È la televisione, secondo Massimo Melotti, il mass-media – tutt’altro in via di estinzione – che ha rivoluzionato tanto i sistemi di comunicazione quanto le assiologie culturali sulle quali si fonda quella che egli chiama «età della finzione». Nella nuova edizione aggiornata del saggio, uscito nel 2008, che vanta una introduzione dell’antropologo Marc Augé secondo il quale «un evento che non sia mediatizzato semplicemente non esiste», il professore e sociologo dell’arte torinese analizza alcune delle questioni fonti di preoccupazioni contemporanee alla luce del dualismo ontologico che i mass-media (e ancor più gli iper-media digitali) portano a dissolvere: quello fra realtà e finzione.
Il dibattito intorno alle fake news e alla manipolabilità del vero che affligge la Rete, la sicurezza informatica o le riflessioni intorno alla condizione always-on degli individui, che li rende fagocitatori in tempo reale di contenuti, sarebbe quindi studiabile alle origini della cultura mediale, con la televisione che normatizza la spettacolarizzazione del quotidiano e l’ingresso nella fiction age.
Nella contemporaneità, in cui accanto alla televisione troviamo il computer e i digital media come «finestre sul mondo», Melotti recupera le teorie sociologiche di Guy Debord, incentrando l’analisi sull’aspetto visivo della percezione come la dimensione estatica, quella fredda e stupefatta fascinazione che non aspira a risolversi, e quella voyeristica incarnata dai reality show e, oggi, dal proliferare di forme ibride di docu-fiction.
Dai grandi malls americani alle stazioni (i non-luoghi di Augé) che mettono in scena i consumatori, dagli «effetti speciali» della cultura consumistica alle performance sperimentali della Fura del Baus che attraverso la provocazione e il detournement degli spazi metaforizzano il meta discorso dell’arte contemporanea e palesano il processo di convergenza fra le i due istinti dell’arte e della vita: l’apollineo, quello razionale e identificato da Nietzsche (La nascita della tragedia) nell’arte plastica, il dionisiaco, invece irrazionale e individuabile nella trasgressione e nell’assenza di censure (proprio come è, in parte, il web).
Un volume che oltre a rispolverare alcune delle più influenti teorie sulla cultura di massa, da Roland Barthes a Jean Baudrillard fino a Zygmunt Bauman, mira a organizzare un database di riferimenti ed esempi la cui contaminazione dà vita a quella condizione intermediale nella quale l’individuo si trova a vivere nell’illusione di partecipare al fatto culturale che, invece, spesso si traduce in una mera e solipsistica mediatizzazione del sé.
Federico Biggio