Massimiliano Caretto, classe 1986, è un giovane uomo che dimostra subito, nel vestire ricercato (dandy ma non troppo), nell’eleganza dei gesti e nell’accurata scelta delle parole, la precisa scelta di uno stile personale che pure appare del tutto naturale, e che fa intuire subito, prima che se ne conosca la professione, meglio, la vocazione familiare, l’appartenenza ad un mondo del tutto particolare.
Un mondo, quello antiquario, che ha conosciuto grandi fasti ma che oggi deve fare i conti con una tassazione fiscale sempre crescente, che penalizza il commercio e a maggior ragione l’ambito “velleitario” dell’arte, e con una più agguerrita concorrenza dovuta ad un accesso più facile al mercato e in particolare alle aste grazie alla rete. Discorso diverso è quello del gusto per l’antico: questo pare avere uno zoccolo duro di estimatori che semmai, nel tempo, si fa più esigente.
Massimiliano è la quarta generazione di una genia di celebri galleristi torinesi, la Luigi Caretto, dal nome del suo fondatore, specializzati nella pittura nord europea e in particolare nella pittura fiamminga e olandese del XVI e XVII secolo. La galleria, che ha superato il secolo di vita, ha sede nello storico palazzo di via Maria Vittoria angolo Carlo Alberto, luogo reso celebre negli anni ‘70, pur con nomi di fantasia, nella Donna della Domenica di Fruttero e Lucentini come ritrovo torinese d’élite.
Quando e come è nata la galleria?
Il fondatore della galleria è Luigi Caretto, che, pur provenendo dal mondo delle banche, nel 1911 decide di aprire la galleria nei locali di Via Maria Vittoria; galleria che solo pochi anni dopo il figlio Giorgio si trova, giovanissimo, a dover condurre: il primo quadro comprato è un Tintoretto che lui si carica in spalla, in bicicletta, portato da casa in galleria.
Giorgio decide di specializzarsi sempre di più nell’arte fiamminga e olandese del Secolo d’Oro, genere molto presente nelle collezioni d’arte museali torinesi poiché amato dai Savoia e ormai radicato nella cultura locale, ma che risulta ancora inesplorato per il resto d’Italia. Affiancato dalla moglie Luciana, affina le sue conoscenze e riscuote da subito ottimi risultati, prima a Torino poi in Italia e all’estero.
Giorgio Caretto era, tra l’altro, un personaggio carismatico, molto noto nella società del tempo, la sua figura ha ispirato diversi personaggi di romanzi ambientati a Torino. Questa sua ricerca di specificità, e alcune intuizioni come l’idea di organizzare una mostra senza fini di vendita, ha premiato il lavoro della galleria nel corso dei decenni. Negli anni ’80 Giorgio è ormai affiancato dai figli Patrizia (che poi si specializzerà in pittura del XVIII e XIX secolo) e Luigi, così chiamato in onore dell’avo. Proprio a mio padre, a cavallo tra gli ’80 e i ’90, verrà affidato il compito di guidare l’attività di famiglia nel nuovo millennio.
Ci puoi raccontare come hai iniziato a interessarti all’arte, considerando l’inevitabile influenza della tradizione familiare?
Il mio interesse è stato naturale, ma devo molto alla mia famiglia che non mi ha mai obbligato a seguire un percorso che poteva apparire già prefissato: mi è sempre stata lasciata totale libertà nell’indirizzarmi verso i miei interessi, anche se certamente sono cresciuto in un humus particolare, dove ho respirato arte sin dall’inizio. Personalmente mi affascinava l’ambito scientifico, e in particolare il mondo della paleontologia; detto questo un giorno mi ritrovai a sfogliare un volume sull’arte italiana del Rinascimento e rimasi folgorato dalla bellezza espressa dalle opere di Botticelli, Filippino Lippi…da lì è iniziato una mia personale predilezione per l’arte del nord Europa, dopo tutto nella sala del Botticelli agli Uffizi c’è lo splendido Trittico Portinari di Hugo van der Goes, capolavoro assoluto della pittura di tutti i tempi!…Nel tempo ho affinato le mie competenze in campo artistico anche grazie al duro allenamento di mio padre che mi ha portato ad “educare” l’occhio, sino a darmi la responsabilità dei primi acquisti. Se in un primo tempo avevo pensato ad una carriera accademica, sono arrivato a immaginare altre forme di professionalità in questo campo, e questo anche grazie all’incontro con il mio socio, Francesco Occhinegro.
Perché un socio, in fondo c’era già la tua famiglia…
Francesco viene da una formazione economica, ha frequentato la Bocconi ed è autore di uno dei primi studi specialistici sulle dinamiche del mercato degli old masters: abbiamo deciso quindi di suddividerci gli incarichi, studio storico-artistico e peritale io, aspetti più marcatamente legati al mondo degli investimenti ed al legame tra arte e marketing lui, creando una squadra che rispondesse a tutte le nuove esigenze del mondo contemporaneo.
La tradizione serve – la competenza, lo zoccolo duro dei collezionisti, un buon archivio fotografico e di documentazione, l’aver creato una buona rete con il mondo museale, cose che io mi auguro di portare avanti con la stessa passione e qualità di chi mi ha preceduto – ma serve anche un nuovo approccio comunicativo.
Oggi Internet ha cambiato il mercato, per un privato è diventato facile acquistare all’asta. Che valore aggiunto può dare una galleria?
Il privato in galleria deve poter accedere ad un’opera che è frutto di una scoperta, di una valorizzazione su più fronti: in galleria deve poter trovare un quid in più rispetto ad un’asta, in termini di competenza, di unicità, di valore, come la presenza ad una mostra e l’esposizione in un museo. Le gallerie che non garantiscono questo sono destinate a chiudere.
Cosa ne pensi invece delle fiere?
Le fiere vanno scelte con estrema cura, si deve valutare di volta in volta a quale partecipare. Una fiera famosa non garantisce automaticamente buone vendite, ultimamente alcune di esse sono troppo esose in termini di costi e questo non deve ricadere sull’utente finale. Noi amiamo le fiere che hanno un progetto di crossover tra le epoche, abbiamo partecipato sin dalla prima edizione a Flash Back, che propone un passaggio fluido tra antico e contemporaneo, senza quelle remore che sono eredità di un collezionismo fine anni ’70, per il quale funzionava un altro tipo di disposizione delle opere: le pareti dovevano essere ricche, piene di opere…Oggi tutto deve essere presentato in altro modo, con accorgimenti diversi. Così come non funzionano più i cataloghi da 2000 pagine, piuttosto una buona presenza in internet e un ottimo approccio comunicativo.
Come equilibri la tua società con il tuo ruolo in galleria?
Le due cose non sono assolutamente in conflitto, mio padre ha appoggiato in tutti i modi questo nostro “spin-off”…Può darsi che in futuro apriremo anche un nostro spazio, per ora abbiamo organizzato degli eventi temporanei, tra questi una mostra organizzata durante l’EXPO di Milano. Vogliamo partecipare sempre di più a fiere straniere, e ovviamente collaborare con musei per mostre che permettano una maggiore divulgazione.
Qual è la situazione tra le gallerie oggi? C’è molta rivalità?
Un concetto delicato, poiché naturalmente la rivalità in questo settore è naturale. Tuttavia la mia generazione, che ha vissuto un momento di grande passaggio, sa che la torta è molto più piccola rispetto ad un tempo e la collaborazione è necessaria: dobbiamo avere strategie comuni, molta limpidezza, una rivalità sana, cosa che non è avvenuta per le generazioni precedenti, aspramente divise tra faide: tutti contro tutti in maniera intellettualmente scorretta. Una critica che faccio a tutti, cosa che ho detto anche a mio padre, si doveva e si poteva collaborare di più. Oggi questa necessità di collaborare è sentita anche molto all’estero, e infatti si aprono nuove interessanti prospettive con gallerie europee e extraeuropee.
Come si muovono i nuovi mercati?
Tra i mercati funziona molto bene la Russia, dove la passione per gli old master di scuola nordica, in particolare Brueghel, è radicata dai tempi di Caterina la Grande. Anche Londra è, da sempre, un ottimo mercato per questo genere di pittura, con la Brexit però è ancora presto per giudicare quali saranno gli sviluppi, è una situazione che si trascinerà per molto tempo.
A questo proposito la mostra su Brueghel che avete organizzato alla Reggia di Venaria è andata molto bene…
Sì, si è chiusa con 150.000 visitatori che è il record assoluto per le mostre alla Reggia: siamo riusciti a portare una mostra a Torino che è piaciuta molto, abbattendo le riserve e la diffidenza delle istituzioni pubbliche che hanno fatto non poche resistenze…
Oggi basta un computer e la rete, unita alla competenza, per fare il gallerista?
Il contatto umano è ancora fondamentale: Fabrizio Moretti, il proprietario dell’omonima galleria specializzata in fondi oro, è un po’ il nume tutelare della nuova generazione di galleristi, ha compiuto 40 anni quest’anno e in 15 anni ha percorso tutti i gradini di una grande carriera. In una recente intervista rilasciata in occasione dell’apertura della sua nuova galleria a Monaco ha dichiarato che, grazie ai nuovi media, non è più necessario avere ad ogni costo una sede importante e dispendiosa in un grande città: c’è il TEFAF (la grande fiera di Maastricht, la più importante per quanto riguarda l’arte antica) come evento cardine annuale, e poi si può lavorare direttamente da un buen retiro, curando gli appuntamenti direttamente e sempre personalmente.
La galleria può tornare ad essere un salotto di cultura, piuttosto, ed è a questo che anch’io vorrei puntare. Il mondo ormai è globalizzato e quindi il contatto è facilitato; in galleria si può puntare ad altro, come luogo di incontro, di scambio, di conversazione.
La fiscalizzazione per le opere d’arte non favorisce il nostro paese…
L’Italia rimane un luogo schizofrenico per l’impresa, la tassazione sulle opere d’arte penalizza fortemente il commercio, questo rimane ancora un grande problema che non ci rende competitivi.
Progetti futuri?
Parteciperemo ancora a Flash Back con un progetto specifico dedicato alla pittura su rame, che è il materiale per eccellenza della pittura fiamminga: opere rare caratterizzate dal tipico brillio del supporto metallico, tra cui quelle straordinarie di Kessel, molto ricercate per le wunderkammer. Dopo la presentazione in fiera la mostra proseguirà in galleria fino a dicembre. In tutta Europa la parola rame ha la stessa declinazione linguistica tranne che in Italia, dove la pittura su rame non si diffuse, a differenza della Spagna e della Germania dove ebbe uno straordinario successo, anche per motivi strutturali e conservativi, perché il legno si spezza, il rame si incurva ma poi torna alla sua forma.
Un argomento interessante, che verrà approfondito in galleria. Per quanto ci riguarda, dopo una fase in cui la sede espositiva era intesa come ambiente molto freddo e tecnico, uniformato su uno standard preciso, sta ritornando, come accennavo, la galleria – salotto dei tempi di Giorgio Caretto, da cui mi piacerebbe, e lo dico non senza una certa emozione, si ripartisse, pur con l’ausilio delle nuove tecnologie.