che ipnotizza e veste tutta la stanza, giustamente vuota di orpelli. Quello architettonico è solo il primo aspetto, ma significativo, di un approccio estetico-formale di fantastico rigore che si rispecchia fedelmente nella produzione artistica delle due sorelle muranesi.
Con la reinterpretazione del gioiello in vetro, che sempre più nelle loro creazioni si configura come oggetto che trascende la funzione di ornamento, su cui convergono arte design e moda, le due sorelle hanno saputo ripensare i percorsi ben noti della tradizione, caratterizzata da stilemi fedeli a se stessi, rassicuranti ma standarizzati, reinterpretandoli con un nuovo linguaggio che ha nella sottrazione e nella semplicità di forme geometriche (molto vicine ai canoni dell’architettura nell’accostare volumi e superfici), negli accesi cromatismi e nelle soluzioni inattese di limpida proporzione la chiave del successo: il risultato è un codice formale che è diventato iconico, riconoscibile, contemporaneo.
Incontrarle e conversare con loro significa ripercorrere l’ultimo secolo della tradizione vetraria muranese, di cui loro rappresentano già la quarta generazione: Marina e Susanna raccontano una storia familiare fatta di eredità di conoscenze tecniche, molto lavoro e un’incredibile voglia di reinventarsi, volontà che a più riprese, dalla loro stessa testimonianza, ha attraversato i decenni con improvvisi quanto felici lampi intuitivi. Dal loro personale album dei ricordi emergono evidenti i segni di un spirito interpretativo sempre precursore, una capacità di deviare dalla regola che porta all’invenzione più luminosa, all’intercettare i gusti futuri con soluzioni che anticipano e fanno scuola.
Emblematica e preconica la storia del nonno materno Umberto Nason, che nel 1955 vince il Compasso d’oro, alla sua seconda edizione, applicando la tecnica del vetro incamiciato invertito (interno colorato ed esterno bianco latte) su forme pure e castigate, d’ispirazione nordica, in un periodo in cui la produzione muranese si caratterizzava per forme molto elaborate. Preziose le foto del padre a colloquio con un giovane Tancredi tra le calli veneziane o quella della nonna, unica ad indossare, in un foto di gruppo, una gonna dallo stile unico, raffinato e attualissimo, coraggiosamente in anticipo sui tempi. Tutti segni di un gusto per le arti che è chiara eredità familiare.
Come avete iniziato?
Io sono nata a Murano, ho studiato architettura a Venezia pensando di seguire questa strada, ma il laboratorio di mio padre, incentrato sulla seconda lavorazione e sulla decorazione del vetro, era per me una calamita; lo stesso è stato per mia sorella Marina, nata a Venezia, che si è sempre interessata più all’aspetto tecnico dei materiali. In casa abbiamo sempre sentito parlare di vetro, per noi è un argomento consueto e quotidiano, che coinvolge tutta la famiglia. E’ stato fatale che anche noi ci interessassimo e iniziassimo a collaborare nel laboratorio di mio padre. Per circa dieci anni ho indagato le varie possibilità nell’ambito della decorazione, la vetrofusione, la molatura e la sabbiatura.
Le donne potevano lavorare il vetro?
A Murano le donne non diventano maestre vetraie…nel resto del mondo ci sono, qui no, il mondo del vetro muranese è un ambiente prettamente maschile. Le donne entrano nelle fabbriche come designers. La seconda lavorazione invece è prettamente femminile e permette un ampio margine di sperimentazione: lavorazione a lume e vetrofusione. Noi partiamo da una materia prima, la canna, che può essere monocolore, murrina, filigrana, e da qui ci mettiamo al lavoro ogni giorno. Il fascino del vetro è che ti mette sempre alla prova, a causa delle infinite variabili nelle diverse fasi della sua lavorazione…è sempre un’avventura, sono più le volte che si combina un disastro nei tentativi che il contrario, però è così che si ottengono nuovi risultati.
Come siete arrivate ai gioielli firmati Sent?
Il prossimo anno sono 25 anni della nostra azienda, anche se lavoravamo già da prima. Nostro padre ci ha concesso una grande libertà ma sin da subito le nostre idee erano piuttosto innovative, tanto che c’era un po’ diffidenza nei nostri confronti…Ad esempio, tra le prime proposte, c’era una collana in perle di vetro dorate assemblate su un – imprevedibile – filo da pesca di mio padre: elementi dorati classicissimi su un supporto tutt’altro che convenzionale. Ora lo fanno tutti, ma nel 1990 aveva destato un certo stupore. Uno dei primi clienti, nel 1993, è stato proprio il bookshop del MOMA di New York e da lì non ci siamo più fermate, con un collezionismo che ci segue dagli inizi e che è cresciuto nel tempo. Abbiamo lasciato il laboratorio di mio padre, abbiamo iniziato a proporre gioielli, soprattutto collane, prima ad un giro ristretto di conoscenze, poi il giro si è allargato e abbiamo deciso di metterci in proprio.
Come descrivereste il vostro tratto stilistico distintivo?
Concettualmente quello che abbiamo fatto è un’operazione di semplificazione: molti elementi del vetro che anche noi utilizzavamo erano già presenti nei gioielli della tradizione, ma l’effetto finale era molto carico; noi abbiamo cercato una pulizia formale nuova, nuovi abbinamenti tra vetro e altri materiali che nessuno aveva ancora proposto.
Ad esempio ci piacevano gli elementi soffiati trasparenti, che all’inizio abbiamo presentato, per cautela, ingabbiati con filo metallico. Il filo lo abbiamo via via eliminato sino a dare vita a Soap, le sfere in vetro che imitano la leggerezza delle bolle di sapone in una collana che sembra sospesa, tuttora uno delle nostre creazioni più famose (attualmente in mostra alla mostra W. Women in Italian Design presso il Design Museum della Triennale di Milano, n.d.r.). Abbiamo quindi trasferito delle tecniche di lavorazione che di solito si applicavano all’oggetto in vetro (che continuiamo a produrre, come piatti e sculture in vetrofusione e lampade in tessuto vitreo) al gioiello, inventando anche delle nuove gamme cromatiche, in particolare una serie di viola che si ottengono con gli incamiciamenti… Abbiamo portato a Murano delle macchine a circuito chiuso per il decapaggio del rame: macchine che si utilizzano per l’oreficeria, ma che noi abbiamo adeguato alla lavorazione vetraria: le perle vengono lavorate attorno alle bacchette di rame, che vengono messe a raffreddare lentamente. L’acido poi dissolve il rame lasciando posto al foro.
Parallelamente cresceva l’esigenza di avere uno spazio dove esercitare la nostra attività. Abbiamo considerato le potenzialità di questo capannone: una cavana, ricovero per barche dei primi del ‘900, in seguito trasformato in fabbrica. Agli inizi del 2000 lo spazio era fatiscente. Mia sorella ed io ci siamo guardate e ci siamo dette: “è uno spazio che ci farà sognare”, e così è stato.
Avete anche lavorato per la moda?
Sì, abbiamo avuto anche questa esperienza, collaborando per alcune sfilate di Aliviero Martini che aveva tratto ispirazione per i suoi modelli da una mostra dei Maya qui a Venezia. Molti sono stati gli esperimenti in vetro a lume e in vetro-fusione: il tessuto vitreo “Penelope”, esposto al Museo Fortuny a Venezia e l’abito “Debutto” realizzato per la mostra Vetri nel mondo oggi – Palazzo Franchetti. Più recentemente abbiamo realizzato una scultura di arte cinetica per una mostra sulle murrine al Museo del Vetro intitolata “Murano muoviti!”. Oggi per ricordare tutte le nostre collezioni, spesso non più riprodotte se non su richiesta e quindi legate ad un preciso periodo della nostra vita, realizziamo dei foulard serigrafati con i motivi più iconici.
Quali nuovi sogni per le sorelle Sent?
Sogni ne abbiamo sempre, 25 anni sono volati, sono stati anni di grande impegno dove abbiamo cercato di delegare il meno possibile…Parallelamente alla nostra attività abbiamo sempre seguito progetti di restauro. Nel 2009/2012 abbiamo sponsorizzato il restauro delle statue delle Virtù del Palazzo Ducale, sei statue di donne che si trovavano ad ornamento del balcone centrale di Palazzo Ducale da dove il Doge si affacciava. Per noi il restauro non deve mancare mai, lo sentiamo come una nostra missione, come un modo concreto per salvaguardare e amare Murano e Venezia: negli ultimi anni ci siamo dedicate al recupero di uno spazio a San Polo, nel Sotoportego degli Oresi, subito dopo il Ponte di Rialto: uno spazio bellissimo del ‘500 ma lasciato in abbandono, con una splendida volta a botte che abbiamo restaurato e riportato all’antico splendore.
II prossimo sogno è riattivare il vecchio laboratorio di mio padre, che è un ambiente inconsueto per Murano perché è un unico ambiente di 200 metri quadri, e realizzare uno spazio multifunzionale, adatto anche ad una residenza di artista che qui possa creare, innovare. E questo in qualsiasi materiale, non per forza in vetro.
Il vostro è un legame affettivo e professionale: come vi dividete i ruoli?
Io, Susanna, sono la più creativa, ma è Marina che trova la soluzione tecnica e mette in pratica le idee. Diciamo sempre che noi due siamo come una vettura, una è l’acceleratore, l’altra è il freno, ma entrambe abbiamo bisogno l’una dell’altra!