I musei preservano le opere d’arte o le privano del loro valore? Le difendono dal deterioramento del tempo o semplicemente le sottraggono all’ambiente a cui appartengono e in cui dovrebbero restare?
Questi sono gli interrogativi – a cui è difficile trovare risposta – su cui la mostra “Anche le Statue Muoiono: Conflitto e Patrimonio tra Antico e Contemporaneo”, nata dalla collaborazione tra quattro dei musei più importanti di Torino – il Museo Egizio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, i Musei Reali e il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino – intende riflettere, dando vita a un sorprendente incontro tra opere d’arte e oggetti di artigianato provenienti da luoghi ed epoche diverse eppure unite nell’amore e nel bisogno dell’arte come mezzo per esprimere le inquietudini e i turbamenti propri dell’essere umano, non solo attraverso la creazione ma anche la distruzione.
Un’occasione per meditare sul reale valore dell’arte che, seppur logorata e mutilata dal tempo, non perde il suo fascino, anzi, lo accresce.
Il progetto mantiene uno sguardo critico sui recenti avvenimenti nel Medio Oriente, che hanno causato la distruzione di patrimoni storico-artistici di incommensurabile valore e che confermano il ruolo vitale e irrinunciabile dei musei nella custodia della bellezza attraverso le ere.
La mostra, che il Museo Egizio ha scelto di ospitare al piano interrato, quasi a voler dare l’impressione al visitatore di entrare egli stesso all’interno di uno scavo archeologico, è impreziosita da fotografie e documenti che testimoniano lo sforzo costante degli archeologi di scovare e conservare beni culturali d’inestimabile importanza e renderli godibili a un più vasto pubblico. “Mi piace trasmettere il messaggio che dobbiamo studiare quello che il passato ci ha tramandato”, afferma il direttore del Museo Egizio Christian Greco, “ricordando che la tutela passa anche attraverso il dialogo e la conoscenza“.
Ma la genialità della mostra risiede nella presenza di opere appartenenti all’arte contemporanea: nove artisti hanno infatti cercato di dialogare con i reperti millenari in esposizione attraverso installazioni, video e fotografie in grado di esaltare la bellezza degli oggetti esposti e di confermare che la distruzione nell’arte è sempre esistita e sempre esisterà; splendida è la serie dei nove volti fotografati da Mimmo Jodice e quelli spezzati dei governatori di Qau el-Kebir.
Un incontro tra passato e futuro che si può dire incisivo ed efficace, in cui gli elementi d’arte contemporanea riescono nel difficile compito di non oscurare le opere antiche, evidenziandone invece l’unicità e il valore.
Unica nota dolente: le opere dell’artista statunitense Liz Glynn, classe 1981. Notevoli nella composizione ma alquanto piatte e monotone. L’opera migliore? Il frammento del volto di Akhenaton, faraone egizio della XVIII dinastia, parte di un’antica statua riscolpita (probabilmente per ripugnanti fini commerciali) in epoca moderna: pochi centimetri di eternità a racchiudere tutto il senso della mostra.
Ilaria Losapio