Si è aperta la nuova stagione dell’arte contemporanea torinese con Ouverture 2015, opening collettivo organizzato dalla Tag (Torino Art Galleries) con il supporto della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea Crt. Dalle 18 alle 24 le dieci gallerie associate hanno presentato ad un folto pubblico di appassionati e curiosi i nuovi progetti espositivi allestiti fino all’inizio di novembre, quando, in occasione di Artissima, evento clou del panorama contemporaneo non solo torinese, si organizzerà la notte bianca dell’arte – quest’anno sabato 7 novembre – e con essa nuovi nomi e nuovi allestimenti, di solito i “pezzi forti” che le gallerie serbano per l’occasione.
Bisogna tuttavia riconoscere che, se il numero delle gallerie è tristemente calato per una serie di fattori economici a tutti noti, è encomiabile la volontà di mantenere alto il livello della ricerca e della proposta fin da subito e con costanza. I nomi di maggiore notorietà sono alla “In arco” di piazza Vittorio (Lichtenstein, Warhol ma anche belle e insolite opere di Rauschenberg), ma la qualità è presente ovunque. Gagliardi e Domke propone la prima personale in Italia dello spagnolo Romulo Celdran, mentre l’omaggio a Marguerite Dumas è al centro della raffinata ricerca di Sylvie Romiel alla Weber&Weber.
Notevole la proposta alla Guido Costa Project con la personale di Nan Goldin: la mostra, di grande importanza storica e documentaria, è il risultato di rapporto di collaborazione speciale tra l’artista e galleria nella persona di Guido Costa (non immeritata la sua fama di gallerista-filosofo, di grande acume e sensibilità) sedimentato in numerosi progetti espositivi che sfociano per questa occasione in un’anteprima mondiale.
In dialogo con 40 fotografie, alcune mai mostrate al pubblico, tratte dai suoi archivi di New York che risalgono ai suoi anni bostoniani (1970-1974) cruciali nella sua storia personale e creativa, vengono infatti presentati i suoi lavori più recenti, concepiti e realizzati tra il 2014 ed oggi, e sorprendentemente realizzati con una tecnica per lei assolutamente inedita: il disegno. Come racconta il gallerista, da qualche anno a questa parte per Nan Goldin disegnare è diventato un esercizio riflessivo assai importante che scandisce i suoi giorni (meglio: le sue notti), un esercizio declinato con estremo pudore ed una certa, comprensibile ritrosia di fronte al giudizio degli altri, al punto che non è stato facile pensare ad una presentazione pubblica di questo materiale, mostrato solo grazie alla mediazione attenta e sensibile del gallerista.
La mostra raccoglie 28 disegni, realizzati con tecniche diverse su carte di grammatura e formato via via differenti e diversi soggetti, dall’annotazione dal sapore diaristico, all’autoritratto, fino alla dimensione onirica. Una pratica, quella del disegno, che Nan Goldin esercita con grande libertà, ma estremo rigore cromatico e compositivo, considerandolo una sorta di farmaco per l’anima, in segreto e costante dialogo con la sua fotografia di cui, per molti versi, è compimento e sublimazione, ma anche chiarificazione.
Alberto Peola, altro nome storico, presenta la seconda parte della personale dedicata all’artista Fatma Bucak. Nata nella Turchia orientale e identificandosi allo stesso tempo come turca e curda, Fatma Bucak è un’artista la cui opera esplora e interroga costantemente le condizioni concettuali e ideologiche dei paesaggi di confine.
L’artista, che parla un perfetto italiano, ha spiegato come al centro di suoi lavori ci siano le esistenze di coloro che abitano i confini: soggetti attivi, che collaborano e partecipano a tutte le fasi dei progetti dell’artista. Le fotografie, i film e le installazioni che costruisce con i suoi collaboratori sono, nelle sue parole, un atto di emancipazione, un documento sulla vita negli spazi di confine e insieme una metafora che ne sposta i termini. Le opere in mostra raccolgono i prodotti del periodo trascorso insieme a e all’interno delle comunità del confine turco-armeno, di quello armeno-iraniano, dell’Anatolia centrale e del confine tra Texas e Messico. Notevole il gruppo di fotografie di nature morte e l’installazione di una trapunta di tessuto, fatta con gli stracci abbandonati dai migranti lungo il confine tra Texas e Messico, raccolti e assemblati dall’artista insieme ai membri delle comunità migranti locali. Precise nella loro costruzione e curate nell’estetica, le immagini fotografiche sono a un tempo belle e spiazzanti, e lasciano all’osservatore il compito di risolvere le metafore dell’artista. I due film, And then God blessed them (2013) e Suggested place for you to see it (2013) ambientati a Tuz Gölü, il Lago Salato, nell’Anatolia centrale, aprono e chiudono la personale come un’installazione a due canali.
Le raffinate fotografie in bianco e nero di Francesco Bosso, stampate su rare e pregiate carte baritate, accolgono il visitatore alla Photo&Contemporary di via dei Mille per la sua seconda mostra personale torinese dal titolo After Dark.
L’artista, dopo anni dedicati al reportage etnico ed antropologico in diversi Paesi africani ed in Cina decide di dedicarsi al paesaggio nel filone della grande tradizione americana di Ansel Adams e dei suoi epigoni John Sexton ed Alan Ross, con i quali l’autore ha collaborato a lungo negli USA. La straordinaria padronanza della tecnica di ripresa in esterni col grande formato ed il virtuosismo in camera oscura con l’ormai desueto procedimento analogico, permettono all’autore di ottenere stampe con grande pulizia dei bianchi e profondità dei valori tonali e dei contrasti.
La sua ricerca mira ad isolare forme ed elementi naturali in luoghi incontaminati, dagli Stati Uniti alle Seychelles, dall’Islanda all’Engadina, dove il silenzio è signore assoluto, così come ben espresso dall’opera posta all’inizio della mostra Artic Arrow realizzata durante il recente viaggio in Islanda e scelta dall’autore come manifesto poetico.
Paola Stroppiana / Elena Inchingolo