Invaso da uno spettro di verdi scintillanti e inquietanti, il lavoro di Michele Sibiloni “Nsenene” racconta la raccolta notturna di cavallette in Uganda.

L’installazione di Michele Sibiloni da Mucho Mas! si sviluppa non attraverso le fotografie, che possono essere trovate nel libro edito da Patrick Frey nel 2021, ma sotto forma di un video di dieci minuti accompagnato da un audio ipnotico, assordante. Nella galleria completamente oscurata, l’atmosfera irreale, soffocante e ultraterrena ci sommerge, si entra a far parte di questo scenario di cui percepiamo il caldo umido, concitato e poetico. Il video presentato è un estratto di un lungometraggio ancora inedito.

“Nsenene” è la raccolta

Abbiamo intervistato l’autore: Michele Sibiloni.

Ci racconti qualcosa di te, dove sei vissuto, le tue esperienze, e le motivazioni che ti hanno condotto a sviluppare a questo progetto.

Ho vissuto in Uganda, in Sudafrica, dal 2010 al 2020 circa, dove ho lavorato come fotografo, giornalista, videomaker, e ho fatto diverse cose sempre legate all’informazione

Nell’arco di questi anni ho lavorato a due grandi progetti personali. Uno è iniziato circa nel 2012 ed è già stato pubblicato sotto forma di libro nel 2016, il libro è intitolato “Fuck it”, ed è una sorta di documentazione notturna della vita della capitale ugandese, Kampala, dove vivevo, basato sulla mia esperienza.

Il secondo progetto è nato un po come una sorta di secondo capitolo di queste documentazioni notturne in Senegal ed è stato pubblicato sempre da Edition Patrick Frey nel 2021. La notte quindi ha sempre fatto parte della mia ricerca personale. Il progetto diciamo che è nato appunto come un desiderio di documentare sempre la notte in Uganda, ma in una dimensione diversa, molto più legata alla natura e alla sopravvivenza, mentre il primo lavoro invece era più legato alla vita nel circuito urbano della capitale ugandese.

All’inizio la cosa che mi aveva attratto di più era il cambio del paesaggio, di come cambiava dal giorno alla notte ma anche dalla notte a quando questi luoghi venivano illuminati da queste trappole col le quali venivano catturate le cavallette. Queste trappole sono formate da da dei perimetri di barili con delle lamiere ondulate appoggiate sopra, il tutto messo insieme da delle strutture di legno e tutto viene illuminato con delle luci molto potenti dalle quali viene tolto il bulbo che trattiene i raggi UVB in modo che la luce diventi molto più potente e si possa vedere da molto più lontano.

Michele Siliboni

Quindi gli insetti riuscivano a localizzare questa luce da chilometri. Il problema di utilizzare questo tipo di tecnologia è che non trattenendo più raggi UV può danneggiare la vista e la pelle delle persone, ma anche tutte le piante, la vegetazione intorno e i raccolti, quindi diventa un luogo molto forte e complicato nel quale lavorare, da gestire. All’inizio mi affascinava vedere questi posti che normalmente erano molto molto bui illuminati a giorno come se fossero dei dei set cinematografici.

Quindi il primo anno ho conosciuto questi luoghi dove c’erano le trappole e ho iniziati a documentarlo senza preoccuparmi troppo delle cavallette, dello stormo, della raccolta e di tutti questi business, ero interessato più a alle trappole in sé e a questi luoghi, e questo mi ha permesso di crearmi una rete di contatti che ho mantenuto negli anni per poi continuare a documentare i diversi strati di questo fenomeno legato a questa migrazione di cavallette che accade tra ottobre e dicembre, e poi c’è un’altra stagione più piccola in primavera.

Questi fenomeni accadono alla fine della stagione delle piogge, che negli ultimi anni con i cambiamenti climatici sono diventati sempre meno prevedibili. E questo ha portato anche delle complicazioni durante questa stagione di caccia alle cavallette perché non si sa bene quando arrivano e sono cambiate tante cose. Anche la deforestazione è stato un elemento che ha probabilmente scompensato questo ritmo e anche il fatto che che le cavallette vengano intrappolate in tutto il Paese mentre anni fa era solamente in una regione.

Quindi ci sono diversi fattori che sono andati a influire su questo fenomeno, diciamo che nei sette anni di documentazione ho visto anche questi insetti diminuire proprio a livello di quantità. E questo mi spingeva a fare un qualcosa che rimanesse, come il libro e il film perché avevo capito che poteva essere qualcosa che magari in un futuro prossimo può sparire o cambiare per per diverse ragioni.

“Nsenene” è la raccolta

Significa che le cavallette sono è una risorsa economica che è piuttosto labile.

Diciamo che è stata ed è tuttora una risorsa, nel senso che negli anni ci sono persone che hanno guadagnato bene durante questa stagione, questo ha permesso a persone e famiglie di avere dei ricavi extra dalla loro vita con i quali hanno potuto iniziare altri business o espandere i business che avevano, perché magari sono soldi che non sarebbero mai riusciti a metter da parte in nessun altro modo.

Un fenomeno che può cambiare la vita o ha cambiato la vita delle persone e si può diventare ricchi. Detto questo, è anche molto facile perdere soldi e c’è un atteggiamento anche molto tipo gambling, nel senso che io investo e voglio diventare ricco in poco tempo. Detto questo, è un tipo di risorsa che porta soldi perché la domanda è sempre alta. In un periodo in cui ci sono le cavallette, le persone le vogliono comprare, le vogliono vendere, le vogliono mangiare. E quindi c’è molto fermento e il prezzo cambia giornalmente a seconda delle quantità di insetti che ci sono in quel giorno nel Paese.

E’ considerata una delicatezza, quindi un cibo diciamo un treat, non essenziale però ha un alto livello proteico e quindi quando c’è questo grande stormo di cavallette tutti escono di casa, vanno tutti a raccogliere, chi magari per venderne un po’ il giorno dopo, chi per mangiarle loro. Però c’è un po un clima di festa.

Hai deciso di fare una pubblicazione fotografica che è corredata da un video, pratica con cui sei alle prime esperienze?

Come lungometraggio si, credo fosse importante utilizzare medium diversi, perché quando ho fatto il libro, le scelte che ho fatto di editing e di sequenza, volevo fare una cosa che non spiegasse troppo e che fosse in linea con il mio pensiero fotografico.

Mi piaceva l’idea di sperimentare, creare un racconto, tant’è vero che magari uno non comprende completamente la storia tramite il libro. Detto questo, ho chiesto a tre autori ugandesi di scrivere tre storie dalla loro prospettiva che possano dare una lettura di questo fenomeno dal punto di vista.

Credo sia stato un elemento molto importante per il libro perché va a colmare un vuoto che le immagini lasciavano. Detto questo il film aggiunge un altro strato in più perché si vede tutto quella parte di lavoro che c’è durante il giorno, le negoziazioni per le terre dove mettere le trappole e le dinamiche tra le persone che lavorano. E tutto il resto è lasciato come come sfondo ed è un pò un viaggio che che lo spettatore può intraprendere.

“Nsenene” è la raccolta

Sì, esatto, proprio sul concetto di viaggio mi viene in mente proprio la tua pratica, come un’esperienza viva, diretta sulle argomentazioni che vuoi fotografare e raccontare.

C’è una foto nel libro che è importante (ndr. la foto della tazza rotta), anche se esteticamente un po diversa dalle altre. Però per me era importante metterla, perché alla fine rappresenta proprio lo scopo che c’è dietro a tutto questo: non è nient’altro che economia, per mangiare ma soprattutto per guadagnare, in paesi dove c’è un alto tasso di disoccupazione.

Ogni opportunità offerta dalla natura viene presa in maniera molto avida. Tutti sappiamo che il modello capitalistico non prevede di prendersi cura di questa risorsa. Non credo servano ulteriori argomenti per far capire quanto sia importante, nonostante ciò non si riesce ad intervenire e non so se si riesca a percepire, in questo business di cavallette. Una riflessione che è importante: siamo dipendenti dalla natura da quando esiste l’uomo, ignorarla è una cosa sicuramente sbagliata.

Tornando al concetto di alimentazione anche futura si parla molto spesso di insetti. Dal mio umile punto di vista, il discorso sugli insetti credo sia soprattutto importante anche per i mangimi. Parlavo con una persona informata, mi diceva che le crocchette per cani e gatti hanno una quantità di pesce all’interno incredibile. Ci sono queste barche gigantesche che pescano davanti alle coste africane pesce per queste crocchette, quando si potrebbero utilizzare magari delle mosche o delle formiche o altre tipologie di insetti per fare questo tipo di mangimi per gli animali. Quindi dal mio punto di vista credo che dovrebbero diversificare il più possibile per ridurre gli impatti legati alle diverse tipologie di cibo.

“Nsenene” è la raccolta

Come hai trovato i contatti, le collaborazioni? Penso a coloro che hai coinvolto nella scrittura dei testi.

Ho cercato di aprire le porte delle collaborazioni, quando stavo facendo il libro. Poi alcune non sono andate a buon fine per svariate ragioni, però alla fine il libro doveva uscire durante il covid, è stato posticipato di un anno e questo mi ha permesso di lavorare in maniera molto più approfondita sui testi e fare una ricerca più approfondita con questi tre autori che hanno partecipato.

Quando poi ho presentato il libro in Uganda erano presenti anche loro: uno di questi è un giovane entomologo. Ha fatto una ricerca sulle cavallette, l’altro è il presidente dell’associazione di cacciatori di cavallette che ha visto il suo business cambiare da dagli albori 30-40 anni fa. Il terzo è un artista di nome Bobby Wine, che è diventato famoso per essere diventato parlamentare e aver sfidato il Presidente alle elezioni presidenziali nel 2021 ed è uscito anche un film a cui ho lavorato come direttore della fotografia che è stato presentato l’anno scorso a Venezia e sarà credo a breve su qualche televisione e farà luce sulla situazione politica del Paese attuale.

Il film l’ho lavorato per un regista americano, Daniel McCabe, conosciuto in Congo un paio di anni prima, il 2013, autore di un film che si chiama This is Congo, che ha fatto la première a Venezia nel 2016. Io ho fatto una mostra in Francia, in un festival dove lui aveva uno screening del suo film e lì è nata l’idea tra me, lui e l’executive producer di fare quest’altro film che ha fatto la première a Nyon un mese fa a Vision Durelle. Speriamo di vedere a breve in altri festival e in altri posti.

Ho cercato di aprirmi il più possibile alle collaborazioni fin da quando stavo documentando, ho deciso di coinvolgere questi autori perché per quanto abbia approfondito io il discorso di documentazione, non ho voluto fare nessun tipo di compromessi quando si trattava di mettere insieme le immagini e quindi volevo fare una cosa che mi soddisfasse in pieno con un editing meno documentaristico e più portato ad un racconto “artistico” e personale.

Avere questi autori che raccontano la propria esperienza, come cittadini ugandesi, poteva dare un’immagine più completa e coerente a quello che è questo fenomeno.

Per quanto io possa essere sincero nel raccontare questa cosa, sono italiano, ho vissuto in Uganda dieci anni, ho una prospettiva diversa dalla loro e quindi per me era molto importante colmare questo gap culturale con una collaborazione da parte di autori locali e questo sono certo ha arricchito il libro notevolmente.

 

Michele Sibiloni (1981), fotografo e direttore della fotografia, attualmente risiede tra l’Italia e l’Uganda. Il suo lavoro editoriale è stato pubblicato su The New York Times, The Wall Street Journal, Bloomberg Businessweek, ZEIT magazine, M magazine e altre pubblicazioni.
Tra il 2012 e il 2014 ha documentato la vita notturna della capitale ugandese, nel 2016 il progetto è diventato “Fuck it”, un libro fotografico edito da Edition Patrick Frey. È stato selezionato tra i migliori foto libri dell’anno da Time magazine, Internazionale, Sleek-Mag e Photo-book store UK. “Nsenene”, un progetto sulla caccia alla cavalletta in Uganda, è stato pubblicato da Edition Patrick Frey nel 2021, esposto alla galleria Aperture per la mostra “Delirious cities” nel 2017 e in diverse altre mostre.