Documentazione fotografica della scultura “Anatomia Umana” di Salvatore Astore
Il reportage fotografico si associa solitamente alla velocità di realizzazione degli scatti e ad azioni che durano per un brevissimo lasso di tempo, difficilmente ripetibili.
Il lavoro che documenta la realizzazione del monumento “Anatomia Umana” di Salvatore Astore, donato alla città di Torino dalla Galleria Mazzoleni e inaugurato lo scorso 11 novembre, ha seguito un processo differente: ovvero seguire per quasi cinque mesi gesti e azioni molto simili tra loro, ripetuti innumerevoli volte, sempre dalle stesse poche persone, nello stesso posto. Solo così è stato possibile entrare pian piano nel senso del lavoro verso cui quei gesti tendevano, verso l’opera finita.
Senza vederla mai, né averla mai vista, come una chimera difficilmente immaginabile, ogni scatto doveva raccontare la storia di un qualcosa ancora sconosciuto, che prendeva forma di giorno in giorno.
In un ambiente già di per sé quasi monocromatico, una grossa carpenteria nei pressi di San Mauro, così come le sculture realizzate con lamiere in acciaio inox, la scelta del bianco e nero è stata suggerita quasi naturalmente e altrettanto naturalmente seguita. L’astrazione, poi, cui si era portati nel vedere costruire “Anatomia Umana” entrava in un contrasto diretto col gesto così tanto usato della saldatura, col rumore dei carri ponte, dei martelli, dell’acciaio che sbatte contro le putrelle di ferro.
Il bianco e nero usato, con poca o nulla post produzione e in cui si sono lasciati volutamente degli eccessi di luci e di ombre – gli stessi cui si era soggetti in carpenteria – tenta di tradurre senza troppi fronzoli questo ambiente. Visivamente, le informazioni sono state di tipologie molteplici, per diventare col passare dei giorni sempre più note e intelligibili.
Sono riassumibili semplicemente così: persone e forme.
Ogni azione umana assume infatti una forma dettata dal movimento; il contesto in cui queste azioni si compiono possiede già di per sé una forma, immobile. Il reportage coniuga proprio questi due mondi di movimento e immobilità, di intenzione umana nell’incoscienza dei luoghi in cui invece si trova a vivere.
Lo stimolo ulteriore è però quello, si spera, di riuscire a restituire una storia affidabile. Di cui, cioè, poter far fidare chi la guarderà in futuro. In questo caso, si è trattato di far percepire con costanza il connubio della minuzia tecnica – la precisione della saldatura, il taglio al laser delle lamiere rifinito a mano col flessibile sui segni dell’artista – con la scultura, mastodontica.
La seconda coniugazione che è avvenuta durante i mesi in carpenteria e che si è cercato di far risaltare nel lavoro fotografico mentre prendeva forma Anatomia Umana è stata poi quella tra l’informale e il formale, tra l’astratto e il concreto che ne stava alla base: così i disegni formati dall’intersezione o la sovrapposizione delle lamiere prima e dopo la saldatura con gli attrezzi e le persone che le maneggiavano, o gli spostamenti “aerei” coi carri ponte dei materiali, creavano un’oscillazione continua tra forme note e forme ignote, senza soluzione di continuità.
Il processo fotografico per documentare Anatomia Umana si può vedere, quindi, come un lento avvicinamento a questo nucleo ideale, in cui si fondono concretezza materiale ed estetica formale. La linea seguita è stata poi quella di raccontare il lavoro attraverso suggestioni quanto possibile precise anche in funzione del libro d’artista che è nato da e con queste immagini.
Ogni dettaglio è stato funzionale al racconto: la mano che impugna la moletta diventa essa stessa l’attrezzo e l’azione che compie, ogni tipo di luce che tocca la lamiera di acciaio è l’accesso a una visione diversa dell’opera che si è cercato di restituire. Non è facile parlare del proprio lavoro, soprattutto quando si è seguito un flusso in evoluzione costante senza conoscerne con precisione il capo e la coda. Questo può aprire però spazio a considerazioni più libere.
Catturare i momenti salienti non deve essere per forza un momento di studio approfondito delle dinamiche cui si va incontro, quanto più un sentire comune che si fa finalmente immagine, come un ideale declinato in più fotogrammi.
E’ importante sapere che questo lavoro ha raccolto migliaia di scatti e che ne sono stati scelti meno di un centinaio per il catalogo. Questo non per la velleità quantitativa solitamente attribuita al mezzo digitale, scambiata spesso per frettolosità o ansia espressiva: la quantità, se asservita al mezzo, non può non essere un valore aggiunto. Ogni scatto non viene buttato in pasto al caso, bensì ognuno mira a cogliere ciò che realmente serve per comunicare quel che è stato.
Ogni momento catturato volgeva verso questo processo visivo: non conoscerlo fin dall’inizio (se non grazie ai bozzetti e ai render) è stata forse la chiave per poter cogliere le varie fasi nel modo più vivido. La scelta finale delle immagini: il libro d’artista è stato curato dal grafico Leandro Agostini, che ha visionato tutto il materiale e con cui si è scelta la sequenza delle fotografie da usare.
Oltre al racconto cronologico, molta attenzione è stata data ai soggetti e ai materiali, ai protagonisti oggettivi dell’intero lavoro. Ogni dettaglio microscopico è stato portato alla luce con la dignità del meccanismo a orologeria, dando una chiave di lettura quanto possibile autentica di ciò che ha significato realizzare “Anatomia Umana”, che dialogherà in via permanente col contesto urbano torinese.
Testo e fotografie di Carola Allemandi