Manifesto per la democratizzazione dell’Europa
Era il 1941, esattamente settantasette anni fa quando, posti al confino sull’isola di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, scrissero il Manifesto di Ventotene, il cui titolo originale è: “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”.
Le basi di quella che è divenuta l’Unione Europea, infatti il Manifesto di Ventotene prefigurava la necessità di istituire una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democratico con poteri reali in alcuni settori fondamentali, come economia e politica estera. Quella di un’Europa unita e federale all’epoca era un’idea impensabile come la proposta di un nuovo corso politico per le sfide del futuro post-bellico, superabili solo con l’unione degli Stati europei.
Il cuore utopico di quel pensiero ha trovato, incredibilmente, forma, per quanto parziale, nell’Unione Europea odierna. E forse proprio per salvaguardare quanto di buono c’era in quel progetto, a condizioni e tempi molti mutati che un nuovo Manifesto bussa alla porta dei cittadini europei.
Si chiama “Manifesto per la democratizzazione dell’Europa”e, a firmarlo sono oltre 120 intellettuali, giuristi e responsabili politici di 16 Paesi europei, tra cui Thomas Piketty, un manifesto che negli intenti vuole cambiare “profondamente le istituzioni e le politiche” Ue.
Nel documento, pubblicato dal quotidiano francese Le Monde, i firmatari evocano la creazione di istituzioni maggiormente democratiche, come un'”Assemblea sovrana” che sia competente in materia di bilancio. Il Manifesto per la democratizzazione dell’Europa e l’insieme delle proposte sono disponibili sul sito tdem.eu.
Questo il testo del Manifesto
Noi, cittadini europei, provenienti da contesti e paesi diversi, lanciamo oggi questo appello per una profonda trasformazione delle istituzioni e delle politiche europee. Questo Manifesto contiene proposte concrete, in particolare un progetto per un Trattato di democratizzazione e un Progetto di budget che può essere adottato e applicato nella sua forma attuale dai paesi che lo desiderino, senza che nessun altro paese possa bloccare quanti aspirino al progresso. Può essere firmato on-line (www.tdem.eu) da tutti i cittadini europei che in esso si riconoscono. Può essere modificato e migliorato da qualunque movimento politico.
Dopo la Brexit e l’elezione di governi antieuropeisti a capo di diversi paesi membri, non è più pensabile continuare come prima. Non possiamo limitarci ad aspettare le prossime uscite o un ulteriore smantellamento senza apportare cambiamenti radicali all’Europa di oggi.
Oggi il nostro continente è preso tra i movimenti politici il cui programma è limitato alla caccia agli stranieri e ai rifugiati, un programma che ora hanno iniziato a mettere in atto, da un lato. Dall’altro, abbiamo partiti che pretendono di essere europei, ma che in realtà continuano a considerare che il duro liberalismo e la diffusione della concorrenza a tutti (Stati, imprese, territori e individui) sono sufficienti per definire un progetto politico. In nessun modo riconoscono che è proprio questa mancanza di ambizione sociale che porta alla sensazione di abbandono. Oggi, da un lato il nostro continente è intrappolato tra movimenti politici il cui programma si limita alla caccia a stranieri e rifugiati, programma che ora hanno iniziato ad attuare; dall’altro, vi sono partiti che si dichiarano europei, ma che in realtà sono ancora convinti che il liberalismo di base e la diffusione della concorrenza a tutti (Stati, imprese, territori e individui) siano sufficienti a definire un progetto politico. Non riconoscono in alcun modo che è esattamente questa mancanza di ambizione sociale che conduce al sentimento di abbandono.
Vi sono alcuni movimenti sociali e politici che tentano di porre fine a questo dialogo fatale muovendosi nella direzione di una nuova base politica, sociale e ambientale per l’Europa. Dopo un decennio di crisi economica non mancano tali criticità specificatamente europee: sottoinvestimenti strutturali nel settore pubblico, in particolare nel campo della formazione e della ricerca, aggravamento delle disuguaglianze sociali, accelerazione del riscaldamento globale e crisi nell’accoglienza di migranti e rifugiati. Tuttavia, questi movimenti spesso stentano a formulare un progetto alternativo e a delineare con precisione il modo in cui intendono organizzare l’Europa del futuro e le infrastrutture decisionali ad essa dedicate.
Noi, cittadini europei, con la pubblicazione di questo Manifesto, del Trattato e del Budget, stiamo formulando proposte precise e pubblicamente accessibili a tutti. Non sono perfette, ma hanno il merito di esserci. Il pubblico ha la possibilità di accedervi e migliorarle. Si basano su una semplice convinzione. L’Europa deve costruire un modello originale per garantire uno sviluppo sociale equo e duraturo dei propri cittadini. L’unico modo per convincerli è quello di abbandonare promesse vaghe e teoriche. Se l’Europa vuole riconquistare la solidarietà dei propri cittadini, potrà farlo solo dimostrando concretamente di essere in grado di stabilire una cooperazione tra europei e facendo in modo che coloro che hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione contribuiscano al finanziamento dei beni pubblici che oggi in Europa sono gravemente carenti. Ciò significa far sì che le grandi imprese contribuiscano in misura maggiore delle piccole e medie imprese e che i contribuenti più abbienti paghino in misura maggiore dei contribuenti più poveri. Oggigiorno non è così.
Le nostre proposte si basano sulla creazione di un Budget per la democratizzazione che verrebbe discusso e votato da un’Assemblea europea sovrana. Questo consentirà finalmente all’Europa di dotarsi di un’istituzione pubblica in grado di far fronte immediatamente alle crisi in Europa e di produrre un insieme di beni e servizi pubblici e sociali fondamentali nel quadro di un’economia duratura e solidale. In questo modo, la promessa fatta fin dal Trattato di Roma di “armonizzazione delle condizioni di vita e di lavoro” diventerà finalmente significativa.
Questo Budget, se l’Assemblea europea lo desidera, sarà finanziato attraverso quattro grandi imposte europee, segni tangibili di questa solidarietà europea. Esse si applicheranno agli utili delle grandi imprese, ai redditi più alti (oltre 200.000 euro all’anno), ai maggiori possessori di patrimoni (oltre 1 milione di euro) e alle emissioni di anidride carbonica (con un prezzo minimo di 30 euro per tonnellata). Se fissato al 4% del PIL, come proponiamo, questo stanziamento potrebbe finanziare la ricerca, la formazione e le università europee, un ambizioso programma di investimenti per trasformare il nostro modello di crescita economica, il finanziamento dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti e il sostegno a coloro che si occupano di attuare la transizione. Potrebbe inoltre lasciare agli Stati membri un certo margine di bilancio per ridurre l’imposizione fiscale regressiva che grava sui salari o sui consumi.
La questione qui non è quella di creare una “Europa dei bonifici” che tenti di prelevare denaro dai paesi “virtuosi” per destinarlo a quelli che lo sono meno. Il progetto per un Trattato di Democratizzazione (www.tdem.eu) lo afferma esplicitamente, limitando il divario tra le spese dedotte e le entrate versate da un paese a una soglia dello 0,1% del proprio PIL. Il vero problema è altrove: si tratta innanzitutto di ridurre le disuguaglianze all’interno dei diversi paesi e di investire nel futuro di tutti gli europei, a cominciare naturalmente dai più giovani, con nessun singolo paese che goda di preferenze.
Poiché dobbiamo agire rapidamente, ma dobbiamo anche far uscire l’Europa dall’attuale impasse tecnocratica, proponiamo la creazione di un’Assemblea europea. Questo permetterà di discutere e votare queste nuove imposte europee come anche il budget per la democratizzazione. Questa Assemblea europea può essere creata senza modificare i trattati europei esistenti.
L’Assemblea europea dovrebbe ovviamente comunicare con le attuali istituzioni decisionali (in particolare con l’Eurogruppo in seno al quale i ministri delle finanze della zona euro si riuniscono informalmente ogni mese). Ma, in caso di disaccordo, l’Assemblea avrebbe l’ultima parola. Se così non fosse, la sua capacità di essere sede di un nuovo spazio politico transnazionale in cui partiti, movimenti sociali e ONG potrebbero finalmente esprimersi sarebbe compromessa. Allo stesso modo, sarebbe a rischio la sua effettiva efficacia, dal momento che la questione è quella di liberare finalmente l’Europa dall’eterna inerzia dei negoziati intergovernativi. Dobbiamo ricordare che la regola dell’unanimità fiscale in vigore nell’Unione europea blocca da anni l’adozione di qualsiasi imposta europea e sostiene l’eterna evasione nel dumping fiscale dei ricchi e dei più mobili, una pratica che continua ancora oggi nonostante tutti gli interventi. Questa situazione si protrarrà nel caso in cui non vengano stabilite altre regole decisionali.
Dal momento che questa Assemblea europea avrà la capacità di decidere le imposte e di entrare nel cuore del patto democratico, fiscale e sociale degli Stati membri, è importante coinvolgere realmente i parlamentari nazionali ed europei. Conferendo ai membri eletti nazionali un ruolo centrale, le elezioni nazionali e parlamentari si trasformeranno di fatto in elezioni europee. Gli eletti nazionali non potranno più limitarsi a trasferire la responsabilità a Bruxelles e non avranno altra scelta che spiegare agli elettori i progetti e i bilanci che intendono difendere in seno all’Assemblea europea. Riunendo i parlamentari nazionali ed europei in un’unica Assemblea, si creeranno abitudini di co-governance che al momento esistono solo tra i capi di Stato e i ministri delle finanze.
Per questo motivo proponiamo nel Trattato di democratizzazione disponibile online (www.tdem.eu), che l’80% dei membri dell’Assemblea europea provengano da membri dei parlamenti nazionali dei paesi firmatari del Trattato (in proporzione alla popolazione dei paesi e dei gruppi politici), e il 20% dall’attuale Parlamento europeo (in proporzione ai gruppi politici). Questa scelta merita di essere ulteriormente discussa. In particolare, il nostro progetto potrebbe funzionare anche con una percentuale inferiore di parlamentari nazionali (ad esempio il 50%).
Ora dobbiamo agire rapidamente. Se da un lato sarebbe auspicabile che tutti i paesi dell’Unione europea aderissero senza indugio a questo progetto e benché sia preferibile che i quattro maggiori paesi della zona euro (che insieme rappresentano oltre il 70 per cento del PNL e della popolazione della zona euro) lo adottino fin dall’inizio, il progetto nel suo complesso è stato concepito per essere adottato e applicato da qualsiasi sottoinsieme di paesi che lo desiderino. Questo punto è importante perché consente ai paesi e ai movimenti politici che lo desiderino di dimostrare la propria volontà di compiere progressi ben precisi adottando questo progetto, o una sua versione migliorata, fin da subito. Invitiamo ogni uomo e ogni donna ad assumersi le proprie responsabilità e a partecipare a una discussione articolata e costruttiva per il futuro dell’Europa.