Al centro della piramide di meraviglie del Museo Egizio Andrea Carandini dice che “il lavoro di un archeologo somiglia a quello di un investigatore“, professore emerito di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza e autore di molteplici opere saggistiche alla cui schiera si è recentemente aggiunto La Forza del Contesto, ultima (anzi, penultima) fatica letteraria di colui che da molti è considerato la più importante eminenza nazionale nel campo dell’archeologia.
Se non altro, la più prolifica. L’allievo prodigio di Ranuccio Bianchi Bandinelli vanta una bibliografia da fare invidia a qualunque studioso: oltre 30 monografie e innumerevoli collaborazioni unite a ricerche empiriche che ne hanno consolidato negli anni l’autorevolezza e il prestigio.
A meno di un mese dalla pubblicazione di Io, Agrippina, l’instancabile Carandini ha tenuto il 25 maggio presso il museo egizio di Torino una conferenza sul complesso e profondamente meditativo saggio La Forza del Contesto, edito da Laterza, il cui fine è quello di scandagliare l’affascinante mondo dell’ archeologia partendo dall’analisi del singolo oggetto e ponendolo successivamente in relazione con gli altri ritrovamenti e con lo stesso ambiente che lo circonda. Senza ovviamente dimenticare il ruolo primario dei musei nella conservazione dei reperti, argomento clou del momento tra gli studiosi.
A dialogare con l’autore, il direttore del Museo Egizio, Christian Greco, Andrea Augenti (Università di Bologna), Carlo Tosco (Politecnico di Torino), Giuliano Volpe (Consiglio Superiore “Beni culturali e paesaggistici” del MiBACT).
Ad aprire il dibattito è il direttore del Museo Christian Greco, ne elogia la prosa agevole e snella del libro, citandone i passi salienti, per finire con un lungo e un po’ verboso monologo sull’importanza di considerare il patrimonio culturale un bene collettivo e dunque meritevole di una maggiore responsabilizzazione sia da parte del singolo individuo che degli enti privati e pubblici. Carandini annuisce con scarso entusiasmo, probabilmente stanco dei soliti discorsi di circostanza tipici degli accademici, che rimpiangono martello e scalpello sotto il sole del Cairo.
Un archeologo, si sa, è un uomo pragmatico, e ai discorsi idealistici preferisce l’azione. Tra una battuta di spirito e l’altra, Carandini sottolinea l’importanza di creare gruppi di lavoro sul campo perfettamente organizzati e coadiuvati (“Se ognuno fa a modo suo poi la somma è un caos!”) e aggiunge che solo un contesto umano ben organizzato può affrontare la ricerca di un contesto urbano storicamente preciso e stratificato.
Gli interventi di Scarpa, Augenti e Tosco non regalano il necessario quid di vivacità, indispensabile a tener coinvolto l’uditorio. La nota positiva è la presenza di Carandini, che con il suo fare gioviale e arguto sa tenere attenta la platea.
Un peccato per un libro così acuto e ricco di spunti di riflessione. Forse una intervista diretta (come già fatto a Catania) sarebbe stata preferibile e avrebbe conferito più valore non solo al libro ma anche all’autore.
Ilaria Losapio